Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Il servitore affettuoso
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Era già incominciata la superbia regia di Saul; e, subito dopo la superbia, com’onde di torrente che premono le prim’onde, vennero disgrazie nel popolo d’Israello. S’erano i Filistei raccolti a combatterlo; trentamila cocchi, sei mila cavalli, e fanti che non se ne sapeva il numero; accampati in un luogo, di vocabolo Macma. Il popolo d’Israello, spauriti, si nascosero per le caverne de’ monti, e per le spelonche selvose, e tra le rocce deserte, e nelle vuote cisterne sotterra; altri passarono il Giordano a cercare scampo di là. Quelli che rimanevano a Saul e a Gionata figlio suo, soli secento, di tremila che erano sulle prime; e sgomenti se ne stavano in Ghibea, del paese di Beniamino. I Filistei scendevano da Macma in tre schiere, da diverse bande, a saccheggiare il paese. E avevano que’ stranieri ne’ precedenti anni condotto Israello a tale estremità, che in tutto quel popolo non si trovava un armaiuolo nè un fabbro ferraio da poter fare spada o lancia; e, per arrotare il vomero o il pennato o il forcone o la marra, bisognava ricorrere agli stranieri. Onde il taglio dei vomeri e delle mannaie e delle marre in Israello, dopo la guerra rotta, non era più buono; e non si trovava per il dì della battaglia nè spade nè lance. A tale era divenuto il popolo sotto il nuovo governo.
In questo estremo di cose, Gionata figliuolo di Saul dice un giorno al suo scudiero: «Vieni, che passiamo a vedere il nemico dappresso». E quel che intendeva fare, non disse nemmeno al padre, che se ne stava sul confine di Gabaa, sotto il melogranato di Migron; e i suoi secento aveva seco. La via di Gionata per giungere al posto nemico, era di massi sporgenti dai due lati, a guisa di denti; e le rocce dall’un lato si chiamavano Bose, dall’altro Sene; una delle punte sporgeva verso tramontana di contro a Macma, l’altra verso mezzodì contro Ghibea. Disse Gionata al giovane scudiero: «Vieni, vediamo d’inoltrarci presso al luogo da’ nemici tenuto, se Dio Signore ci guidi: chè non è difficile a Dio salvare o con molte forze o con poche». Il suo fedele scudiero non lo sconsigliò per falsa prudenza nè per propria paura ma, facendo del volere di lui e del proprio un solo volere, gli disse: «Fate, signore, quello che il cuore vi dice: andate dove a voi piaccia; io sarò con voi dovunque vogliate». Con molte parole gli apre il giovane fido la brama di tenergli compagnia, perchè desidera che il suo cuore non sia malnoto al suo signore; e sa che certi padroni si servono assai volte del povero in cose gelose, ma pur tuttavia diffidandone e disprezzandolo; e poi se ne scordano, se pur non fanno di peggio. Ma Gionata conosceva lui: onde, senza pur incuorarlo al pericolo, disse: «Affacciamoci, che ci veggano. E se, al vederci, dicono: - Statevene, che venghiamo noi, - non ci muoveremo: ma se diranno: - Venite, - e noi andrem oltre: e questo sarà segno ad accorgerci che Dio li ha dati nelle mani nostre».
Scesero dunque dallo scoglio di Bose; e giunti sotto quelle di Sene, le guardie filistee li adocchiarono dalla vedetta. E dissero tra sè: «Ecco gli Ebrei che sbucano fuori delle caverne ove stavano rimpiattati». Poi dall’altura dissero a Gionata e allo scudiero, come per ischerno: «Salite: e qualcosa vi mostreremo». Disse Gionata allo scudiero: «Vienmi dietro, salghiamo; chè Dio li ha dati in mano a Israello». Di sè non parla il figliuolo del re; non arroga a sè la grazia della vittoria, ma la distende al popolo tutto quanto; e ben sa che in grazia del popolo, non di suo padre, Iddio gliene dona. Mette sè a pari col suo scudiero fa bene; giacchè lo scudiero ci metteva la vita, senza sperarne nè gloria nè lucri. Il mestiere de’ servitori, è quasi sempre patire senza mercede di gratitudine senza onoranza di lodi nè di compianto morire.
Si mise Gionata col compagno per l’erta via aspra, a arrampicarsi con le mani e co’ piedi; tentando prima ogni masso se regga. E sotto le mani e sotto i piedi gli rotolavano i sassi, rimbalzando, e scheggiandosi. Montava ansante, e additava allo scudiero il passo più sicuro, egli primo al pericolo. Quando li videro i Filistei a scendere per quelle balze, duro varco alla capra e al camoscio, stupirono e si pensarono che tanto non avrebbero osato pochi guerrieri. E il suono delle pietre rotolanti, e il suono delle voci de’ due ripercosse dagli echi del monte e il suono dell’armi o scosse nè salti o striscianti sul sasso, e il luccicar degli elmetti al sole ardente, e lo sparire de’ due salenti fra le punte e i radi cespugli, e il riapparire sempre più presso alla cima, sembrò alle guardie filistee come un sogno pauroso. E stavano lì fermi senza sapere nè lanciar giavellotto nè scoccare saetta.
Gionata s’aggrappava all’ultimo masso: e’ non ancora ben fermo su quello, più coll’urto che col taglio della spada fa precipitare giù il Filisteo, troppo tardo oramai alla fuga. Gli altri fuggenti, egl’insegue con le grida e col ferro; e lo scudiere, dietrogli, atterra i lasciati da lui. Venti uomini quasi cascano morti nella metà dello spazio che un par di buoi in una giornata arerebbe. Il maraviglioso terrore portato dalla voce de’ due valorosi si diffonde nel campo come fiamma portata da’ venti. Sin que’ Filistei che in ischiera erano usciti alla preda, se ne risentirono; come il calore dell’incendio si distende più là che non giunga la vampa.
Le vedette di re Saul da Ghibea adocchiano la moltitudine caduta per il monte e per la campagna, o dispersa, come foglie, parte giacenti, e parte levate dal turbine. E Saul dice a’ suoi: «Cercate e vedete chi di noi manchi». Cercarono; e vedono che Gionata collo scudiero suo fido era via. Intanto che Saul interroga il sacerdote Achia del volere divino, ecco cresce il rumore, e si fa sempre più chiaro; rumore come di fuga confusa, non di fervente battaglia. Sentì re Saul quasi l’odore della vittoria, e diede il grido della mossa; e i petti di tutti i secento che eran seco, echeggiarono al grido. Corsero al luogo della mischia, ed ecco vedono che, forsennati di terrore, i Filistei avevano rivolte l’un contro l’altro le spade e vedono strage grande.
Que’ perfidi e codardi tra gl’Israeliti, che, quasi terra sgretolata dall’acqua corrente, s’erano mano mano aggiunti al nemico per timore di morte e per brama di preda, ecco adesso lo abbandonano, e ritornano a quelli ch’erano con Saul e con Gionata: antico mestiere de’ vili, che serbano il coraggio come moneta da spendere con usura dannosa al fratello che ha di bisogno. E tutti quegli Israeliti che s’erano rimpiattati nella montagna d’Efraimo e altrove, tesero trepidando l’orecchio al rumore dell’armi; poi, rassicurati, porsero il capo fuor delle grotte e delle cisterne, e uscirono; e, sicuri ormai della compiuta vittoria, gridarono sè apparecchiati a battaglia. Così si trovò, da secento, cresciuto l’esercito a diecimila.
Re Saul, da allora, ebbe sui nemici sbigottiti vittorie parecchie: ma il primo esempio che, a guisa d’unico lume dal quale s’accendano migliaia di lumi, diffuse in tanti petti il coraggio, fu l’ardimento di Gionata e dell’affettuoso scudiero, e la fede ch’egli ebbero in Dio; al quale è podestà di collocare la nostra salvezza nel servigio e di pochi e di molti. E Dio volle insieme insegnarci che il disprezzo dei nemici, per dappoco che paiano, e la fidanza vana nelle vittorie passate (peggio poi nelle future e non nostre), è sempre punita severamente.