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104 filippo
della mia testa il posso. — Ahi! menzognera

turba di amici della sorte lieta!
Dove or sei tu? nulla da voi, che un brando,
vorrei; ma un brando, onde all’infamia tormi,
nessun di voi mel porgerá... Qual sento
stridor?... la ferrea porta si disserra!
Che mi si arreca? udiam... Chi fia?


SCENA SECONDA

Isabella, Carlo.

Carlo   Chi veggio?

Regina, tu? Chi ti fu scorta? Oh! quale
ragion ti mena? amor, dover, pietade?
Come l’accesso avesti?
Isab.   Ah! tutto ancora
non sai l’orror del tuo feral destino:
tacciato sei di parricida; il padre
ti accusa ei stesso; un rio consiglio a morte
ti danna; ed altro all’eseguir non manca,
che l’assenso del re.
Carlo   S’altro non manca,
eseguirassi tosto.
Isab.   E che? non fremi?
Carlo Gran tempo è giá, ch’io di morir sol bramo.
E il sai ben tu, da cui null’altro io chiesi,
che di lasciarmi morire ove sei.
Mi è dura, sí, l’orrida taccia; è dura,
ma inaspettata no. Morir m’è forza;
fremerne posso, ove tu a me lo annunzi?
Isab. Deh! non parlarmi di morte, se m’ami.
Cedi per poco all’impeto...
Carlo   Ch’io ceda?
Or, ben mi avveggo; hai di avvilirmi assunto
il crudo incarco; il genitore iniquo