Capitolo XXI

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Cap. XXI. Del favellare disteso e continuato. Si danno regole per far un racconto con leggiadria, e piacere degli uditori.

102. Un’altra maniera si truova di sollazzevoli modi, pure posta nel favellare; cioè quando la piacevolezza non consiste in motti, che per lo più sono brievi, ma nel favellar disteso e continuato: il quale vuole essere ordinato e bene espresso, e rappresentante i modi, le usanze, gli atti e i costumi di coloro de’ quali si parla; sicchè all’uditore sia avviso non di udir raccontare, ma di veder con gli occhi fare quelle cose che tu narri: il che ottimamente seppero fare gli uomini e le donne del Boccaccio; comechè pure talvolta, se io non erro, si contraffacessero più che a donna o a gentiluomo non si sarebbe convenuto; a guisa di coloro che recitan le commedie: e a voler ciò fare, bisogna aver quello accidente, o novella o istoria che tu pigli a dire, bene raccolta nella mente; e le parole pronte e apparecchiate sì, che non ti convenga tratto tratto dire: — Quella cosa, [p. 65 modifica]e quel cotale; o quel come si chiama, o quel lavorio; nè: Aiutatemelo a dire, e ricordatemi come egli ha nome; perciocchè questo è appunto il trotto del cavalier di madonna Orella.

103. E se tu reciterai uno avvenimento nel quale intervengano molti, non dei dire: Colui disse, e colui rispose; — perciocchè tutti siamo colui; sicchè chi ode facilmente erra. Conviene adunque, che chi racconta, ponga i nomi, e poi non gli scambi.

104. E oltre a ciò si dee l’uomo guardare di non dir quelle cose le quali taciute, la novella sarebbe non meno piacevole, o per avventura ancora più piacevole: Il tale, che fu figliuol del tale, che stava a casa nella via del Cocomero: nol conosceste voi? che ebbe per moglie quella de’ Gianfiliazzi; una cotal magretta, che andava alla messa in s. Lorenzo? come no? anzi non conosceste altri Un bel vecchio diritto, che portava la zazzera: non ve ne ricordate voi? — Perciocchè se fosse tutto uno, che il caso fosse avvenuto ad un altro, come a costui, tutta questa langa quistione sarebbe stata di poco frutto; anzi di molto tedio a coloro che ascoltano, e sono vogliosi e frettolosi di sentire quello avvenimento; e tu gli aresti fatti indugiare; siccome per avventura fece il nostro Dante:

E li parenti miei furon Lombardi,
E Mantovan per patria ambidui;

[p. 66 modifica]perciocchè niente rilevava, se la madre di lui fosse stata da Gazzuolo, o anco da Cremona.

105. Anzi apparai io già, da un gran rettorico forestiero, uno assai utile ammaestramento dintorno a questo; cioè, che le novelle si deono comporre e ordinare prima co’ soprannomi, e poi raccontare co’ nomi; perciocchè quelli sono posti secondo le qualità delle persone: e questi secondo l’appetito de’ padri, o di coloro a chi tocca. Per la qual cosa colui che in pensando fu madonna Avarizia, in profferendo sarà messer Erminio Grimaldi; se tale sarà la generale opinione che la tua contrada arà di lui, quale a Guglielmo Borsieri fu detto esser di messer Erminio in Genova. E se nella terra, ove tu dimori, non avesse persona molto conosciuta che si confacesse al tuo bisogno, sì dei tu figurare il caso in altro paese, e il nome imporre come più ti piace.

106. Vera cosa è, che con maggior piacere si suole ascoltare, e più aver dinanzi agli occhi quello che si dice esser avvenuto alle persone che noi conosciamo (se l’avvenimento è tale che si confaccia a’ loro costumi) che quello che è intervenuto agli strani e non conosciuti da noi: e la ragione è questa; che sapendo noi, che quel tale suol far così, crediamo che egli così abbia fatto, e [p. 67 modifica]riconosciamolo come presente; dove degli strani non avvien così.