Fior di Sardegna/Capitolo XXVII
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XXVII.
— Rinchiudi bene le porte, Peppa, stasera il babbo è assente, tu lo sai bene, e ci si potrebbe fare qualche brutto scherzo, — disse una sera Lara alla serva, quando senti suonare il tocco delle nove all’orologio della torre di Santa Maura.
Peppa assicurò bene tutte le porte, poi se ne andò a letto augurando la buona notte alla padroncina, che rimase leggendo accanto al fuoco. — Suonò un quarto... Lara lasciossi andare sul grembo il libro che leggeva ma di cui non capiva una parola e alzò il capo. Dunque tutti dormivano! La mamma, la sorellina, le serve? Dunque il padre era assente e lei quella sera era sola, proprio sola? Un sorriso di gioia, d’incredulità sfiorò le labbra di Lara e le trasfigurò la fisionomia per il solito pensosa e dolente. Ma era proprio vero? non sogna-va? Suonò la mezz’ora. Lara si alzò, ma provava tale un brivido, che dovette appoggiarsi ad una sedia per non cadere.
Il più profondo silenzio regnava nella casa. Lara ascoltò attentamente, e i suoi occhi, già abbastanza grandi ed oscuri, si fecero enormi, opachi, quasi velati da quel silenzio immenso, da quell’oscurità ch’era la sua vita, l’ora della sua gioia; poi si gettò uno scialletto bianco sulle spalle e riaprì senza far rumore tutte le porte che Peppa, a sua raccomandazione, aveva rinchiuso con più cura delle altre notti.
Ma se Lara temeva gli scherzi di cattivo gusto dei ladri, perchè riapriva le porte? Aveva forse sentito qualche rumore in giardino e coraggiosa, da brava sarda, usciva per assicurarsi che di ladri non ce n’erano punto? — Infatti uscì in giardino, ma anche là regnava il silenzio profondo delle notti d’autunno. La campagna brulla dormiva sotto le onde di luce argentea del plenilunio, non una nuvola sul cielo di un azzurro limpido, latteo, stillante brina. Attraverso la solitudine della vallata risonava il murmure del torrente gonfio dalle ultime pioggie che si precipitava fra le rupi delle montagne lontane. Nient’altro! Non un profumo, non un fruscio. Le rame secche si disegnavano quasi scheletri rossastri, esili, desolati fra l’atmosfera azzurra, nè il raggio della luna proiettava alcun arabesco di foglie o di fiori sul terreno spazzato dal vento della notte prima; solo la sabbia del viale, che scricchiolava sotto i piedini di Lara, mandava un tenue riflesso sulle orme lasciate da lei. Così la fanciulla arrivò in fondo al giardino, si fermò al cancello e ascoltò. Nulla! Se non venisse, se non venisse quella sera! No, no! A lei pareva un sogno; lei si sentiva allegra come mai in sua vita, lei avrebbe rinunziato al milione se le avessero detto: — Và stanotte a letto e ti daremo un milione! — lei...
— Lara! Lara!... — mormorò una voce al di fuori del cancello.
Lara aprì, e prima che il pallore apportato al suo viso da quell’ultima paura fosse svanito, due braccia forti frementi le strinsero la vita sottile e due labbra di fuoco le tempestarono di baci ardenti le gote bianche e le labbra gelide.
Oh, che ladro, che ladro strano! Era un giovine alto, elegante, avvolto in un mantello scuro. Lara chiuse il cancello e disse:
— Finalmente possiamo parlarci senza paura! Ma per più sicurezza sarebbe meglio ritirarci là, dietro il giardino, sotto il loggiato.
— Fa ciò che tu vuoi! — rispose Massimo. E cingendole sempre la vita con un braccio, rifecero insieme il viale, in punta di piedi, guardandosi forte negli occhi scintillanti alla luce della luna, con un sorriso e uno sguardo d’inesprimibile amore.
Arrivati sotto il loggiato, poco poetico e molto oscuro, ma da cui potevansi udire i rumori della casa, se mai a donna Margherita saltasse su l’idea di levarsi nella notte, Massimo si sedette su una sedia ivi preparata.
Perchè Lara aveva preparato una sola sedia? Disegnava forse di starsene ritta? Chissà! Il fatto è che fece un moto per assidersi su una panca lì vicina, ma il giovine non glielo permise, — Qui! qui!... — mormorò, e attirandola dolcemente a sè, la fece sedere sulle sue ginocchia e avvincendola di nuovo con le sue braccia la baciò ancora a lungo.
— Abbracciami anche tu, Lara mia, — disse, — e poi ragioneremo.
Lara gli cinse il collo con le sue braccia sottili e intrecciò le sue piccole mani sull’omero sinistro di lui. Che brivido acuto le tremava per le spalle e faceva scricchiolare il suo corsetto stretto sotto la cintura svizzera del grembiale di lana rosa!... ma non era fremito di paura nè di voluttà. Lara non temeva, il padre essendo assente, e, caso strano, non provava la voluttà sì a lungo sognata, nel trovarsi finalmente sulle ginocchia del suo adorato, stretta al suo seno, baciata sì ardentemente da lui. Restava inerte, con la percezione più acuta di ciò che faceva, pure si sentiva trasportata in un mondo diverso. Lo scintillìo delle stelle le diceva: — Bada, Lara, non è da fanciulla onesta lo starsene così di notte sulle ginocchia di un uomo mentre tuo padre lontano e tua madre che dorme ti sognano sempre pura e pia! Dio ti vede! - e lei sentiva questa voce arcana, sentiva che diceva la verità, provava un lieve rimorso e mormorava: — Padre mio, perchè mi hai lasciato sola? — ma nello stesso tempo desiderava ardentemente che niuno venisse a costringerla di lasciare Massimo, e importavasi delle stelle, delle voci notturne e persino di Dio. Massimo era il suo Dio, e lei lo adorava perdutamente.
Nel sentirsi così vicina a lui, che non vedeva per intere settimane, provava un piacere infinito, ma tutto psicologico, casto, purissimo, e tremava solo perchè l’aria fredda della notte le pungeva la personcina poco coperta dal costume per casa, le gelava il sangue già assai freddo e molto calmo.
Massimo se ne occorse. Sorrise, aprì il suo ampio mantello e coperse accuratamente tutta intera la fanciulla. Così formarono un graziosissimo gruppo; una grossa macchia nera su cui spiccavano la testa di Lara avvolta nello scialletto bianco e la testa di Massimo ombreggiata da un cappello di feltro, molle, posto alla bizzarra.
— Così stiamo bene, non è vero? Stai bene, Lara?
— Sì!
— Allora ragioniamo!
— Ragioniamo!
— Sei certa che stanotte non possono sorprenderci?
— Certissima! Mio padre, come ti scrissi, è partito stamattina e tornerà domani sera. In quanto alla mamma, tu lo sai, non dubita di nulla, nè si leverà entro notte. Se per caso si leva, noi udiremo i suoi passi attraverso il cortile e tu potrai scappare senza essere veduto nè sospettato...
— Sì, e tu? per me non temo nulla, è per te che temo Lara mia.
— Oh! io, — rispose ella guardando in alto con un sorriso, quasi cercando una ispirazione nel cielo, se la mamma mi sorprende qui prima della mezzanotte, le dirò che non sono ancora andata a letto e che sto rinchiudendo bene le porte, come ella stessa mi ha avvertito; se poi mi sorprende dopo la mezzanotte le dirò che non potendo dormire mi son levata e sono uscita, sembrandomi udire dei rumori. La mamma sa bene che io non ho paura di uscir fuori la notte. Ho anzi una rivoltella carica sul tavolino da notte e all’occasione...
— A proposito! — esclamò Massimo, che intanto le aveva dato un bacio sotto il mento. — Ho qui la mia rivoltella e potrebbe esplodere. Permetti...— Riaprì il mantello, trasse fuori la rivoltella e la pose sotto la sedia dicendo: — Se per caso dovessi scappare senza avere il tempo di riprenderla, tu, Lara mia, nascondila bene, magari sotterra, perchè trovandola qui diverrebbe il corpo del reato... — Risero entrambi di cuore: trovavansi in tale stadio che la minima cosa li faceva ridere o piangere. Lara domandò!
— Dunque sei armato? di che temi?
— Di tutto, Lara! Tu sai che pende la morte su di me, perchè t’amo e mi ami. Vado armato per difesa, ma ti giuro sul mio onore che non adoprerei la rivoltella se non agli estremi, come non mi armerei di questo se non dopo avere i polsi rotti... — E trasse di tasca un’altra arma più terribile assai della prima, uno di quei tremendi pugni di ferro, di cui due o tre colpi ben aggiustati bastano per mandare un cristiano all’altro mondo, senza fracasso alcuno. Lo provò sulla mano di Lara, ma era così piccola, che in ogni foro del pugno entravano due sue dita. — Non mi va! — disse lei pensosa, scotendo la testa.
— Eppure, — rispose Massimo, - una notte ho sognato che tu mi percotevi con uno di questi, alle tempia, chiamandomi infedele!
— Lo farei, se ciò fosse! Però, dimmi, stasera non occorreva che ti armassi tanto.
— E’ sempre meglio prevedere, Lara. Vedi che mi sono anche quasi travestito. Sembro un brigante calabrese!
— Davvero! Ma un brigante molto simpatico, davvero, davvero...
Intanto fra un moto e l’altro il mantello scivolando aveva scoperto le spalle di Lara, che tremava nuovamente.
— Vile di un mantello! — esclamò Massimo, ricoprendola. — Fa il restio, il superbo! Ma guardate un pò che imbecille! non voler coprire le castissime e adorate spalle della fanciulla mia! Onore che sarebbe ambito dai re! Vorrei ben trasformarmi io in mantello per coprirti sempre, Lara bella, e questo stupido si fa pregare! Ma bisogna che serva lo stesso al suo padrone. Su, copri la mia Lara! Stai bene così?
— Sì, — rispos’ella. — Il tuo mantello non vuol esserci complice! Dì! se domani parlasse!
— Oh, starà pur zitto, come ora sarà testimonio a tutto ciò che diremo, o piuttosto complice forzato e necessario!
— Qui un nuovo bacio lunghissimo. Massimo tremava di tanto in tanto, chissà di che, quasi senza accorgersene, gli occhi sempre immersi in quelli di Lara, dicendole sempre: — Lara, Lara mia, come sei bella! Sembri una Madonnina, così, con questo sciallo bianco, sai! Come sei affascinante! Sai una cosa? Sei la fanciulla più bella ed elegante di X***. Vai sempre elegantissimamente vestita. L’altro giorno ti vidi vestita di nero e mi sei piaciuta assai. Il nero ti sta benissimo; vestiti sempre così. Come sei bella e cara! Per me sei la fanciulla più bella del mondo. Sei un angelo, non è vero? Sì, sei l’angelo mio, il mio angelo custode! Lara bella!
Lara sorrise, ma di un sorriso strano. Si sdegnava nel sentirsi così lodata, a quell’ora. — No, sono una donna, Massimo. Gli angioli non si siedono in grembo dei loro amanti, di notte, assente il padre!...
— Che dici mai? — esclamò il giovine.
— Sì, Massimo! Credi che non sappia tutto il peso dell’azione che fo?
— Ma che male c'è? — rispose lui, sdegnandosi a sua volta. — Che sarebbe dell’amore senza intrighi, senza baci, senza convegni? Lara, non aver paura! Io sono un giovine onesto, e il mio amore è al di sopra di ogni idea mondana. Sulle mie ginocchia sei sicura come bambina lo eri su quelle di tua madre; e se hai fatto fermo proposito di diventar mia, non devi provar rimorso, nè rossore alcuno! — Ma Lara, non convinta, rispose:
— Sì, sì, son belle ragioni le tue, ma, dimmi, se ora, rientrando in casa tua, trovassi tua sorella seduta così con un uomo, con un uomo da cui la dividono mille ostacoli come me da te, che faresti?
Lo fissò coi suoi occhi scrutatori, e lo sentì fremere.
— Nulla! — rispose lui, dopo qualche istante.
— Lo dici a me! — mormorò la fanciulla, rallentando le mani sulla spalla di Massimo, o chinando la testa. — E ammetto che tu non faresti nè diresti nulla, ma dopo disprezzeresti tua sorella con tutta l’anima tua, non è vero?...
Massimo sospirò: pensava che Lara forse aveva ragione e chiedevasi se doveva disprezzarla perchè commetteva una leggerezza pur sapendolo, e se doveva amarla di più perchè faceva ciò per amore di lui. Si fermò sull’ultima conclusione. In quel punto Lara gli sembrò la più savia e buona fra le fanciulle, splendida larva d’amore e d’onestà e sentì che da quell’istante l’avrebbe adorata e stimata di più. Non sapendo come meglio esprimerle questi sentimenti, la baciò ancora, ancora...
Ma lei, diventava triste: appoggiò la testa sull’omero di lui e mormorò: — Oh, se potessi morire così! — rinchiuse gli occhi, mentre il giovane la susurrava dolcemente:
— Dormi! Dormi, mia adorata bambina! Ninna nanna!....
Forse Lara avrebbe finito con l’addormentarsi davvero, se uno strano grido non fosse risonato poco lontano. Rialzò la testa e guardò Massimo: entrambi impallidirono lievemente.
— Senti, Lara! Mi pare che ci sorprendano!
Lei ascoltò ansiosamente. Il grido si fece di nuovo sentire più chiaro, più bizzarro; non era voce umana, neppure di animale domestico, nè di uccello. Pure Lara, da buona campagnuola, credè di riconoscerlo, e disse sorridendo:
— E’ il grido della volpe. Non temiamo! Son gli uomini che dobbiamo temere noi... — Tuttavia con un fremito nella voce sommessa, si strinse di nuovo al collo di Massimo.
— Gli uomini! sì, gli uomini! — rispose lui con un sospiro d’angoscia.