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152 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Napoli, 25 aprile. Due giovani maestri napolitani presentaronsi in questi ultimi di al tribunale della critica: Giovanni Avolio e Vincenzo Fornaci. Il primo fa le prime armi con uno spartito buffo; l’altro con un lavoro serio, comunque avesse già scritto molta musica per chiesa e per camera. Mi credete: è per me oltremodo spinoso il dar ragione d’un nuovo lavoro di giovane maestro. Mi si presentano agli occhi le aspre censure che i compilatori della Rivista eli Edimburgo portarono su’ primi lavori giovanili del Byron e i sinistri presagi che fecero sul grande ingegno che doveva poi darci la Parisina, Lara ed altrettali capilavori e mi sgomento. Ma poi prendo animo; se il critico fosse dotato di spirito profetico, allora giudicherebbe inappellabilmente e senza riserve di sorta. Il libretto dell’opera dell’Avolio intitolasi Rosetta ed è ricavato da un’antica commedia del fecondissimo Palombo portante per titolo: La Giardiniera abbruzzese. Il giovane Golisciani l’ha ridotta, in parte l’ha accresciuta, riducendola alla foggia di quelle composizioni che i francesi chiamano pochade. Un agricoltore diviene ricco per un tesoro trovato, ed incomincia a metter su case e poderi, e si tratta da principe, ma nulla perde delle sue abitudini, e, incapace a diventare un po’ più civile, resta sempre un contadino goffo. Ha un figlio che delicatamente fa educare e affida per l’istruzione ad un abate Ruccoletti che avrebbe fatto chi sa che cosa all’idea di quel metallo. Il buon villano pensa al fine di far contrarre matrimonio al figliuolo e tratta con la sorella d’un signore napolitano. Don Sossio del Cocomero, così avea nome quel contadino che comprò poi il titolo di barone, fece i conti senza gli osti, e i fidanzati cercano giuntarlo, chè l’uno, il figlio suo, ama una giardiniera e l’altra, senza il consenso del fratello, avea giurato amore ad un signor Riccardo. L’abate Ruccoletti conviene con esso loro che farà paghi i loro desideri! e poiché era da tutti risaputo che il barone dovea tutte le sue ricchezze al tesoro trovato, esso Ruccoletti travestesi da chinese insieme con Rosetta, il baroncino ed altri, *e, presentatosi in loro compagnia a Don Sossio, gli dice sè essere stato un dì mercante d’asini, e viaggiando, esser giunto in Foggia, dove fece dimora lungamente, e là perchè non glieli toccassero, sotterrò in un giardino 425,000 lire. Percosso da qualche sciagura e ridotto al verde veniva a riprendere il suo denaro. Ma poiché sua figlia avea adocchiato, ritornando ivi con lui un bel giovane, egli avrebbe rinunziato ai denari presi indebitamente da Don Sossio, se questi acconsentisse alle nozze di suo figlio, appunto il bel giovane che avea invaghito la chinese. L’altro accetta, firma un foglio, ma dopo scovre nel Chinese l’abate, nella figliuola di lui la giardiniera Rosetta. Ecco la tela di questa che io non posso chiamare commedia lirica, perchè un’accozzaglia di scene senza saldi legami. La musica segue il libretto, ed è un’accademia di pezzi, alcuni dei quali di effetto, ma senza uniformità di stile, nè vien serbato sempre il carattere della commedia, vanto della scuola napolitana. Per altro è il primo lavoro dùm giovane, il quale mostra di essere abbastanza provetto nel trattar la parte armonica. Il primo atto è superiore agli altri due. Noto precisamente, perchè di maggior effetto l’introduzione, la cavatina di Rosetta, un duetto tra Rosetta e Nicandro ed il finale; nel secondo non è spregevole la romanza di Riccardo, ed il finale; nel terzo atto un’aria dell’abate Ruccoletti e l’aria finale sono i luoghi più notevoli. L’esecuzione affidata ai tenori del Giudice e Lambiase, alla De Nunzio ed ai buffi Savoia e Lamonea fu nel complesso lodevole. Non crediate già che Maria di Torre fosse figliuola di qualcuno di quei potenti signori del milanese: è invece una povera fanciulla di Torre del Greco e l’azione avviene nel 1799, quando i francesi occupavano queste terre. Il libretto è un viavai contitinuo di personaggi; la protagonista non è in iscena che al primo atto, ed al terzo non si presenta che per morire in iscena. Vi sono quattro donne, un tenore, un baritono, un basso. Perchè tanto, lusso di personaggi? Quest’opera, se mal non m’appongo, fu scritta per dilettanti, chè come saprete, il maestro Fornari ed il fratello Ferdinando sono a capo di una filarmonica. Cominciarono dall’eseguire pezzi di piccola lena e finirono con duetti, quartetti celebri. Il bel successo riportato da un lavoro di molta vaglia di quell’eletto ingegno di Niccola d’Arienzo, pur cantato da filarmonici al teatro Accademico al Vico Nilo, allettò, credo, il Fornari a dettar la sua Maria di Torre; ecco perchè tanti personaggi. Fu promessa dal Landi quando il Politeama si aperse a spettacoli in musica, ma poi non andò, come tutte le altre promesse, pel fallimento dell’impresario. Il desiderio di veder rappresentata questa musica fece diventare impresario il Fornari e domenica sera fu eseguita per la prima volta innanzi ad un affollatissimo pubblico la sua Maria. Applausi ve ne furono e senza fine, due bis, innumeri chiamate all’autore che dal suo posto di capo orchestra ringraziava. Come successo il maestro non poteva desiderarlo più brillante, ma nè il brillante successo, nè gli applausi, nè i bis, nè le chiamate potranno farmi astenere dall’esaminare la capacità del giovine maestro, e tralasciare quelle generali osservazioni che coscienziosamente ho in mente di produrre intorno al merito della musica. Il Fornari dispiega una vena melodica alquanto fresca e spontanea; le sue armonie non sempre sono ordinate con arte, la tessitura de’ suoi pezzi, salvo.alcune eccezioni, pecca di lunghezza, il suo stile d’ineguaglianza e taluni pezzi non sembrano coordinati, ma nati a caso. Il Fornari abusa un po’ troppo delle risorse meccaniche della forza degli strumenti di ottone, ma talvolta sa cavare dall’orchestra effetti discreti. Quello pertanto che mi dà piacere e mi fa sperar molto dell’ingegno del Fornari è l’accorgimento drammatico ch’egli appalesa in più d’un tratto dove seppe ben seguire colla musica la poesia e nel ritrarre acconciamente con quella gli affetti e le situazioni espressi da questa. E di accorgimento drammatico fe’ mostra il giovane compositore nel finale del primo atto risultante da un allegro mosso di molto slancio. Nell’aria del baritono, spiega una certa originalità di pensiero e di condotta; a me piace più la prima idea; la cadenza è troppo iperbolica. Dopo questi due pezzi, i migliori dello spartito, vo’ segnalare la romanza di Maria, ch’è appassionata e pur bellina; mi va poco a sangue quel quartettino di donne, nè ben condotto nè ben disposto. Confuso e di equivoca forma è il primo pezzo dell’atto terzo, tuttavia per la maestrevole esecuzione del Montanaro piacque a dismisura. E giacché mi trovo a parlar di esecutori, piacemi qui lodare il baritono Mastriani che seppe rendere accetta tutta la parte sua e vi riuscì in ogni pezzo, vuoi con la perizia drammatica, vuoi col canto lungo e con l’accento passionato. Gli altri (la Sainz, la Malvezzi-Pollettini, la Correris, la Massini, il Tessada, il basso Jorio) fecero del loro meglio. Anche l’orchestra andò bene, anzi fecesi molto applaudire il suonatore di corno inglese nell’assolo e nell’accompagnamento dell’aria al secondo atto. Torno al giovane Fornari per dire che la Maria di Torre presentasi come un pronostico, una speranza di lieto avvenire, e dà certezza dell’attitudine di comporre d’un giovane il quale quando si sarà fatto più franco nel maneggiare la parte esteriore della musica, e più perito nel trattare gli effetti scenici, libero allora da ogni impaccio, più arditamente potrà spaziare nel campo della ispirazione. Le novità non sono ancora finite; dovrei pur rendervi conto della Selvaggia, nuova opera del Viceconte, rappresentata al S. Carlo. Ma ne parlerò di proposito nel prossimo corriere. Per ora vi fo conoscere soltanto che l’esito alla prima sera fu ottimo prendendo argomento delle innumerevoli acclamazioni che il compositore ebbesi al primo e secondo atto; il terzo passò freddamente, all’altra rappresentazione ieri sera, gli applausi scemarono di molto e le 15 chiamate della prima rappresentazione, calarono di due terzi. Ora che tutti i giovani maestri studiano la parte armonica, la strumentale, le situazioni migliori del libretto, meravigliò vedere un compositore, ancor giovane, inalberare una bandiera bianca, segno innocente di reazione musicale. In questa Selvaggia ritornasi all’antico, ma a che antico... saprete altra volta. Due notiziucce e finisco. La Società di Mutuo Soccorso fra i musicisti esecutori d’ordine del Questore venne sciolta, e questa deliberazione fu prodotta dalla morte di quel sonatore di tromba aggredito dal Presidente della Sezione mentre usciva dalle prove del teatro la Fenice come voi annunziaste, Il Trisolini apre il Mercadante in Giugno con spettacoli musicali; udiremo due opere comiche, del Serrao l’una, l’altra del Sarria, il festeggiato autore del Babbeo, rappresentato ben settanta sere al Rossini; sono scritturati i tenori Serazzi e Lambiase per ora. La Maria Tudor del Pacini non sarà rappresentata al San Carlo; la Commissione crede non essere adatta alle nostre massime scene perchè non è delle favorite del fecondo compositore e poi non fu data, e con dubbio successo, che in due teatri. Il Cottrau pertanto, proprietario dello spartito, sogna i grandi successi riportati su quindici teatri si fa promotore di una sottoscrizione tendente a far torre il veto della Commissione. Ma perchè si vuole insultare alla memoria di quel povero ^Pacini riproducendo una delle sue più.scadenti musiche? ÿcUTO.