Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/116

110 filippo
gli attoniti miei spirti... Il grave fallo

d’esserti moglie, è al fin dover ch’io ammendi. —
Io finor non ti offesi: al cielo in faccia,
in faccia al prence, io non son rea: nel mio
petto bensí...
Carlo   Pietá di me fallace
muove i suoi detti: ah! non udirla...
Isab.   Indarno
salvarmi tenti: ogni tuo dire è punta,
che in lui piú innaspra la superba piaga.
Tempo non è, non piú, di scuse; omai
è da sfuggir l’aspetto suo, cui nullo
tormento agguaglia. — Ove al tiranno fosse
dato il sentir pur mai di amor la forza,
re, ti direi, che tu fra noi stringevi
nodi d’amore: io ti direi, che volto
ogni pensiero a lui fin da’ primi anni
avea; che in lui posta ogni speme, io seco
trar disegnato avea miei dí felici.
Virtude m’era, e tuo comando a un tempo,
l’amarlo allor: chi ’l fea delitto poscia?
Tu, col disciorre i nodi santi, il festi.
Sciorgli era lieve ad assoluta voglia;
ma il cor, cosí si cangia? Addentro in core
forte ei mi stava: ma non pria tua sposa
fui, che repressa in me tal fiamma tacque.
Agli anni poscia, a mia virtude, e forse
a te spettava lo estirparla...
Filippo   Io dunque,
quanto non fer, né tua virtù, né gli anni,
ben io il farò: sí, nel tuo sangue infido
io spegnerò la impura fiamma...
Isab.   Ognora
sangue versare, e ognor versar piú sangue,
è il sol tuo pregio; ma, fia pregio, ond’io
il mio amore a lui tolto a te mai dessi?