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Osserva il Patin che l’Ercole è uno dei drammi in cui Euripide, per trovare un rimedio all’esaurimento delle combinazioni drammatiche, è ricorso all’espediente di riunire sotto il medesimo fuoco avvenimenti disparati e remoti. Ercole che strappa i figli alla morte minacciata da un usurpatore, ed Ercole, che, colpito da demenza, li uccide di sua mano, sono episodii ben distinti l’un dall’altro nella tradizione mitica; ma Euripide li accoppia, e aggiunge, di sua pretta invenzione, quello di Tesèo.

E, naturalmente, non sono mancati, dal Lessing al Christ, i soliti zelatori dell’unità assoluta, che hanno rimproverato il poeta d’averla violata. Ma questa volta, la ribellione del buon gusto è scoppiata anche nel campo chiuso della filologia. Il Patin osserva giustamente che nel brusco passaggio dall’un episodio all’altro, e nel contrasto che ne risulta il poeta ha cercato e forse trovata l’unità. E il Wilamowitz, scrive, intorno a questo dramma, per cui dimostra una sensibilità davvero eccezionale, parole essenziali: «Non molte tragedie, di qualsiasi tempo, riescono a scuoterci cosí profondamente; e il poeta drammatico, che non pensa a restar nei confini delle regole, bensí a colpire le anime degli spettatori, si ride del critico che vor-