Esempi di generosità proposti al popolo italiano/La speranza generosa/VI

La speranza generosa - VI

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[p. 112 modifica]Qui giova, a nostro ammaestramento, vedere un po’ più d’appresso come via via si venisse questo popolo costituendo, e come a meglio costituirsi le stesse difficoltà gli giungessero provvidamente opportune. Morto che fu Giosuè, grave era il pericolo che, inebriati dalla vittoria, allettati dagli agi del nuovo soggiorno, coloro specialmente che avevano sortita porzione più pingue, istigati dalle genti nemiche circonvicine, e da quelle che vivevano tuttavia in mezzo a loro, si disunissero, chi per ambizione di prevalere, e chi per gelosia dell’ambizione altrui e che cotesta gelosia si facesse essa medesima, senz’avvedersene, a poco [p. 113 modifica]a poco ambizione vorace. Tanto era incerto il da farsi, che, mancatogli il capo, cominciavano a domandare a sè stessi: Chi ascenderà innanzi a noi contro il nemico, e dovrà capitanare la guerra?

Ma in questa stessa domanda, mossa senza timore del pericolo esterno e con previdente amore della necessaria unità, manifestasi, più che la voglia dell’imperare, la coscienza del debito che la potestà dittatrice, assume in sè stessa. La risposta di Dio fu che il primo sia Giuda. Non è detto nominatamente quali di quella tribù erano per condurre la guerra; ma è detto che quella tribù volle diviso con altri e il peso e l’onore; e invocò Simeone dicendo: Ascendi meco nella sorte mia, e combatti i Cananei e io poi verrò e assicurerò la tua sorte. Così quelle tribù, veramente sorelle, intendevano la tanto improvvidamente ambita, come chiamasi precocemente, egemonia. Da sè soli ciascuno non si sentivano forti; ma prima che in aiuti esterni, fidavano, l’uno nell’altro, patteggiavano aiuti mutui; la promessa non era minaccia. Non è però men vero che l’una delle tribù fu prescelta a muovere in prima la guerra; e che quella che veniva chiamata al consorzio del cimento, rispose volonterosa. Le altre stavano pronte, attendendo la volta loro; nè con mostre vane di tumultuoso coraggio si cacciavano innanzi a provocare il nemico; molto meno, impreparate, a schernirlo, fatte sicure dell’impunità da chi era disposto a cimentarsi per esse.

A ciascuna tribù i suoi destini: a ciascuna li stabiliva il fuggente alito di Giacobbe con parole immortali. «Raccoglietevi, disse, e udite Israele, il padre vostro». - E benedisse ai singoli con benedizioni appropriate: e prenunzia [p. 114 modifica]l’Aspettato delle genti, il desiderio de’ colli eterni. E si raccolse nel suo letticciuolo, e morì.

Ma le austere parole di Giacobbe sul capo di Levi non tolsero che la sua discendenza non fosse consacrata al Signore; il presagio acerbo a Simeone non fece che Giuda nel dì del cimento con fiducia non lo invocasse compagno del pericolo e dell’onore. E questo ti sia esempio a non intendere nel senso più duro i giudizii di Dio, a non calunniare la sua giustizia infallibile, e non punto più grande della misericordia, coll’augusta e iniqua giustizia nostra; a non perpetuare l’eredità degli spregi e de’ sospetti; ma, credendo sanabili i mali antichi delle generazioni nostre consanguinee, sanarli: e, affrettandoci a rigenerarle in amore, ricreare noi stessi.

All’acquisto graduato della terra non era solamente ragione il far sì che i novelli posseditori fossero sufficienti a via via popolarla, e che non la lasciasse deserta lo sterminio de’ primi abitanti, ma, giova ripeterlo, acciocchè quelli si venissero facendo meritevoli del possesso e coll’affrontare i cimenti, e col difendersi dalle insidie, e col perseverante lavoro. Siccome i riedificatori di Gerusalemme dopo la cattività muravano armati; così dovevano i compagni di Càleb accanto all’aratro tenere la lancia, e con sotto il capo la spada prendere sonno. Nè l’esercizio delle braccia era il solo che avesse a guadagnar loro il terreno promesso, ma non donato; era l’educazione della virtù e della mente. Dovevano e dall’esperienza propria e dagli stessi nemici apprendere come si viva: perchè, guai al vincitore che non sa imparare dai vinti; guai a chi dalla buona ventura è fatto indocile, e quel che dovrebbe fargli più agile per nuove cure utilmente il pensiero, lo istupidisce! Possiamo apprendere eziandio da’ men buoni, e dobbiamo; e questa [p. 115 modifica]è scuola di tolleranza e di carità, scuola alla quale pochi si formano1.

Ma un altro altissimo fine aveva quel graduato conquisto: il lasciare che i popoli sconoscenti del vero Dio e di più mite governo, lasciare tempo che s’illuminassero, che apprendessero anch’essi, volendo; che venissero a patti; che non solamente a sè prolungassero, ma rendessero forse più civile, la vita. Non vollero. Alla libertà del loro arbitrio, così come del popolo sopravvegnente, apriva Dio un’occasione di merito acciocchè apparisse più giusta dall’un lato la mercede, e dall’altro la pena, se la volessero. Ma questo è da notare altresì, che Israello poteva con insidie e con frodi seminando tra essi discordia promettendo liberazione dai loro tiranni, o altri vantaggi, tendere di attrarli a sè, per poi dominarli; e non degnò: stette nell’aperta via che gli segnavano i suoi destini, e per quella procedette diritto senza deviazioni infide. Poteva altresì collegarsi con altri stranieri per vincere; ma non volle: ebbe fede nel proprio avvenire.

Note

  1. Dai Cananei poteva Israello imparare a guardarsi dai mali che li avevano condotti a rovina. Nei religiosi e sociali doveri, Dio pienamente ammaestrava il suo popolo eletto.