Ercole (Euripide)/Prefazione

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Euripide - Ercole (423 a.C./420 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Prefazione
Ercole (Euripide) Personaggi
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Osserva il Patin che l’Ercole è uno dei drammi in cui Euripide, per trovare un rimedio all’esaurimento delle combinazioni drammatiche, è ricorso all’espediente di riunire sotto il medesimo fuoco avvenimenti disparati e remoti. Ercole che strappa i figli alla morte minacciata da un usurpatore, ed Ercole, che, colpito da demenza, li uccide di sua mano, sono episodii ben distinti l’un dall’altro nella tradizione mitica; ma Euripide li accoppia, e aggiunge, di sua pretta invenzione, quello di Tesèo.

E, naturalmente, non sono mancati, dal Lessing al Christ, i soliti zelatori dell’unità assoluta, che hanno rimproverato il poeta d’averla violata. Ma questa volta, la ribellione del buon gusto è scoppiata anche nel campo chiuso della filologia. Il Patin osserva giustamente che nel brusco passaggio dall’un episodio all’altro, e nel contrasto che ne risulta il poeta ha cercato e forse trovata l’unità. E il Wilamowitz, scrive, intorno a questo dramma, per cui dimostra una sensibilità davvero eccezionale, parole essenziali: «Non molte tragedie, di qualsiasi tempo, riescono a scuoterci cosí profondamente; e il poeta drammatico, che non pensa a restar nei confini delle regole, bensí a colpire le anime degli spettatori, si ride del critico che [p. 98 modifica]vorrebbe ricordargli come non sia lecito dilacerare un dramma in tal modo»1.

Se vogliamo servirci d’una immagine moderna, diremo che l’Ercole è un trittico. Ma non è questa una vera nota caratteristica: altri drammi sono anzi polittici: per esempio, Le Troiane. Caratteristico è invece il collegamento dei tre episodii, che non sono semplicemente, allineati, come nelle Troiane, e neanche uniti con un nesso da causa ad effetto, come nelle Fenicie; bensí giungono di sorpresa. Nella prima parte, il poeta non dice nulla che faccia pur lontanamente presentire la demenza di Ercole: sembra anzi che con la salvazione dei figli e la morte di Lica l’azione debba aver fine: c’è già la materia e la forma d’un dramma completo. E invece, quando tutto sembra concluso, e pel meglio, eccoci balzati in un nuovo dramma. E anche di questo c’è la materia e la forma: da molti fu già osservato che il dialogo tra Furia ed Iride è un vero e proprio prologo. E, analogamente, dopo la morte dei figli, anche il nuovo dramma sembra esaurito. Invece, ecco Tesèo, ed ecco un nuovo prolungarsi dell’azione, verso una mèta ancora inattesa.

Ma sopra i tre episodii in qualche modo eterogenei, si sviluppa, con unità ed equilibrio stupendi, un magnifico diagramma sentimentale. Dalla prima parte, il cui pathos è tale che qualsiasi intensificazione ne parrebbe impossibile, si arriva nella seconda, con un balzo inatteso, ad un tal vertice d’orrore, che la prima parte sembra, per contrasto, mite. Ma rimanere a questo livello sarebbe riuscito sgradevole; e nella terza parte si effettua la defervescenza, che qui fa pensare in qualche modo alla catarsi, anche se non sembri assoluta l’identificazione fra la realizzazione artistica e la definizione aristotelica. [p. 99 modifica]


Se ora, distogliendoci dal fàscino della immediata intuizione, analizziamo l’Ercole con freddezza obiettiva, scorgiamo che l’impressione che esso produce su noi, di spontaneità e di freschezza, contrasta con la qualità del materiale che ha servito alla costruzione.

Infatti, la prima parte è una ennesima replica d’una scena assai frequente nel dramma tragico greco: supplici all’ara. La troviamo ne Le Supplici d’Eschilo, e nell’Andromaca e ne Gli Eràclidi di Euripide. E se intensifichiamo un po’ l’attenzione, in ogni parte scopriamo reminiscenze di situazioni, motivi, scene di altri drammi. I vecchi del coro, impotenti a difendere il loro re, fanno pensare a quelli dell’Agamennone. Lico attratto con l’inganno dentro la reggia, ricorda l’Egisto de Le Coefore. La scena fra Iride e Furia è ispirata, evidentemente, alla prima scena del Prometeo. Il risveglio di Ercole simiglia, ed era difficile evitarlo, a quello di Ercole ne Le Trachinie. Ed altre risonanze si potrebbero ricordare, ed altri echi, piú fievoli, e non perciò meno caratteristici, di atteggiamenti, spunti, motivi2.

E qualcuno di questi vecchi tèmi presenta certo uno svolgimento superiore ai precedenti. Cosí quello iniziale, i supplici all’ara. Situazione, abbiam vista, vecchia e tradizionale; ma in nessuno degli altri svolgimenti appare spinta a tal grado d’efficienza: in nessuno il nemico è tanto minaccioso, né il danno tanto vicino, in nessuno i perseguitati ispirano la pietà a cui qui c’inducono i teneri figli del piú grande eroe dell’Ellade. Ma in altri, scàpita Euripide. Per esempio, la scena tra Furia ed Iride, a considerarla intrinsecamente, è una [p. 100 modifica]parodia della scena del Promèteo (stranissima quella Furia pietosa).

Il materiale è dunque frusto, e non sempre rialzato da felicità di intima elaborazione. Ma, viceversa, è sommamente abile ed efficace la messa in opera. Questa medesima scena d’Iride e Furia, che in sé è cosí poco felice, situata in quel momento dell’azione, riesce d’effetto straordinario. Colpisce già alla semplice lettura; ma quella comparsa di due figure in aria, in un punto del dramma in cui nessuno era avvezzo a vederle, non potè non sbigottire gli spettatori. I quali non avranno certo mosso al poeta l’appunto di alcuni critici moderni, che la biasimano pel suo carattere di prologo.

Ho parlato d’abilità; ma piú giusto sarebbe parlare d’estro, d’ispirazione. L’ispirazione che si esprime e in parte si identifica con l’amore pel soggetto, è visibile, e quasi tangibile in ogni particolare del dramma, nella molteplicità degli episodii, nella loro compagine, nella ricchezza e floridità dei canti corali (il primo stàsimo è una vera Eracleide, in cui tutte le gesta dell’eroe sono rievocate con iscorci pieni di efficacia e di grazia). E, innanzi tutto, nell’empito eloquente dei personaggi. Mai nelle loro parole non occorre un momento di stanchezza; e la spontaneità copiosa del loro eloquio ci rende la piena illusione della vita. Ex abundantia cordis os loquitur. E nei riguardi del poeta, l’abbondanza del cuore si identifica con l’ispirazione.

L’amore del poeta per questo suo dramma, risulta in certo modo anche dal fallo che tutti i personaggi, ad eccezione di Lico, rimangono quasi interamente immuni da quelle tare che sogliono macchiare gli altri personaggi di Euripide. Il Parmentier osserva giustamente che Ercole appare qui purificato di tutti i tratti meno onorifici di cui lo gratificava la tradizione — l’assassino d’Ifito, l’ingiusto sacco d’Ecalía, il ratto di Iole, l’uccisione di Lica — , quale beneficatore dell’umanità, [p. 101 modifica]buon figlio, sposo fedele, tenero padre, amico devoto3. Piena di nobiltà e di simpatia la figura del vecchio Anfitrione. E anche piú alta Megara, che, se non gli cede né per devozione all’eroe, né per affetto ai fanciulli, lo supera per la sua maggior forza d’animo innanzi alla morte: finissimo tratto di penetrazione psicologica, perché, contro l’opinione convenzionale, le donne e i giovani affrontano l’ultimo destino assai piú coraggiosamente degli uomini e dei vecchi. Speciale simpatia ispirano anche i vecchi del coro; e Tèseo è perfetto prototipo di nobiltà, di magnanimità, di prodezza.

Tanto piú risulta odioso, nel suo isolamento di tristizia, il re Lico. In lui, come in altri personaggi euripidei — tipico il Menelao dell’Andromaca — vediamo delinearsi la figura del tiranno, specie di maschera scenica, e in séguito ingrediente ineliminabile della tragedia, neoclassica: quello che, a dire del Cossa,

                              .......spaventa
con gli occhi, e lento incede sopra l’alto
coturno, e fatti a suono di misura
tre passi, dice una parola, anch’essa
misurata e prescelta fra le truci
di nostra lingua.


Ai colori della efferatezza, però, Euripide, col suo grande istinto, ne mescola anche qualcuno che nella sua ferocia ha un sapor comico. Mentre Ercole, appostato nella reggia, attende Lico per ucciderlo, questi assicura che l’eroe è giú nell’Averno, e non ne tornerà piú mai. [p. 102 modifica]


Alcune concordanze, non indiscutibili, che intercedono fra l’Ercole furente e Le Trachinie di Sofocle4, hanno dato luogo a molte discussioni dei critici intorno alla reciproca priorità delle due tragedie. Ma siccome la data de Le Trachinie è incerta, ad altri elementi bisogna ricorrere, per illuminare quella dell’Ercole.

Ora, i critici hanno osservato da tempo che il successo di Sfatteria fu dovuto agli arcieri (Tucidide, IV, 32, 2), e la rotta di Delio al loro intempestivo ritiro (Tucidide, IV, 90, 4: vedi l’introduzione a Le Supplici). Ed hanno anche osservato come la difesa dell’arco, che Anfitrione fa nella sua contesa con Lico, e che sa d’appiccicatura, deriverebbe da questi fatti una giustificazione d’attualità storica. Questo argomento, in primo luogo5, e poi altri non spregevoli (per brevità rimando al Parmentier, che li enumera), indurrebbero a porre l’Ercole poco dopo il 424.

A me sembra che una conferma a questa data si possa derivare da una certa risonanza che mi sembra di sentire fra la scena dell’Ercole in cui Anfitrione domanda al figlio notizie di quanto gli avvenne nell’Ade, e quella de La Pace di Aristofane, in cui lo schiavo Trigèo rivolge un simile interrogatorio al suo padrone tornato dall’Olimpo. Non è vera e propria parodia: è una di quelle reminiscenze che si insinuavano, talora, credo, senza piena coscienza del poeta, nelle commedie di Aristofane, che subiva assai piú di quanto sia [p. 103 modifica]stato rilevato, l’influsso del grande e aborrito tragediografo. La Pace è del 421, poco prima della pace di Nicia; e, se coglie nel vero la mia ipotesi, l’Ercole non dovrebbe essere di troppo anteriore.


Concludendo, anche l’Ercole, nel complesso dei drammi euripidei, presenta un carattere tutto suo proprio. Carattere che non va cercato nella materia, e neanche nella sua disposizione, per quanto in parte nuova e strana; bensí in una certa ispirazione demoniaca, che anima ogni parte del dramma, e che tutti, lettori e critici, hanno sempre sentita, sebbene riesca sommamente difficile imprigionarla nelle reti di precise definizioni. Se poi, nel fissare la data del 424-421 abbiamo piú o meno colto nel vero, esso cadrebbe nel momento centrale dell’attività del poeta, a cui pure, quasi certamente, appartennero Le Supplici, che per quanto differenti in apparenza, pure ricordano l’Ercole in qualche nota: nella elevatezza dell’ispirazione, nella scarsità degli elementi scettici e sofistici, nella simpatia dei personaggi. E si può anche osservare che la scena di Furia ed Iride, e quella di Evadne, per quanto differentissime, sono però ispirate ad un medesimo criterio, o, meglio, mirano ad un medesimo effetto: colpire fortemente l’animo degli spettatori con una scena tanto spettacolosa quanto assolutamente inattesa ed imprevedibile.


Note

  1. Euripides Herakles erklaert con Wilamowitz - Moellendorf, zweite Arbeitung (1909).
  2. La maggior parte sono registrati nell’opera del Patin, pag. 31 sg.
  3. Nella edizione di Euripide della Società «Les belles lettres», pag. 4-5.
  4. Si possono vedere enumerate nella edizione già ricordata del Parmentier, pag. 17, nota I.
  5. Qualche concordanza è proprio singolare. Per esempio (IV. 32): ψιλοὶ οἱ ἀπορώτατοι (bene spiega Suida: πρὸς οὓς οὐδένα πόρον ἔστιν εὑρεῖν)... φεύγοντές τε γὰρ ἐκράτουν καὶ ἀναχωροῦσιν ἐπέκειντο.