Capitolo XX

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Cap. XX. Si tratta distintamente de’ motti: deggiono essere leggiadri e sottili: son proprii degli ingegni acuti: non s’usino da chi non ha disposizione di natura ad usarli: come ognuno possa conoscere, s’egli abbia o no abilità a motteggiare con piacevolezza.

97. E dei oltre a ciò sapere, che alcuni motti sono che mordono, e alcuni che non mordono. De’ primi voglio, che ti basti il savio ammaestramento che Lauretta ne diede; cioè che i motti, come la pecora morde, deono così mordere l’uditore; e non come il cane, perciocchè se come il cane mordesse, il motto non sarebbe motto, ma villania; e le leggi quasi in ciascuna città vogliono, che quegli che dice altrui alcuna grave villania, [p. 61 modifica]sla gravemente punito; e forse che si conveniva ordinar similmente non leggiera disciplina a chi mordesse per via di motti oltra il convenevole modo: ma gli uomini costumati deono far ragione, che la legge che dispone sopra le villanie, sì stenda eziandio a’ motti; e di rado, e leggermente pungere altrui.

98. E oltre a tutto questo sì dei tu sapere, che il motto, comechè morda o non morda, se non è leggiadro e sottile, gli uditori niuno diletto ne prendono; anzi ne sono tediati; o se pur ridono, si ridono, non del motto, ma del motteggiatore. E perciocchè niuna altra cosa sono i motti, che inganni; e lo ingannare, siccome sottil cosa e artificiosa, non si può fare se non per gli uomini di acuto e di pronto avvedimento, e specialmente improvviso; perciò non convengono alle persone materiali e di grosso intelletto; nè pure ancora a ciascuno il cui ingegno sia abbondevole e buono, siccome per avventura non convennero gran fatto a messer Giovan Boccaccio: ma sono i motti speziale prontezza e leggiadria, e tostano movimento di animo. Per la qual cosa gli uomini discreti non guardano in ciò alla volontà, ma alla disposizion loro; e provato che essi hanno, una e due volte, le forze del loro ingegno invano, conoscendosi a ciò poco destri, lasciano stare [p. 62 modifica]di pur voler in sì fatto esercizio adoperarsi; acciocchè non avvenga loro quello che avvenne al cavaliere di madonna Oretta. E se tu porrai mente alle maniere di molti, tu conoscerai agevolmente ciò che io ti dico esser vero; cioè che non istà bene il motteggiare a chiunque vuole, ma solamente a chi può.

99. E vedrai tale avere ad ogni parola apparecchiato uno, anzi molti di quei vocaboli che noi chiamiamo bisticcichi, di niun sentimento; e tale scambiar le sillabe ne’ vocaboli per frivoli modi e sciocchi; e altri dire, o rispondere altrimenti che non si aspettava, senza alcuna sottigliezza o vaghezza. — Dove è il signore? Dove egli ha i piedi; e gli fece unger le mani con la grascia di s. Giovan Boccadoro; e dove mi manda egli? ad Arno: Io mi voglio radere: E’ sarebbe meglio rodere. Va, chiama il Barbieri: E perchè non il Barbadomani? — I quali, come tu puoi agevolmente conoscere, sono vili modi e plebei. Cotali furono per lo più le piacevolezze e i motti di Dioneo.

100. Ma della più bellezza de’ motti, e della meno non fia nostra cura di ragionare al presente; couciossiachè altri trattati ce ne abbia, distesi da troppo migliori dettatori e maestri che io non sono; e ancora perciocchè i motti hanno incontinente larga e certa testimonianza della loro bellezza e della loro spia[p. 63 modifica]cevolezza: sicchè poco potrei errare in ciò; solo che tu non sii soverchiamente abbagliato di te stesso; perciocchè dove è piacevol motto, ivi è tantosto festa e riso, e una cotale maraviglia. Laonde se le tue piacevolezze non saranno approvate dalle risa de’ circostanti, sì ti rimarrai tu di più motteggiare; perciocchè il difetto fia pur tuo, e non di chi t’ascolta; conciossiachè gli uditori, quasi solleticati dalle pronte o leggiadre o sottili risposte, o proposte, eziandio volendo, non possono tener le risa, ma ridono mal lor grado; da’ quali, siccome da diritti e legittimi giudici, non si dee l’uomo appellare a se medesimo, nè più riprovarsi.

104. Nè per far ridere altrui si vuol dire parole, nè fare atti vili, nè sconvenevoli, storcendo il viso e contraffacendosi; chè niuno dee, per piacere altrui, avvilire se medesimo; che è arte non di nobile uomo, ma di giocolare e di buffone. Non sono adunque da seguitare i volgari modi e plebei di Dioneo: Madonna Aldruda, alzate la coda. Nè fingersi matto, nè dolce di sale; ma a suo tempo dire alcuna cosa bella e nuova, e che non caggia così nell’animo a ciascuno, chi può; e chi non può, tacersi: perciocchè questi sono movimenti dello ’ntelletto, i quali se sono avvenenti e leggiadri, fanno segno e testimonianza della destrezza dell’animo, e de’ costumi [p. 64 modifica]di chi gli dice: la qual cosa piace sopra modo agli uomini, e rendeci loro cari e amabili; ma se essi sono al contrario, fanno contrario effetto; perciocchè pare che l’asino scherzi, o che alcuno, forte grasso e naticuto, danzi o salti spogliato in farsetto.