Fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi/Lezione V
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Lezione IV | Lezione VI | ► |
LEZIONE V.
Digestione.
L’esistenza e la conservazione d’un animale sono a condizione che egli introduca costantemente nel suo corpo certe particolari sostanze, che chiamiamo alimenti. Queste sostanze, ordinariamente solide, soffrono nell’apparecchio digerente una tal serie di modificazioni, per le quali si dividono in materie fecali che sono respinte al di fuori, e in altre che si mescolano al sangue o si trasformano in esso. È questo lo scopo finale della digestione, la conservazione cioè dell’integrità dell’organismo, ridonando al sangue quei principj immediati che va perdendo continuamente nel suo ufficio della nutrizione. Il ragionamento ci porta ad ammettere, che tutte le parti dell’organismo, più o meno presto si trasformano e si rinnovano. V’è anche in fisiologìa sperimentale un certo numero di esperienze, che sarebbe però desiderabile di veder variate ed estese, le quali conducono a questa stessa conclusione.
Dividere, render solubili le sostanze alimentari, e così disporle all’assorbimento; ecco all’ingrosso ciò che avviene nella digestione. Nulla di più fisico per conseguenza d’una funzione che non fa che cangiare lo stato della materia. Importa però di vedere nelle sue particolarità verificato questo carattere della digestione.
Prima d’entrare a discorrere dei fenomeni fisico-chimici della digestione, devo esporvi brevemente alcune generalità.
Tutte le sostanze alimentari si possono ridurre, quanto alla loro chimica composizione, a tre categorie ben distinte: nella prima entrano le sostanze azotate neutre, cioè l’albumina, la fibrina e la caseina; in una seconda sono le sostanze grasse; nella terza entrano la gomma, l’amido, lo zucchero, la di cui composizione può rappresentarsi con acqua e carbonio. L’esperienza ha provato che le sostanze alimentari delle due ultime categorie non bastano alla nutrizione di un animale, e che è mestieri che sieno sempre unite alle prime.
Quanto alle sostanze della prima categoria, non posso lasciarvi ignorare due scoperte importanti fatte in questi ultimi tempi da Mulder e da Liebig. L’albumina, la fibrina, e la caseina sono identiche nella loro composizione; in tutta la proporzione del carbonio all’azoto è di 8 equivalenti del primo a un equivalente del secondo; esse non sembrano differire, che per piccole quantità di fosforo e di zolfo che le accompagnano, per cui tolti questi corpi, ne rimane un principio comune che Mulder ha chiamato proteina e di cui la formula adottata da Liebig è C48H36N6O14.
Quantunque queste sostanze posseggano proprietà fisiche assai diverse, dobbiamo considerarle isomeriche, e come modificazioni della proteina. L’altro fatto importante trovato da Liebig e da Dumas si è, che l’albumina vegetabile e identica all’albumina animale, che nella farina dei cereali una sostanza analoga alla caseina, che la legumina ha la stessa composizione della caseina, e che nel glutine v’è una sostanza identica alla fibrina animale.
Non v’è dunque essenziale differenza tra gli alimenti degli animali erbivori e quelli dei carnivori, se non che i primi li traggono dalle piante, i secondi da altri animali.
E poichè la composizione del sangue, non che quella del maggior numero dei tessuti e dei liquidi animali è quella stessa delle sostanze organiche neutre or ora citate, poichè non provano nel far parte dell’organismo animale alcun cangiamento di chimica composizione, e non fanno che prendere nella nutrizione una nuova forma, è naturale, è giusto d’ammettere, che nell’atto della digestione le sostanze azotate neutre alimentari non fanno che divenire solubili e passano così inalterate nel sangue.
L’isomeria di queste sostanze azotate è pure dimostrata dal bel fatto scoperto da Denis che cioè, la fibrina cangiasi in albumina, allorchè è stata disciolta in una soluzione satura di sal nitro. Questo fatto è tanto più curioso, giacchè non sembra verificarsi che per la fibrina del sangue venoso, mentre quella del sangue arterioso non si discioglie nel sai nitro, nè si cangia in albumina. Scherer ha provato a tenere esposta la fibrina del sangue venoso in una atmosfera di gas ossigeno, ed ha visto convertirsi l’ossigeno in acido carbonico, perdendo così la fibrina la proprietà di cangiarsi in albumina colla soluzione di sal nitro.
Alcune sperienze di Fisiologia hanno da lungo tempo stabilito che la digestione di tali sostanze alimentari è un atto puramente fisico, che si opera indipendentemente dall’organismo vivente. Non v’è chi ignori le sperienze celebri del nostro Spallanzani: la carne, il glutine, l’albumina coagulata introdotta nello stomaco entro tubetti metallici pertugiati, si disciolgono, si digeriscono, come se fossero libere nello stomaco stesso.
Le ricerche recenti di Eberle, Schwann e principalmente quelle di Wasmann hanno stabilito che nel sugo gastrico, che sembra essere una soluzione acquosa d’acido idroclorico di fosfati acidi secondo Blondlot, trovasi disciolta una sostanza particolare che fu chiamata pepsina e che si è giunti ad ottenere sufficientemente pura. È questa stessa sostanza che Payen ha recentemente studiato, chiamandola gasterase. Eccovi in alcuni bicchierini una infusione di pepsina cui sono state aggiunte poche goccie d’acido idroclorico. In uno di questi bicchierini si mise albumina coagulata, in un altro della fibrina. I bicchierini così preparati furono tenuti per 10 o 12 ore in un mezzo caldo a 30° e come vedete l’albumina e la fibrina sono in gran parte scomparse e non rimangono più che piccole traccie trasparenti ai bordi, e che non tarderanno a scomparire anche esse. Posso riavere facilmente neutralizzando l’acido, evaporando la soluzione, l’albumina e la fibrina, che non hanno punto cangiato di natura e che non hanno fatto che disciogliersi, in contatto dell’infusione acida di pepsina. Questa sostanza opera perciò nella dissoluzione della fibrina e dell’albumina come un corpo catalitico, ed è un’azione di contatto quella che opera la loro dissoluzione. Non è che nello stomaco, e da certe ghiandole che trovansi nella membrana mucosa d’una porzione dello stomaco, che la soluzione acida di pepsina, o il sugo gastrico, è separato. Ho provato a tenere in una soluzione acida debolissima d’acido idroclorico pezzi d’intestino tenue, d’intestino crasso, di stomaco; la soluzione non acquistò mai la proprietà dissolvente, non divenne mai sugo gastrico se non a contatto della membrana dello stomaco.
Ricordiamo qui ciò che si è detto nella Lezione sull'assorbimento. Le soluzioni acquose penetrano nel sangue per la sola imbibizione delle pareti dei capillari sanguigni dello stomaco; l’acqua, le bevande alcooliche colorate introdotte nello stomaco sono assorbite, non oltrepassano questo viscere, non si trovano nel chilo, mentre si rinvengono nel sangue. Bouchardat e Sandras hanno nutrito animali con fibrina tinta di zafferano o di cocciniglia, e nel chilo di questi animali non fu trovata mai la sostanza colorante aggiunta alla fibrina. Essi hanno fatto di più. Animali nutriti di fibrina ed altri lasciati a digiuno, uccisi poi hanno dato un chilo sempre identico; la materia trovata negli intestini non era diversa, e solo negli animali nutriti di fibrina fu trovata nello stomaco una porzione di fibrina incompletamente disciolta. Si sa pure dalle celebri esperienze di Tiedemann e di Gmelin, che la quantità di fibrina trovata nella linfa e nel chilo dopo un lungo digiuno, non è minore di quella che vi si trova dopo la digestione. Adoperando albumina coagulata, glutine e sostanza caseosa invece della fibrina, i risultamenti sono gli stessi. La digestione di queste sostanze azotate neutre riducesi dunque alla loro semplice dissoluzione, operata da una azione di contatto, e all’assorbimento, principalmente nello stomaco, di questa dissoluzione.
La gelatina che non ha la stessa composizione della fibrina, dell’albumina, della caseina, non è perciò come queste atta alla nutrizione.
Nulla perciò di più fisico di questa parte della digestione. La masticazione degli alimenti imbevuti d’un liquido leggermente alcalino e caldo è quella operazione interamente fisica che si fa nei nostri laboratorii, onde dividere, attenuare un corpo solido e prepararlo così a disciogliersi. Il sugo gastrico che lo stomaco secerne, principalmente al momento della digestione, è un’infusione di pepsina nell’acqua acidulata, e questa infusione si prepara, si fa agire sull’albumina coagulata, sulla fibrina, sulla caseina e la loro dissoluzione avviene così bene nello stomaco, come in un recipiente qualunque convenientemente riscaldato.
Il movimento delle pareti dello stomaco favorisce l’azione dell’infusione di pepsina sulle sostanze da disciogliersi, come ogni agitazione giova alla reazione di due corpi disciolti qualunque, o alla dissoluzione d’un solido in un liquido. Giova questo movimento delle pareti dello stomaco, perchè rinnovando i punti di contatto fra le pareti e la materia contenuta, si opera meglio l’assorbimento della porzione liquida di questa materia.
L’influenza che ha nell'alterare la digestione il taglio dei nervi dell’ottavo pajo, deve in parte attribuirsi alla cessazione del movimento delle pareti dello stomaco che da questi nervi è di certo influenzato; oltre di che poi il taglio di questi nervi porta un disturbo grande in altre funzioni troppo necessarie all’integrità dell’economia animale.
La digestione delle sostanze amilacee, la trasformazione di queste sostanze nell’organo digerente, sono fenomeni non ancora abbastanza rischiarati dall’osservazione. Mi limiterò perciò a dirvene quel poco che mi sembra ben stabilito.
Bouchardat e Sandras hanno introdotto nello stomaco di alcuni cani una certa quantità d’amido, o allo stato di gelatina o semplicemente sospeso nell’acqua. Questi animali furono uccisi dopo un certo tempo più meno lungo, e si ricercò nello stomaco è negli intestini la presenza dell’amido o dei suoi prodotti.
È assai curiosa l’osservazione fatta da questi chimici della non acidità costante trovata nel liquido dello stomaco, negli animali nutriti col solo amido; si direbbe che la secrezione del sugo gastrico è eccitata dalla presenza delle sostanze azotate neutre per la dissoluzione delle quali è necessario. Nè negli intestini, ne nel chilo si rinvenne mai traccia d’amido; nel solo stomaco se ne ebbero indizj. Fu cercato lo zucchero nelle materie dello stomaco, del duodeno, dell’intestino tenue, nel sangue. l’apparecchio di polarizzazione di Biot fu adoperato, ma senza alcun resultato, che indicasse la presenza dello zucchero; ed egualmente non si scoprì lo zucchero, tentando d’eccitare in quelle materie la fermentazione alcoolica coll’aggiunta del lievito di birra. Bouchardat e Sandras attribuiscono ad un errore d’osservazione lo zucchero che Gmelin e Tiedmann avevano trovato nello stomaco d’animali nutriti con amido. Li stessi chimici e più recentemente Blondlot hanno inutilmente cercato la presenza della destrina in questi casi.
Secondo essi l’amido non sarebbe dunque cangiato nello stomaco, nè in zucchero, nè in destrina; ma dalle loro esperienze risulterebbe che una proporzione più grande d’acido lattico si trova nello stomaco degli animali sottomessi a un regime amilaceo, di quella che vi si rinviene se sono nutriti di fibrina; e poichè la composizione del chilo non è in alcun modo variata dalla ingestione della fecula, poichè nessun prodotto delle trasformazioni della fecula si trova nel chilo, ne verrebbe che l’amido è cangiato, se non immediatamente, almeno poco dopo la sua introduzione nello stomaco in acido lattico e lattati, quali corpi solubilissimi nell’acqua, sarebbero nello stomaco assorbiti, nè giungerebbero mai negli intestini.
Confesso il vero che vorrei aver potuto ripetere queste sperienze, o vederle da altri variate e confermate. Non voglio però lasciarvi ignorare che alcune scoperte importanti di chimica organica sono in qualche maniera d’accordo colle conclusioni che si deducono dalle sperienze di Sandras e Bouchardat. La conversione della fecula in acido lattico è un fatto oggi ammesso generalmente, dopo gl’interessanti lavori di Fremy. Vi sono delle materie albuminose azotate, la diastasi, il cacio che convertono l’amido in destrina e in zucchero. Queste stesse sostanze modificate, per qualche giorno d’esposizione all’aria umida, divengono capaci di trasformare la destrina e lo zucchero in acido lattico. Fremy ha anche provato che la membrana dello stomaco del cane e del vitello, che non agiscono sulla destrina e sullo zucchero, allorchè è stata lavata coll’acqua fredda, acquista poi la proprietà di trasformare rapidamente in acido lattico quelle sostanze, se è stata conservata per qualche tempo nell’acqua.
Queste stesse sostanze azotate, che in un certo stato sono atte ad eccitare la fermentazione lattica, prese in uno stato che chiamerò più avanzato dì trasformazione e che ancora s’ignora in che consiste, non producono più acido lattico agendo sullo zucchero; esse operano invece eccitando la fermentazione alcoolica, trasformandolo in acido carbonico e in alcool. Credo anche dover citare a questo proposito la scomparsa dello zucchero nelle urine dei diabetici al cessare di qualunque nutrizione amilacea; nei quali casi si sarebbe trovato, che finchè questa nutrizione si manteneva, v’era realmente trasformazione dell’amido in zucchero il quale si riscontrava nelle materie dello stomaco e delle intestina, e per fino nel sangue.
Questo soggetto merita tutta l’attenzione dei medici, principalmente dopochè per alcuni casi osservati dall’illustre Clinico di Firenze rimarrebbe dubbio sulla scomparsa dello zucchero nell’urina dei diabetici, malgrado la soppressione d’ogni alimento feculento.
È dunque in accordo colle cognizioni della Chimica organica, è una conseguenza di ciò che possiamo ottenere col semplice giuoco delle azioni di contatto, che l’amido può convertirsi nello stomaco in acido lattico, passando probabilmente prima allo stato di destrina e di zucchero.
Nè farebbe sorpresa, e non si opporrebbe alle cognizioni attuali che una porzione dello zucchero, in cui l’amido si è trasformato, non soffrisse nello stomaco la fermentazione lattica, ma che vi subisse ancora qualche altra trasformazione, analoga a quelle in mezzo alle quali sappiamo oggi generarsi animali infusori.
Le sperienze recentissime di Gruby e Delafond hanno messo fuori di dubbio che un grandissimo numero di questi animali si trova, specialmente nello stomaco degli erbivori.
Ci rimane finalmente a parlare della digestione delle sostanze grasse, che s’introducono in tanta copia nello stomaco degli animali carnivori, e che senza cangiamento di composizione trovansi principalmente deposte nel tessuto adiposo degli animali stessi. Vi dirò, a questo proposito, una parola della questione importante promossa in questi ultimi tempi fra i chimici, sull'origine delle sostanze grasse negli erbivori. Liebig ha sostenuto che il grasso in questi animali vi si produceva per una trasformazione della fecula che avea perduto una porzione del suo ossigeno, eliminato dall’organismo allo stato di acido carbonico. Dumas, Boussingault e Payen hanno invece sostenuto, che la quantità di sostanza grassa esistente nel fieno, nella barbabietola, nella paglia basta a render conto di quella che si trova negli animali nutriti con queste sostanze. Boussingault ha provato la verità di questa esserzione, determinando sopra una vacca convenientemente assoggettata all’osservazione, che mentre la quantità di materia grassa esistente negli alimenti di cui si nutriva, era stata di 1614 gram., quella trovata nel latte della medesima era di 1413 gram. Ne viene da questa sperienza che rimane un eccesso di 201 gram. nel grasso degli alimenti sopra quello dei prodotti dell’animale.
Devesi perciò ammettere che le sostanze grasse degli animali fan parte dei loro alimenti, per cui la digestione ridur si deve, per queste sostanze, come per le materie azotate neutre, ad una semplice dissoluzione, tale che le renda atte a venire assorbite e ad entrare così nel circolo sanguigno.
Tutte le osservazioni fisiologiche hanno stabilito da lungo tempo, che gli animali nutriti di sostanze grasse danno un chilo più abbondante, più del solito lattiginoso, e da cui possono estrarsi le stesse sostanze grasse con cui furono nutriti e in cui col microscopio si veggono globetti di materia grassa.
Le sperienze di Sandras e Bouchardat hanno messo questa conclusione fuori di ogni dubbio. Nutrendo animali con olio di mandorle dolci fu trovato da questi chimici questo stesso olio nel chilo degli animali; così avvenne pure allorchè fu adoperato il sego. Usando invece la cera, non si trovò che una piccola quantità di questa sostanza nel chilo, la quale vi crebbe però allorchè fu introdotta disciolta nell’olio.
Gli stessi chimici hanno esaminato le materie dello stomaco e degli intestini di animali nutriti, per un certo tempo, con solo grasso, ed hanno trovato che una porzione grande del medesimo, solido a freddo, esisteva nello stomaco in mezzo ad un liquido molto acido, che negli intestini tanto tenui che grassi esisteva una specie di densa emulsione da cui si poteva trarre coll’etere una gran quantità di sostanza grassa.
Ne verrebbe da questi fatti, della verità dei quali ho potuto io stesso assicurarmi, che le sostanze grasse non soffrono nello stomaco alterazione alcuna e che inalterate e solo ridotte liquide o quasi liquide dalla temperatura del viscere passano nell’intestino: e infatti facendo reagire fuori dello stomaco il sugo gastrico con un corpo grasso non vi si osserva cambiamento alcuno. Negli intestini l’alcali della bile e del sugo pancreatico satura l’acido del sugo gastrico, ed è questa una nuova prova che cessa negli intestini l’azione dissolvente su le materie neutre azotate. È difficile di poter dire con precisione e col soccorso delle analogie, dedotte da fatti chimici, ciò che avviene delle sostanze grasse nell’intestino. È un fatto che queste sostanze vi sono assorbite, e che i chiliferi possono considerarsi quasi unicamente incaricati dell’assorbimento delle medesime.
Eccovi alcune sperienze colle quali ho cercato di rendere meno oscura questa parte della digestione. Verso in questo matraccio una soluzione formata di 10 oncie d’acqua distillata e di 25 grani di potassa caustica. Questa soluzione non ha sensibilmente il sapore alcalino e agisce anche debolmente sulle carte reattive: essa non contiene infatti che appena 0,005 d’alcali, ciò che ne fa un liquido meno alcalino della linfa e del chilo. Riscaldo questo matraccio a bagno maria alla temperatura di 35° a 40° C e vi verso alcune goccie d’olio d’oliva, agito, e all’istante vedete il liquido farsi lattiginoso e prendere talmente le apparenze del latte da potersi confondere con esso. Abbandonato il liquido così ottenuto a se, e alla temperatura ordinaria, conserva la sua analogia col latte, separandosi in due strati uno più opaco al disopra, in cui si veggono palesemente globetti di sostanza grassa, mentre il liquido inferiore è meno opaco e tuttavia lattiginoso. Ho empito di questa specie d’emulsione un pezzo d’intestino e l’ho immerso poi nella soluzione alcalina descritta tenuta alla temperatura di + 35° a 40° C. Dopo un certo tempo la soluzione alcalina si è intorbidata, ha preso i caratteri dell’emulsione interna, e di certo una porzione di questa è così passata al difuori della membrana.
Vi riferirò ancora un’altra esperienza che parmi più concludente. Ho empito un endosmometro d’una soluzione debolissimamente alcalina, e l’ho immerso nella emulsione che v’ho mostrato. La membrana adoperata era la solita vescica urinaria di bue, e i due liquidi al principio dell’esperienza erano caldi a + 30° C. Vi fu endosmosi e l’emulsione penetrò nella soluzione alcalina sollevando la colonna liquida di 30 mm. in pochissimo tempo.
Eccovi dei fenomeni fisici, che lungi dal risolvere in tutte le particolarità e col rigore scientifico la questione che ci siamo proposta, la rendono tuttavia meno oscura. I vasi chiliferi terminati con estremità cieche, inviluppati dalla mucosa intestinale, sono, nell’animale a digiuno principalmente, ripieni d’un liquido alcalino molto analogo alla linfa. Dopo la digestione, se specialmente si nutrì l’animale di sostanze grasse, il liquido dei vasi chiliferi non è diverso da quello di prima che per l’aggiunta di corpuscoli grassi, i quali gli danno l’apparenza lattiginosa. È naturale l’ammettere che quella affinità chimica, da cui si produce il liquido lattiginoso nel miscuglio della soluzione alcalina e dell’olio abbia pur luogo attraverso la membrana dei vasi chiliferi, che di certo si lascia imbevere, tanto dalla soluzione alcalina, quanto dal liquido lattiginoso formato dall’azione dell’alcali sui corpi grassi.
Il fenomeno d’endosmosi di cui or ora v’ho parlato può anche ammettersi con qualche probabilità fra le cagioni dell’assorbimento dei vasi chiliferi.
Le sostanze neutre azotate che entrano disciolte dal sugo gastrigo nel sangue, distruggerebbero presto lo stato neutro o leggermente alcalino necessario alla conservazione delle qualità di questo liquido: l’alcali del chilo e della linfa conservano questa neutralità del sangue.
Il chilo, la linfa contengono sospesi un gran numero di piccoli grani che hanno da 1 a 2 millesimi di linea di diametro, e che sembrano formati d’una sostanza grassa inviluppata da una membrana, che tutto porta a credere consistere in un corpo analogo alla proteina. Esistono queste granulazioni nel giallo dell’ovo, nel latte, nel chilo, nella linfa e in tutti i liquidi essudati patologicamente o destinati a nuove formazioni. Si sono viste queste granulazioni elementari riunirsi e formare un globetto una cellula analoga ai globetti del sangue, e si riguardano perciò come gli elementi morfologici di tutti i tessuti animali. Donne ha visto in questi ultimi tempi, iniettando il latte nei vasi sanguigni, sparire dopo un certo tempo i globetti del latte, coprendosi d’uno strato albuminoso, a guisa d’una vescica e allora ridursi allo stato dei globuli bianchi del sangue, e alla fine scomparire anche questi trasformandosi probabilmente in globoli sanguigni, e tutto il sangue ridursi come prima dell’iniezione del latte.
L’elemento organico sembra dunque ridursi ad una vescichetta costituita da uno strato di sostanza albuminosa, che si raccoglie, si organizza intorno ad un grano formato principalmente di sostanza grassa. Voglio mostrarvi una importante esperienza fatta da Ascherson, la quale consiste nel mettere un grasso liquido a contatto dell’albumina: quest’ultima, come lo vedete, si coagula all’istante, e se mescolate il tutto assieme, e portate una goccia del miscuglio sotto il microscopio vedrete un mucchio di vescichette ognuna delle quali è formate d’un grano di grasso inviluppato da una membrana d’albumina in qualche modo coagulata, e vi sembrerà d’avere sul porta-oggetti delle vere cellule adipose. Può anche vedersi meglio quest’azione deponendo sopra una lamina di vetro in prossimità una goccia d’olio e una d’albumina, e conducendole lentamente al contatto: è assai curiosa a vedersi al microscopio, la formazione quasi instantanea d’una membrana delicatissima, elastica che non tarda a cuoprirsi di numerose ripiegature. Ascherson ha provato che questa formazione d’albumina e d’olio; realmente di natura cellulosa, e lo ha fatto aggiungendo un poco d’acqua ad una goccia di questa formazione: egli vidde le cellule gonfiarsi e sortirne nel tempo stesso delle goccioline d’olio. Adoprando in vece d’acqua, acido acetico allungato, le cellule gli parvero tanto crescere che si ruppero. Invece nell’olio le cellule si comprimevano, diminuivano di volume. Evidentemente questi fatti, che dovrebbero tuttavia esser variati ed estesi, appartengono al fenomeno dell’endosmosi, e non possono intendersi senza ammettere la formazione cellulosa. Eccovi dunque una operazione fisico-chimica, che rende conto con esattezza della formazione delle granulazioni elementari. Dei corpi grassi e delle combinazioni di proteina sono costantemente introdotte nell’organismo; esse si trovano in tutti i liquidi animali; e i globetti del grasso che entrano nei tubi chiliferi e si trovano così in mezzo ad un liquido albuminoso, non possono tardare ad esser investiti da membrane albummose, e devono perciò formare vescichette analoghe a quelle che l’osservazione microscopica scuopre nel chilo, nella linfa e nel sangue.
Per compiere questa Lezione sulla digestione non ho più che a dirvi una parola dei gas dello stomaco e degli intestini, e delle sostanze inorganiche che formano parte più o meno integrante dell’organismo animale.
L’osservazione ha provato che manca quasi sempre l’ossigene nei gas dello stomaco, e specialmente in quelli delle intestina; e che questi gas si compongono principalmente di azoto, d’acido carbonico e d’una certa quantità d’idrogeno carbonato, e qualche volta di traccie di idrogene solforato. Evidentemente una gran quantità d’aria atmosferica è introdotta nello stomaco, e in qualche maniera deglutita assieme agli alimenti. L’ossigene di quest’aria scompare nello stomaco infiltrandosi forse per le membrane e giungendo fino al sangue, e più probabilmente prendendo parte a quelle modificazioni che sappiamo dover subire le materie azotate albuminose per divenire fermento. L’acido carbonico sembra svilupparsi abbondantemente in qualche caso, e si citano a questo proposito gli sviluppi enormi di questo gas in alcuni ruminanti nutriti di erbe fresche e umide. È curioso come la scomparsa, o la produzione di quantità abbondante di gas nello stomaco e negli intestini si fanno e si succedono qualche volta con tanta rapidità, da non potersi ricorrere ad azioni chimiche per rendersene conto. La presenza dell’idrogene fra i gas del tubo digerente non può fin qui legarsi a nessuno dei cangiamenti fisico-chimici che abbiamo visto accadere nella digestione.
Ho provato coll’esperienza che l’ossigeno non è necessario per l’azione che il sugo gastrico ha a disciogliere la fibrina e l’albumina coagulata, come sembra supporsi da Liebig. Un pezzo di stomaco di majale fu messo nell’acqua leggermente acidulata insieme alla fibrina e all’albumina coagulata: l’acqua era stata bollita per molte ore, ed il liquido preparato venne ricoperto da un grosso strato d’olio. L’albumina e la fibrina si disciolsero in quel liquido, come in un altro simile lasciati liberamente a contatto dell’aria.
Le sostanze inorganiche che trovansi nell’organismo, vi sono evidentemente introdotte e fan parte degli alimenti: esse non possono penetrare nella massa sanguigna che nel solo caso che vengano disciolte nell’acqua e nel sugo gastrico dello stomaco. Tutto ciò che non soddisfa a queste condizioni è necessariamente rigettato fra gli escrementi; ed i medici non dimentichino mai questa verità nella scelta e nella preparazione delle sostanze che amministrano ai malati.