Filippo (Alfieri, 1946)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Carlo.
convenienti a questa orribil reggia,
quanto mi aggrada il tornar vostro! In tregua
non ch’io per voi ponga il mio duol; ma tanti
vili ed iniqui aspetti almen non veggio. —
Quí favellarmi d’Isabella in nome
vuol la sua fida Elvira: or, che dirammi?...
Oh qual silenzio!... Infra i rimorsi adunque,
fra le torbide cure, e i rei sospetti,
placido scende ad ingombrar le ciglia
de’ traditori e de’ tiranni il sonno?
Quel, che ognor sfugge l’innocente oppresso? —
Ma, duro a me non è il vegliare: io stommi
co’ miei pensieri, e colla immagin cara
d’ogni beltá, d’ogni virtú: mi è grato
quí ritornar, dov’io la vidi, e intesi
parole (oimè!) che vita a un tempo e morte
m’erano. Ah! sí; da quel fatale istante
meno alquanto infelice esser mi avviso,
ma piú reo ch’io non era... Or, donde nasce
in me il timor d’orror frammisto? è forse
al delitto il timor dovuta pena?...
Pena? ma qual commisi io mai delitto?
tacer, chi mai? — Gente si appressa. Elvira
sará;... ma no: qual odo fragor cupo?...
Qual gente vien? qual balenar di luce?
Armati a me? Via, traditori...
SCENA SECONDA
Soldati con armi e fiaccole.
Filippo, Carlo.
Da tante spade preceduto il padre?
Filippo Di notte, solo, in queste stanze, in armi,
che fai, che pensi tu? gl’incerti passi
ove porti? Favella.
Carlo ...E che direi?...
L’armi, ch’io strinsi all’appressar d’armati
audaci sgherri, al tuo paterno aspetto
cadonmi: a lor duce tu sei?... tu, padre? —
Di me disponi a piacer tuo. Ma dimmi;
pretesti usar, t’era egli d’uopo? e quali!...
Ah padre! indegni son di un re i pretesti; —
ma le discolpe son di me piú indegne.
Filippo L’ardir v’aggiungi? Aggiungil pur, ch’è ognora
all’alte scelleraggini compagno:
fa di finto rispetto infame velo
all’alma infida, ambiziosa, atroce;
giá non ti escusi tu: meglio, è che il varco
tu schiuda intero alla tua rabbia: or versa
il mortal tosco che in tuo cor rinserri;
audacemente ogni pensier tuo fello,
degno di te, magnanimo confessa.
Carlo Che confessar degg’io? Risparmia, o padre,
i vani oltraggi: ogni piú cruda pena
dammi; giusta ella fia, se a te fia grata.
sei di perfidia al piú eminente grado?
D’iniquitá dove imparata hai l’arte,
che, dal tuo re colto in sí orribil fallo,
neppur di aspetto cangi?
Carlo Ove l’appresi?
Nato in tua reggia...
Filippo Il sei, fellon, per mia
sventura ed onta...
Carlo Ad emendar tal onta,
che tardi or piú? che non ti fai felice
col versar tu del proprio figlio il sangue?
Filippo Mio figlio tu?
Carlo Ma, che fec’io?
Filippo Mel chiedi?
Tu il chiedi a me? Non ti flagella dunque
rimorso nullo?... Ah! no; giá da gran tempo
nullo piú ne conosci; o il sol che senti,
del non compiuto parricidio il senti.
Carlo Parricidio! Che ascolto? Io parricida?
Ma, né tu stesso il credi, no. — Qual prova,
quale indizio, o sospetto?...
Filippo Indizio, prova,
certezza, io tutto dal livor tuo traggo.
Carlo — Non mi sforzar, deh! padre, al fero eccesso
di oltrepassar quella terribil meta,
che tra suddito e re, tra figlio e padre,
le leggi, il cielo, e la natura, han posto.
Filippo Con sacrilego piè tu la varcasti,
gran tempo è giá. Che dico? ignota sempre
ti fu. D’aspra virtú gli alteri sensi
lascia, che mal ti stan; qual sei, favella:
svela del par gli orditi, e i giá perfetti
tuoi tradimenti tanti... Or via, che temi?
Ch’io sia men grande, che non sei tu iniquo?
Se il vero parli, e nulla ascondi, spera;
Carlo Il vero io parlo;
tu mi vi sforzi. — Me conosco io troppo,
perch’io mai tremi; e troppo io te conosco,
perch’io mai speri. Infausto don, mia vita
ripiglia tu, ch’ella è ben tua; ma mio
egli è il mio onor, né il togli tu, né il dai.
Ben reo sarei, se a confessarmi reo
mi traesse viltá. — L’ultimo fiato
quí spirar mi vedrai: lunga, crudele,
obbrobriosa apprestami la morte:
morte non v’ha, che ad avvilir me vaglia.
Te sol, te sol, non me compiango, o padre.
Filippo Temerario, in tal guisa al signor tuo
ragion de’ tuoi misfatti render osi?
Carlo Ragion? — Tu m’odj; ecco il mio sol misfatto:
sete hai di sangue; ecco ogni mia discolpa:
tuo dritto solo, è l’assoluto regno.
Filippo Guardie, si arresti; olá.
Carlo Risposta sola
di re tiranno è questa. Ecco, le braccia
alle catene io porgo: eccoti ignudo
al ferro il petto. A che indugiar? fors’oggi
a incrudelir cominci tu soltanto?
Il tuo regnar, giorno per giorno, in note
atre di sangue è scritto giá...
Filippo Si tolga
dagli occhi miei. Della quí annessa torre
entro al piú nero carcere si chiuda.
Guai, se pietade alcun di voi ne sente.
Carlo Ciò non temer, che in crudeltá son pari
i tuoi ministri a te.
Filippo Si strappi a forza
dal mio cospetto; a viva forza...
SCENA TERZA
Isabella, Filippo.
Che miro? oimè!...
Filippo Donna, che fia?
Isab. La reggia
tutta di meste grida dolorose
udía dintorno risuonare...
Filippo Udisti
flebile suono; è ver...
Isab. Dal tuo cospetto
non vidi io il prence strascinato a forza?
Filippo Tu ben vedesti; è desso.
Isab. Il figliuol tuo?...
Filippo La mia consorte impallidisce, e trema,
nel veder trarre?...
Isab. Io tremo?
Filippo E n’hai ben donde. —
Il tuo tremar... dell’amor tuo... non lieve
indizio m’è... Pel tuo... consorte or tremi:
ma, riconforta il cor; svaní il periglio.
Isab. Periglio!... e quale?
Filippo Alto periglio io corsi:
ma omai mia vita in securtá...
Isab. Tua vita?...
Filippo A te sí cara e necessaria, è in salvo.
Isab. Ma il traditor?...
Filippo Del tradimento pena
dovuta avrá. Più non temer, ch’io mai
per lui riapra a pietá stolta il core.
Passò stagione; or di giustizia il solo
terribil grido ascolterò.
Isab. Ma quale,
qual trama?...
forse ordita la trama. A chi del padre
il sangue vuol, (s’ei la madrigna abborre
del padre al par) nulla parrebbe il sangue
versar della madrigna...
Isab. In me?... Che parli?...
Ahi lassa!... Il prence...
Filippo Ingrato, i tuoi non meno,
che i miei cotanti beneficj obblia. —
Ma tu, in te stessa torna;... e lieta vivi;...
e a me sol fida la importante cura
di assicurar la tua con la mia pace.
SCENA QUARTA
Isabella.
i sensi miei. Che mai diss’egli? avrebbe
forse il mio amor?... ma no; racchiuso stammi
nel piú addentro del core... Eppur, quegli occhi
d’ira avvampanti, ed in me fitti... Ahi lassa!...
Poi di madrigna favellò... Che disse
della mia pace?... Oh cielo! e che risposi?
Nomato ho il prence? Oh! di qual freddo orrore
sento agghiacciarmi! Ove corr’egli... ahi! dove?
A che si appresta? ed io, che fo? — Seguirlo
voglio;... ma il piè manca, e il vigor...
SCENA QUINTA
Gomez, Isabella.
l’ardir mio troppo; io teco il re pur anco
stimava.
Gomez Cercarne
dunque m’è forza altrove. Impazíente
per certo ei sta di udir l’evento alfine...
Isab. L’evento?... Arresta il piè: dimmi...
Gomez Se a lui
tu favellasti, esposta avratti appieno
l’espettazion sua dubbia della estrema
sentenza...
Isab. No: di un tradimento in foschi
ambigui detti a me parlò; ma...
Gomez Il nome
del traditor non ti dicea?
Isab. Del prence...
Gomez Tutto sai dunque. Io del consiglio arreco...
Isab. Di qual consiglio? Oimè? che rechi?
Gomez A lungo
l’alto affar discuteasi; e al fin conchiuso
ad una s’è...
Isab. Che mai? Parla.
Gomez Sta scritta
in questo foglio la sentenza: ad essa
null’altro manca, che del re l’assenso.
Isab. E il tenor n’è?
Gomez Morte pronunzia.
Isab. Morte?
Iniqui! morte? E qual delitto è in lui?
Gomez Tel tacque il re?
Isab. Mel tacque, sí.
Gomez ...Tentato
ha il parricidio.
Isab. Oh ciel! Carlo?...
Gomez Lo accusa
il padre stesso; e prove...
Isab. Il padre?... E quali
prove ne dá?... mentite prove. — Ah! certo
Deh! mi appalesa il suo vero delitto.
Gomez Il suo delitto vero? — E dirtel posso,
se tu nol sai?... Può il dirtelo costarmi
la vita.
Isab. Oh! che di’ tu? Ma che? paventi
ch’io tradire ti possa?
Gomez Il re tradisco,
s’io nulla dico; il re. — Ma, qual ti punge
stimol sí caldo ad indagarne il vero?
Isab. Io... Sol mi punge curiosa brama.
Gomez A te ciò in somma or che rileva? — Il prence
sta in gran periglio, e soggiacervi forse
dovrá: ma ch’altro a lui, fuorché madrigna,
al fin sei tu?... Giá il suo morir non nuoce
a te; potrebbe anzi la via del trono
ai figli, che uscir denno dal tuo fianco,
sgombrar cosí. Credi; la origin vera
dei misfatti di Carlo, è in parte, amore...
Isab. Che parli?
Gomez Amor, che il re ti porta. Ei lieto
piú fora assai di un successor tuo figlio,
che non di Carlo sia per l’esser mai.
Isab. Respiro. — In me quai basse mire inique
supporre ardisci?
Gomez Del mio re ti ardisco
dire i pensier; non son, no, tali i miei;
ma...
Isab. Vero è dunque, è ver, ciò ch’io finora
mai non credea; che il padre, il padre stesso,
il proprio figlio abborre...
Gomez Oh quanto, o donna,
io ti compiango, se finor conosci
sí poco il re!
Isab. Ma, in chi cred’io? Tu pure...
Gomez Io pure, sí, poiché non dubbia or trovo
che il cor mi opprime. È ver pur troppo, il prence
(misero!) non è reo d’altro delitto,
che d’esser figlio di un orribil padre.
Isab. Raccapricciar mi fai.
Gomez Di te non meno
inorridisco anch’io. Sai donde nasce
lo snaturato odio paterno? Il muove
vile invidia: in veder virtú verace
tanta nel figlio, la virtú mentita
del rio padre si adira: a se pur troppo
ei dissimile il vede; ed, empio, ei vuole
pria spento il figlio, che di se maggiore.
Isab. Oh non mai visto padre! Ma, piú iniquo
il consiglio che il re, perché condanna
un innocente a morte?
Gomez E qual consiglio
si opporrebbe a un tal re? Lo accusa ei stesso:
falsa è l’accusa; ognun lo sa: ma ognuno,
per se tremante, tacendo l’afferma.
Ricade in noi di ria sentenza l’onta;
ministri vili al suo furor siam noi;
fremendo il siam; ma invan: chi lo negasse,
del suo furor cadria vittima tosto.
Isab. E fia ver ciò che ascolto?... Io di stupore
muta rimango... E non resta piú speme?
Ingiustamente ei perirá?
Gomez Filippo,
nel simular, sovra ogni cosa, è dotto.
Dubbio parer vorrá da pria; gran mostra
fará di duolo e di pietá; fors’anco
indugierá pria di risolver: folle
chi ’l duolo in lui, chi la pietá credesse;
o che in quel cor, per indugiar di tempo,
l’ira profonda scemasse mai dramma.
Isab. Deh! se tu nei delitti al par di lui
Gomez, pietade...
Gomez E che poss’io?
Isab. Tu, forse...
Gomez Di vano pianto, e ben celato, io posso
onorar la memoria di quel giusto:
null’altro io posso.
Isab. Oh! chi udí mai, chi vide
sí atroce caso?
Gomez A perder io me stesso
presto sarei, purché salvare il prence
potessi; e sallo il cielo. Io, dai rimorsi,
cui seco tragge di cotal tiranno
la funesta amistá, roder giá sento,
giá straziarmi il cor; ma...
Isab. Se il rimorso
sincero è in te, giovar gli puoi non poco;
sí, il puoi; né d’uopo t’è perder te stesso.
Sospetto al re non sei; puoi, di nascosto,
mezzi al fuggir prestargli: e chi scoprirti
vorria? — Chi sa? fors’anco un dí Filippo,
in se tornando, il generoso ardire
d’uom, che sua gloria a lui salvò col figlio,
premiar potrebbe.
Gomez E, se ciò ardissi io pure,
Carlo il vorrá? quant’egli è altero, il sai?
Giá il suo furor ravviso, in udir solo
di fuga il nome, e di sentenza. Ah! vano
ad atterrire quella indomit’alma
ogni annunzio è di morte; anzi, giá il veggo
ostinarsi a perire. Aggiungi, ch’ogni
mio consiglio od ajuto, a lui sospetto
e odíoso sarebbe. Al re simile
crede egli me.
Isab. Null’altro ostacol havvi?
Fa pur ch’io il vegga; al carcer suo mi guida:
di risolverlo a fuga. Or, deh! tant’alto
favor non mi negare. Avanzan molte
ore di notte: al suo fuggire i mezzi
appresta intanto; e di arrecar sospendi
fatal sentenza, che sí tosto forse
non si aspetta dal re. Vedi,... ten priego;
andiamo; il cielo avrai propizio ognora:
io ti scongiuro, andiamvi...
Gomez E chi potrebbe
opra negar cosí pietosa? Io voglio
a ogni costo tentarla. Andiamvi. — Il cielo
perir non lasci chi perir non merta.