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il proverbio del comun popolo, si rechi la cattività a scherzo: comechè a madonna Filippa da Prato molto giovassero le piacevoli risposte da lei fatte intorno alla sua disonestà.

96. Per la qual cosa non credo io, che Lupo degli Uberti alleggerisse la sua vergogna, anzi la aggravò, scusandosi per motti della cattività e della viltà da lui dimostrata; chè potendosi tenere nel castello di Laterina, vedendosi steccare intorno e chiudersi, incontinente il diede, dicendo, che nullo lupo era uso di star rinchiuso. Perchè dove non ha luogo il ridere, quivi si disdice il motteggiare e il cianciare.

Cap. XX. Si tratta distintamente de’ motti: deggiono essere leggiadri e sottili: son proprii degli ingegni acuti: non s’usino da chi non ha disposizione di natura ad usarli: come ognuno possa conoscere, s’egli abbia o no abilità a motteggiare con piacevolezza.

97. E dei oltre a ciò sapere, che alcuni motti sono che mordono, e alcuni che non mordono. De’ primi voglio, che ti basti il savio ammaestramento che Lauretta ne diede; cioè che i motti, come la pecora morde, deono così mordere l’uditore; e non come il cane, perciocchè se come il cane mordesse, il motto non sarebbe motto, ma villania; e le leggi quasi in ciascuna città vogliono, che quegli che dice altrui alcuna grave villania,