Filippo (Alfieri, 1946)/Atto quinto
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Carlo.
che morte omai? Scevra d’infamia almeno
l’avessi!... Ah! deggio dal crudel Filippo
piena d’infamia attenderla. — Un sol dubbio,
e peggior d’ogni morte, il cor mi punge.
Forse ei sa l’amor mio: nei fiammeggianti
torvi suoi sguardi un non so qual novello
furor, mal grado suo, tralucer vidi...
E il suo parlar colla regina or dianzi...
E l’appellarmi; e l’osservar... Che fia...
(oh ciel!) che fia, se a lui sospetta a un tempo
la consorte diventa? Oimè! giá forse
punisce in lei la incerta colpa il crudo;
che del tiranno la vendetta sempre
suol prevenir l’offesa... Ma, se a tutti
il nostro amor, ed a noi quasi, è ignoto,
donde il sapria?... me forse avrian tradito
i sospir miei? Che dico? a rio tiranno
noti i sospir d’amore?... A un cotal padre
penetrare il mio amor mestier fors’era,
per farsi atroce, e snaturato? Al colmo
l’odio era in lui, né piú indugiar potea.
Ben venga il dí, ben venga, ov’io far pago
turba di amici della sorte lieta!
Dove or sei tu? nulla da voi, che un brando,
vorrei; ma un brando, onde all’infamia tormi,
nessun di voi mel porgerá... Qual sento
stridor?... la ferrea porta si disserra!
Che mi si arreca? udiam... Chi fia?
SCENA SECONDA
Isabella, Carlo.
Regina, tu? Chi ti fu scorta? Oh! quale
ragion ti mena? amor, dover, pietade?
Come l’accesso avesti?
Isab. Ah! tutto ancora
non sai l’orror del tuo feral destino:
tacciato sei di parricida; il padre
ti accusa ei stesso; un rio consiglio a morte
ti danna; ed altro all’eseguir non manca,
che l’assenso del re.
Carlo S’altro non manca,
eseguirassi tosto.
Isab. E che? non fremi?
Carlo Gran tempo è giá, ch’io di morir sol bramo.
E il sai ben tu, da cui null’altro io chiesi,
che di lasciarmi morire ove sei.
Mi è dura, sí, l’orrida taccia; è dura,
ma inaspettata no. Morir m’è forza;
fremerne posso, ove tu a me lo annunzi?
Isab. Deh! non parlarmi di morte, se m’ami.
Cedi per poco all’impeto...
Carlo Ch’io ceda?
Or, ben mi avveggo; hai di avvilirmi assunto
il crudo incarco; il genitore iniquo
Isab. E il puoi tu creder, prence?
Ministra all’ire io di Filippo?...
Carlo A tanto
potria sforzarti, anco ingannarti ei forse.
Ma, come or dunque a me venirne in questo
carcer ti lascia?
Isab. E il sa Filippo? Oh cielo!
Guai, se il sapesse!...
Carlo Oh! che di’ tu? Filippo
quí tutto sa: chi mai rompere i duri
comandi suoi?...
Isab. Gomez.
Carlo Che ascolto? Oh! quale,
qual profferisti abbominevol nome,
terribile, funesto!...
Isab. A te nemico
non è, qual pensi...
Carlo Oh ciel! s’io a me il credessi
amico mai, piú di vergogna in volto
avvamperei, che d’ira.
Isab. Ed ei pur solo
sente or di te pietá. L’atroce trama
ei del padre svelommi.
Carlo Incauta! ahi troppo
credula tu! che festi? ah! perché fede
prestavi a tal pietá? Se il ver ti disse
dell’empio re l’empissimo ministro,
ei col ver t’ingannò.
Isab. Ma il dir, che giova?
Di sua pietá non dubbj effetti or tosto
provar potrai, se a’ preghi miei ti arrendi.
Ei quí mi trasse di soppiatto; e i mezzi
giá di tua fuga appresta: io ve l’indussi.
Deh! non tardar, t’invola: il padre sfuggi,
la morte, e me.
da me tu stessa involati; che a caso
Gomez pietá non finge. In qual cadesti
insidíoso laccio! Or sí, ch’io fremo
davvero: omai, qual dubbio avanza? appieno,
Filippo appien giá penetrò l’arcano
dell’amor nostro...
Isab. Ah! no. Poc’anzi io il vidi,
mentre dal suo cospetto a viva forza
eri strappato: ei d’ira orrenda ardea:
io tremante ascoltavalo; e lo stesso
tuo sospetto agitavami. Ma poscia,
in me tornata, il suo parlar rammento;
e certa io son, che ogni altra cosa ei pensa,
fuor che questa, di te... Perfin sovviemmi,
ch’ei ti tacciò d’insidíar fors’anco,
oltre i suoi giorni, i miei.
Carlo Mestier sarebbe
che al par di lui, di lui piú vile, io fossi,
a penetrar tutte le ascose vie
dell’intricato infame laberinto.
Ma, certo è pur, che orribil fraude asconde
questo inviarti a me: ciò ch’ei soltanto
finor sospetta, or di chiarire imprende.
Ma, sia che vuol, tu prontamente i passi
volgi da questo infausto loco: indarno
tu credi, o speri, che adoprarsi voglia
Gomez per me: piú indarno ancor tu speri,
s’anco egli il vuol, che gliel consenta io mai.
Isab. E fia pur ver, ch’infra tal gente io tragga
gl’infelici miei dí?
Carlo Vero, ah pur troppo! —
Non indugiar più omai; lasciami; trammi
d’angoscia mortalissima... Mi offende
pietade in te, se di te non la senti.
Va, se hai cara la vita...
cara?...
Carlo Il mio onor, dunque e la fama tua.
Isab. Ch’io ti abbandoni in tal periglio?
Carlo A tale
periglio esporti? a che varria? Te stessa
tu perdi, e me non salvi. Un sol sospetto
virtude macchia. Deh! la iniqua gioja
togli al tiranno di poter tacciarti
del sol pensier pur rea. Va: cela il pianto;
premi i sospir nel petto: a ciglio asciutto,
con intrepida fronte udir t’è forza
del mio morire. Alla virtú fian sacri
quei tristi dí, che a me sopravvivrai...
E, se pur cerchi al tuo dolor sollievo,
fra tanti rei, sol uno ottimo resta;
Perez, cui ben conosci: ei pianger teco
potrá di furto;... e tu, con lui talvolta
di me parlar potrai... Ma intanto, vanne:
esci;... fa ch’io non pianga,... a brano a brano
deh non squarciarmi il cuore! ultimo addio
prendi,... e mi lascia;... va: tutta or m’è d’uopo
la mia virtude; or, che fatal si appressa
l’ora di morte...
SCENA TERZA
Filippo, Isabella, Carlo.
perfido, è giunta: io te l’arreco.
Isab. Oh vista!
Oh tradimento!...
Carlo Ed io son presto a morte:
dammela tu.
Filippo Morrai, fellon: ma pria,
voi, scellerata coppia. — Infami; io tutto,
sí, tutto io so: quella, che voi d’amore,
me di furor consuma, orrida fiamma,
m’è da gran tempo nota. Oh quai di rabbia
repressi moti! oh qual silenzio lungo!...
Ma entrambi al fin nelle mie man cadeste.
A che dolermi? usar degg’io querele?
Vendetta vuolsi; e avrolla io tosto; e piena,
e inaudita l’avrò. — Mi giova intanto
goder quí di vostr'onta. Iniqua donna,
noi creder giá, che amata io t’abbia mai;
né, che gelosa rabbia al cor mi desse
martíro mai. Filippo in basso loco,
qual è il tuo cor, l’alto amor suo non pone;
né il può tradir donna che il merti. Offeso
in me il tuo re, non il tuo amante, hai dunque.
Di mia consorte il nome, il sacro nome,
contaminato hai tu. Mai non mi calse
del tuo amor; ma albergare in te sí immenso
dovea il tremor del signor tuo, che tolto
d’ogni altro amor ti fosse anco il pensiero. —
Tu seduttor, tu vile;... a te non parlo;
nulla in te inaspettato; era il misfatto
di te sol degno. — Indubitate prove
m’eran (pur troppo!), ancor che ascosi, i vostri
rei sospiri; e il silenzio, e i moti, e il duolo,
che ne’ vostri empj cori al par racchiuso
vedeva, e veggo. — Or, che piú parlo? eguale
fu in voi la colpa; ugual fia in voi la pena.
Carlo Che ascolto? In lei colpa non è: che dico?
Colpa? né l’ombra pur di colpa è in lei.
Puro il suo cor, mai di sí iniqua fiamma
non arse, io ’l giuro: appena ella il mio amore
seppe, il dannò...
Filippo Fin dove ognun di voi
tu non avevi al talamo paterno
l’audace empio pensiere; ov’altro fosse,
vivresti or tu?... Ma, dalla impura tua
bocca ne uscí d’orrido amor parola;
essa l’udía; ciò basta.
Carlo Io sol ti offesi;
né il niego: a me lieve di speme un raggio
sul ciglio balenò: ma il dileguava
la sua virtude tosto: ella mi udiva,
ma sol per mia vergogna; e sol, per trarmi
la rea malnata passíon dal petto...
Malnata, sí; tale or, pur troppo! ed era
giá legittima un dí: mia sposa ell’era,
mia sposa, il sai; tu me la davi; e darla
meglio potevi, che ritorla... Io sono
a ogni modo pur reo: sí, l’amo; e tolta
m’era da te;... che puoi tu tormi omai?
Saziati, su, nel sangue mio; disbrama
la rabbia in me del tuo geloso orgoglio:
ma lei risparmia; ella innocente appieno...
Filippo Ella? In ardir, non in fallir, ti cede. —
Taci, o donna, a tua posta; anche lo stesso
tuo tacer ti convince: in sen tu pure
(né val che il nieghi) ardi d’orribil foco:
ben mel dicesti; assai, troppo il dicesti,
quand’io parlava di costui poc’anzi
teco ad arte: membrando a che mi andavi,
ch’ei m’era figlio? che tuo amante egli era,
perfida, dir tu non l’osavi. In cuore
men di lui forse il tuo dover tradisti,
l’onor, le leggi?
Isab. ...In me il silenzio nasce
di timor no; stupore alto m’ingombra
del non credibil tuo doppio, feroce,
rabido cor. — Ripiglio al fin, ripiglio
d’esserti moglie, è al fin dover ch’io ammendi. —
Io finor non ti offesi: al cielo in faccia,
in faccia al prence, io non son rea: nel mio
petto bensí...
Carlo Pietá di me fallace
muove i suoi detti: ah! non udirla...
Isab. Indarno
salvarmi tenti: ogni tuo dire è punta,
che in lui piú innaspra la superba piaga.
Tempo non è, non piú, di scuse; omai
è da sfuggir l’aspetto suo, cui nullo
tormento agguaglia. — Ove al tiranno fosse
dato il sentir pur mai di amor la forza,
re, ti direi, che tu fra noi stringevi
nodi d’amore: io ti direi, che volto
ogni pensiero a lui fin da’ primi anni
avea; che in lui posta ogni speme, io seco
trar disegnato avea miei dí felici.
Virtude m’era, e tuo comando a un tempo,
l’amarlo allor: chi ’l fea delitto poscia?
Tu, col disciorre i nodi santi, il festi.
Sciorgli era lieve ad assoluta voglia;
ma il cor, cosí si cangia? Addentro in core
forte ei mi stava: ma non pria tua sposa
fui, che repressa in me tal fiamma tacque.
Agli anni poscia, a mia virtude, e forse
a te spettava lo estirparla...
Filippo Io dunque,
quanto non fer, né tua virtù, né gli anni,
ben io il farò: sí, nel tuo sangue infido
io spegnerò la impura fiamma...
Isab. Ognora
sangue versare, e ognor versar piú sangue,
è il sol tuo pregio; ma, fia pregio, ond’io
il mio amore a lui tolto a te mai dessi?
dalla virtude è il vizio? — Uso a vedermi
tremar tu sei; ma, piú non tremo; io tacqui
finor la iniqua passíon, che tale
la riputava in me: palese or sia,
or ch’io te scorgo assai piú ch’essa iniquo.
Filippo Degno è di te costui; di lui tu degna. —
Resta a veder, se nel morir voi sete
forti, quanto in parlar...
SCENA QUARTA
Gomez, Filippo, Isabella, Carlo.
mie’ cenni hai tu? Quant’io t’ho imposto arrechi?
Gomez Perez trafitto muore: ecco l’acciaro,
che gronda ancor del suo sangue fumante.
Carlo Oh vista!
Filippo In lui dei traditor la schiatta
spenta pur non è tutta... Ma tu, intanto,
mira qual merto a’ tuoi fedeli io serbo.
Carlo Quante (oimè!), quante morti veder deggio,
pria di morir? Perez, tu pure?... Oh rabbia!
Giá giá ti seguo. Ov’è, dov’è quel ferro,
che spetta a me? via, mi s’arrechi. Oh! possa
mio sangue sol spegner la sete ardente
di questo tigre!
Isab. Oh! saziar io sola
potessi, io sola, il suo furor malnato!
Filippo Cessi la infame gara. Eccovi, a scelta
quel pugnale, o quel nappo. O tu, di morte
dispregiator, scegli tu primo.
Carlo Oh ferro!...
Te caldo ancora d’innocente sangue,
liberator te scelgo. — O tu, infelice
riman, che morte: ma il velen deh! scegli;
men dolorosa fia... D’amore infausto
quest’è il consiglio estremo: in te raccogli
tutto il coraggio tuo: — mirami...1 Io moro...
segui il mio esempio. — Il fatal nappo afferra...
non indugiare...
Isab. Ah! sí; ti seguo. O morte,
tu mi sei gioja; in te...
Filippo Vivrai tu dunque;
mal tuo grado, vivrai.
Isab. Lasciami... Oh reo
supplizio! ei muore; ed io?
Filippo Da lui disgiunta,
sí, tu vivrai; giorni vivrai di pianto:
mi fia sollievo il tuo lungo dolore.
Quando poi, scevra dell’amor tuo infame,
viver vorrai, darotti allora io morte.
Isab. Viverti al fianco?... io sopportar tua vista?...
Non fia mai, no... Morir vogl’io... Supplisca
al tolto nappo...2 il tuo pugnal...
Filippo T’arresta.
Isab. Io moro...
Filippo Oh ciel! che veggio?
Isab. ...Morir vedi...
la sposa,... e il figlio,... ambo innocenti,... ed ambo
per mano tua... — Ti sieguo, amato Carlo...
Filippo Scorre di sangue (e di qual sangue!) un rio...
ecco, piena vendetta orrida ottengo;...
ma, felice son io?... — Gomez, si asconda
l’atroce caso a ogni uomo. — A me la fama,
a te, se il taci, salverai la vita.