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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 327 che l’ha solleticato. Vi sarebbero altresì il duetto dei rivenduglioli, la canzonetta della cuoca, un coro di altalena, un altro di armati, che sparsi qua e là per i tre atti appaiono a sè, come se la scena fosse stata tirata per incastrarveli. Sono però sempre rimembranze di spartiti noti, altri levati di peso da qualcuno di quelle centinaia di atti, di cui fu produttrice la facile vena del maestro e che nell’ultima delle sue raffazzonature depongono in suo danno. Ci vogliono far credere che in musica si accampò una questione Offenbach! Per me la questione non esistette, nè esiste tampoco oggidì. La corruzione non formò mai nella storia dell’arte un oggetto di discussione, la si riprova, la si elimina, non le si discute. Il successo, la cassa, non fanno prova della bontà del lavoro; e la voga onde si fa ressa alle rappresentazioni delle operette di questo compositore alla moda è dovuta meno al suo merito musicale, che alle seduzioni sceniche, alle attrattive delle cantatrici, all’efficacia del tricot di cui sa egregiamente fornire i suoi attori. La Rôder, la più bella figura di Venere che da noi si vide sulle scene, fece del suo meglio per riuscire nel lavoro del suo protettore; peccato che per ottenere l’effetto fu obbligata a cantare. La Geistinger si sublimò fino alla parte di cuoca, che per lei fu elevata all’altezza di una persona di grido. Lo Scooboda, il Riidinger, manifestarono la prestanza del loro ingegno. Nessuno degli altri e nessuna delle altre nocque all’esito che fu realmente superiore ad ogni aspettazione. La disciplina del maestro li costrinse tutti, fino al coro ed all’orchestra, a fare pienamente il loro dovere; ed il loro dovere l’han fatto tutti, a cominciare dal guardarobiere fino al maestro dirigente in persona l’orchestra ossequiosissima. Quanto al dovere degli appendicisti venuti da Parigi, non c’è da dubitare che l’avran compiuto appuntino, vennero qua appositamente a formare la guardia pretoriana del grande imperatore del mondo musicale! C. BERLINO, 21 settembre. Orfeo ed Euridice dì Gluck — Il Flauto magico all’Opernhause — Convegno degli imperatori — Il Faust di Gounod colla signora Artot — Concerto di Corte — La Ritirata finale e i suoi accidenti. Dopo molti anni di riposo apparve fra noi l’antichissimo dramma musicale, il quale non ha punto da vergognare della sua canizie, quando è opera di maestro che si chiama Gluck, e s’intitola Orfeo ed Euridice. Haendel disse una volta di Gluck: «Il mio cuoco capisce il contrappunto meglio di questo miserabile compositore.» Se non che le opere teatrali di Haendel, (Ezio, Rinaldo. Artaserse, Ercole ecc.) sono sparite da lunghissimo tempo dalla scena, ed i capilavori del vero fondatore e riformatore del dramma musicale, {Ifigenia in Aidide ed in Tauride, Armida, Alcesle, Paride ed Elenà) sono tuttora l’ornamento del repertorio di quei teatri che intendono a coltivare i veri interessi dell’arte. La causa di siffatta longevità si trova nell’espressione drammatica, nell’arte di produrre grandiosi effetti con pochi mezzi e principalmente nell’unità ferrea del concetto. Non è di lieve importanza che Gluck abbia scelto gli argomenti alle sue opere nel mondo degli antichi eroi, giacché è fatta appunto più palese la sua maestria nel tradurre le fisonomie di quei semidei con tale forza che finora nessuno (eccettuato forse Mozart e Beethoven), seppe eguagliare. Li Orfeo è quasi il bellissimo dei suoi drammi, e noi berlinesi fummo avvezzi ad udirlo eseguito perfettamente, avendo avuto, olim, un contralto, di cui non si saprebbero trovare molti eguali; ma sono tempi passati, e la Jachmann-Wagner, già astro fulgidissimo dell’opera nostra, non è più qui. Essa fu la creatrice dell’Orfeo ed i vecchi frequentatori dell’opera nuotano ancora nell’entusiasmo ricordando quelle rappresentazioni impareggiabili. Ora abbiamo avuto la Brandt, valentissimo contralto, che seppe uscir dalla prova mostrando di indovinare l’idealismo della parte, cosa non lieve per un’artista avvezza a cantare parti d’ogni natura: Fide, Donna Elvira, Ortrude, Siebel, Maddalena, Azucena e Valentina. La sua voce pieghevole a tutte le sfumature di colore dà alla figura poetica dell’Orfeo una luce magica; e se qualcosa abbiamo a biasimarle è il cattivo tremolo che ei offende sempre che la udiamo cantare come difetto nuovo. Ciò non ostante merita gran lode per l’esecuzione di questa parte difficilissima. Eseguirono lodevolmente le loro parti anche la Lehmann (Euridice) e la Hoiina (Amore), e tutti ottennero applausi meritati. Un’altra rappresentazione del Flauto magico nell’Opernhaus ei diè occasione di conoscere un’ospite nuova, la Gungl da Monaco, e di salutar di gran cuore il ritorno della Grossi, nella parte di Regina della notte. Quanto alla Gungl, il mio giudizio è tosto fatto: ha molto talento e garbo scenico, ma non è tuttavia perfetta; la parte di Ramina è da essa eseguita correttamente, com’è scritta nella partizione di Mozart, ma mi par priva di quella vita individuale, la quale, senza far danno alla musica immortale, le aggiunge luce. Forse n’è colpa l’ansietà (è la seconda volta che si mostra sulla scena) e siamo sicuri che ella sarà un giorno una cantatrice valentissima. La Grossi cantò la sua parte difficilissima con tale purezza e leggerezza che non crediamo possa avere rivali che facciano meglio. Emise il fa acuto con tanta forza che ne tremò il teatro; ha fatto poi molti progressi nell’espressione drammatica e l’andante dell’aria prima le riuscì benissimo. Il Fricke divise colla Grossi gli onori della serata. Un tale Sarastro immaginò • certo il Mozart, creando questa parte; la sua voce di basso è piena, chiara, intonata; ma perchè nelle parole: Ma non gli dono la libertà fa sul ma una lunga fermata che non esiste nell’originale? Certo per mostrar la sua abilità nel sostener a lungo il contra Fa, ma è artifizio che guasta la bellissima aria. Lo Schleich (Tamino) fece del suo meglio e uscì dalla prova con fortuna, il Betz (Parlatore) è impareggiabile nelle poche sue note ed i tre ragazzi e le tre donne fanno stupendamente. Il convegno dei tre imperatori, avvenuto dopo lo scioglimento del contratto della Lucca, rese necessaria la sostituzione d’una cantatrice valente per le feste date in onore degli imperatori e principi stranieri (costarono, sia detto di passaggio, più d’un milione di talleri). Sebbene non dovesse aver luogo un’opera di gala per causa del lutto della casa imperiale d’Absburgo, pure una dica fu necessaria al concerto principale di Corte; fu scelta l’Artot insieme col marito Padilla. Ma per dare agli ospiti stranieri un’idea dell’opera nostra, l’Artot apparve nella parte di Margherita del Faust di Gounod. Questa rappresentazione sarà memorabile per sempre negli annali dell’Opernhaus, a cagione del calore tropicale oltre 30 gradi nell’ombra delle loggie - temperatura rispettabile assai per la zona nortica dell’Atene della Sprea. La valente artista cantò stupendamente al solito e benché splenda meno nell’opera seria che nella buffa fu trovata splendidissima. Il suo canto al fìlalojo fu detto da lei con troppa flemma, ma in somma giustificò di nuovo la sua fama riguardo all’espressione artistica, alla leggerezza maravigliosa, all’accento ed al portamento scenico. Il Niemann (Faust) soffriva evidentemente molto di quel calore africano, però non potè rifulgere come suo costume; veri modelli furono il Betz (Valentino) ed il Salomon (Mefìstofele); l’ultimo, specialmente nella famosa scena della Chiesa nell’atto quarto, fu il diavolo in persona1 Ci fu finalmente un concerto di corte privalo, come disse il programma del maestro delle cerimonie, conte di StillfriedAlcantara, dinanzi ad un pubblico di soli imperatori, re, principi e duchi, naturalmente colle loro dame. Il programma non si compose che di canti, eseguiti sopra d’un palc<f eretto nel centro della grande sala coll’accompagnamento di piano solo suonato dal Oberkapellmeister Taubert, al quale, finito il concerto, l’imperatore d’Austria attaccò di propria mano la croce di cavaliere dell’Ordine di Francesco Giuseppe. Quanto ai pezzi, molto cosmopoliti ma per lo più italiani, eccovi il programma: 1. Aria del Tannhauser, Wagner (Betz) - 2. Duetto nello Stabat Mater, Rossini (La Peschka-Leutner e Artòt) - 3. Non m’amava, Guercia (Padilla) - 4. Aria della Violetta, Verdi (Artòt) - 5. Terzetto nel Guglielmo Teli, Rossini (Niemann, Betz, Fricke) - 6. Scena ed Aria V Amleto, Thomas (Peschka-Leutner) 7. Dilettino nella Favorita, Donizetti (Artòt e Padilla) - 8. Se