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atto quinto 111
A te, dissimil dal tuo figlio, quanto

dalla virtude è il vizio? — Uso a vedermi
tremar tu sei; ma, piú non tremo; io tacqui
finor la iniqua passíon, che tale
la riputava in me: palese or sia,
or ch’io te scorgo assai piú ch’essa iniquo.
Filippo Degno è di te costui; di lui tu degna. —
Resta a veder, se nel morir voi sete
forti, quanto in parlar...


SCENA QUARTA

Gomez, Filippo, Isabella, Carlo.

Filippo   Gomez; compiuti

mie’ cenni hai tu? Quant’io t’ho imposto arrechi?
Gomez Perez trafitto muore: ecco l’acciaro,
che gronda ancor del suo sangue fumante.
Carlo Oh vista!
Filippo   In lui dei traditor la schiatta
spenta pur non è tutta... Ma tu, intanto,
mira qual merto a’ tuoi fedeli io serbo.
Carlo Quante (oimè!), quante morti veder deggio,
pria di morir? Perez, tu pure?... Oh rabbia!
Giá giá ti seguo. Ov’è, dov’è quel ferro,
che spetta a me? via, mi s’arrechi. Oh! possa
mio sangue sol spegner la sete ardente
di questo tigre!
Isab.   Oh! saziar io sola
potessi, io sola, il suo furor malnato!
Filippo Cessi la infame gara. Eccovi, a scelta
quel pugnale, o quel nappo. O tu, di morte
dispregiator, scegli tu primo.
Carlo   Oh ferro!...
Te caldo ancora d’innocente sangue,
liberator te scelgo. — O tu, infelice