Ercole (Euripide)/Terzo stasimo
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coro
Strofe I
a
Avviene un tramutare di mali: il prisco, il forte
nostro signore, vivo ritorna ancor dall’Ade.
Viva viva! La Sorte
e il Destino dei Numi batton novelle strade.
b
Su te, pur tarda, la Giustizia cade:
ché tu oltraggiavi i migliori di te.
c
Dagli occhi il pianto a rivi sgorga per l’esultanza.
È ritornato — innanzi, chi mai pur la speranza
ne concepia? — di questa terra il re.
d
Vecchi, dentro il palagio ora spiamo,
se qualcuno ebbe la sorte ch’io bramo.
Dall’interno del palazzo si leva un altissimo urlo di Lico.
lico
Ahimè, ahimè!
coro
Antistrofe I
Lungi non è la morte: tale suona un concento
dentro la reggia: a udirlo l’animo mio ne gode.
Con questo suo lamento
il tiranno preludia di morte alla melode.
lico
Terra di Cadmo, son morto di frode!
b
Perché uccider volevi: adesso espii.
c
Qual fu l’uomo che i Numi contaminare volle
con l’iniqua calunnia, che, con parola folle,
privi di possa proclamò gl’Iddii?
d
È spento già lo scellerato, o vecchi:
la nostra schiera al canto or s’apparecchi.
coro
Strofe II
Danze, danze e convivi
di Tebe odi suonar fra i muri santi.
Non di doglia or si lagrima:
mutò fortuna, e prospera
ispira i nostri canti.
È spento il nuovo re, l’antico impera
che lasciò l’Acheronte: verisimile
non fu la mia speranza; eppur s’avvera.
Antistrofe II
Importa, importa ai Superi
che con gli onesti il reo non sia confuso.
Ma l’anime degli uomini
l’oro e il successo sviano,
sí ch’elle faccian di sue forze abuso.
Niun, che le leggi vïolò, mai l’occhio
volge al futuro; e, ligio ad ingiustizia,
di sua fortuna spezza il negro cocchio.
Strofe III.
Di fior’ cingiti, Ismene:
o vie di Tebe levigate, empietevi
di gioiose carole;
e voi, limpide vene
di Dirce, e voi, dell’Àsopo figliuole,
del padre abbandonate ora le linfe,
qui venite, e le glorie
belle, gli agoni d’Ercole,
con me cantate, o Ninfe.
Pito, rupe ch’ài d’alberi corona,
fanciulle d’Elicona,
Tebe e le sue settemplici
porte cantate. Qui balzâr dal suolo
gli Sparti, bronzei scudi: essi tramandano
da figliuolo a figliuolo,
della terra il retaggio:
questo è di Tebe il raggio.
Antistrofe III
Deh, uniche e diverse
nozze, dell’uomo e del Signore Olimpio,
che giacente sorprese
la nipote di Perse1!
Che fu tuo quel prodigio ora è palese:
contro ogni speme, o Giove, ora si vide
il tuo poter: tangibile
il tempo rese e fulgida
l’alta possa d’Alcide:
della terra gli abissi, e di Plutone
ei lasciò la magione.
Quanto dei nuovi príncipi
miglior sei tu, del tristo lor lignaggio!
Ma, venuti al pericolo,
or, delle spade al saggio,
veduto s’è ben chiaro
se ai Numi il giusto è caro.