Firenze sotterranea/Capitolo XII

Capitolo XII

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XII


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Bisogna vi racconti due fatti, e vi citi due nomi, a darvi idea più piena delle condizioni di certe abitazioni nel Ghetto. In piazza della Fonte dimora un certo Gustavo Franzini, uomo che ha statura di gigante, e che fu uno di que’ capi tamburi de’ veliti toscani, [p. 170 modifica]delizia e sospiro delle bambinaie, che tennero in grembo i nostri padri e i nostri avoli.

Egli ricorda, tutto lieto, i passati splendori: i tempi nei quali gittava in aria la mazza dal pomo lucido, ammaiata di cordoni colorati, e la ripigliava con singolare agilità, marciando dinanzi al reggimento. Ora costui, caduto in miseria, se n’andò nel Ghetto a cercare un riparo, gli fu domandato quanto poteva pagar di pigione: non poteva offrire al padrone di casa più di un franco e mezzo. Gli fu proposta allora una stanzetta in piazza della Fonte: ci andò, ma si accorse di un guaio, egli era più alto della stanza! Come fare? Risolvettero di scavare nel mezzo della stanza una buca: fu scavata: e il Franzini, quando ha aperto l’uscio della sua abitazione, dalla soglia allunga un piede nella buca, poi l’altro: e così entra e può stare in casa sua, senza chinarsi.

Ma singolarissimo è ciò che accadde al tornitore David Chimenti, giovane di gran cuore, tipo di onesto popolano, fregiato di medaglie per atti di coraggio da lui compiuti.

Egli ha in piazza della Fonte la sua bottega. Or è qualche tempo, un giorno dopo colazione, seduto su uno sgabello, guardava verso una certa [p. 171 modifica]piegatura, che facea il soffitto della bottega: e gli parve riconoscere il principio di una scala murata.

Battè nel muro con un martello. Il muro suonava come fosse vuoto: battè e ribattè: dall’altra parte nessuno rispose. La sera, rimasto solo, si attentò ad aprire una buca: quando fu assai grande vi passò un lume e vide una stanzuccia vuota. Chiamò sotto voce, chiamò più volte, nessuno rispose.

Allora fece nel muro una vera breccia ed entrò, dopo essersi armato. Credeva poter ritrovarsi in uno di que’ sotterranei, che sono in certi punti del Ghetto e dove si nascondono i ricercati dalla giustizia.

La scala, come egli aveva immaginato, c’era davvero e scendeva giù verso una bodola, che metteva ad una cantina. Il Chimenti è un giovinolo robusto, franco, non è facile che abbia paura. Scese per la bodola nella cantina. I topi gli furono addosso da ogni parte, scappando a diecine qua e là, cadendo dal solaio in frotte, tanto che, strisciandogli vicino, e movendo l’aria, gli spensero il lume.

Rimasto così al buio, il giovane non si perdette d’animo; riaccese subito il lume: e vide [p. 172 modifica]nella cantina un intero scheletro di donna. Da quanti e quanti anni lo scheletro giaceva dietro la muraglia, che l’operaio aveva allora abbattuto? a chi avevano appartenuto le due stanze da lui scoperte? Da chi, e per ordine di chi erano state murate?

Mistero impenetrabile... Ma è certo che la donna era stata gettata là vestita; perchè intorno allo scheletro, e in certi punti della stanza erano stracci di panni, rosicchiati da topi.

Ad aver potuto rimetter la carne, il sangue, richiamare la vita in quello scheletro, dargli una voce, chi sa la storia terribile che avrebbe raccontato la bocca di quella donna!...


Prima di finire la mia descrizione, voglio toccare un motto del quartiere delle Concie.

La via delle Concie si stende in un punto ove il livello della città digrada, si va avvallando. In tale strada vivono ammassati, affogati in poche stanze, e spesso sui monti della vallonèa, gli operai delle Concie con le loro famigliuzze.

Il fetore, che getta la lavorazione delle pelli, si fa sentire nelle Scuole comunali, negli Asili [p. 173 modifica]infantili, nella Pia Casa di Lavoro, nell’Orfanotrofio di San Filippo Neri, e nelle Murate, grandi stabilimenti vicini dell’infetto quartiere.

Gli spurghi, i rifiuti della lavorazione delle pelli scorrono lentamente nelle fogne, fanno sedimenti, ne emanano miasmi pestilenziali. Tutte queste acque torbe sgocciolano nella fogna di via delle Torricelle, che ha uno strato di rifiuti delle Concie, alto un mezzo metro.

La miserabile popolazione, che brulica in via della Sciabbie si nutrisce soltanto ad una squallida osteria di quella strada. Lì in grossi paiuoli si fanno bollire le teste di vacca e di manzo e nel crasso brodo s’inzuppano fette di pan nero. L’ostico beverone costa cinque centesimi per scodella. Le donne di questa via si chiamano le Sciabbine.

Ed ora... è tempo di ammainare le vele! Veniamo alle conclusioni del mio lavoro.