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100 | EURIPIDE |
rodia della scena del Promèteo (stranissima quella Furia pietosa).
Il materiale è dunque frusto, e non sempre rialzato da felicità di intima elaborazione. Ma, viceversa, è sommamente abile ed efficace la messa in opera. Questa medesima scena d’Iride e Furia, che in sé è cosí poco felice, situata in quel momento dell’azione, riesce d’effetto straordinario. Colpisce già alla semplice lettura; ma quella comparsa di due figure in aria, in un punto del dramma in cui nessuno era avvezzo a vederle, non potè non sbigottire gli spettatori. I quali non avranno certo mosso al poeta l’appunto di alcuni critici moderni, che la biasimano pel suo carattere di prologo.
Ho parlato d’abilità; ma piú giusto sarebbe parlare d’estro, d’ispirazione. L’ispirazione che si esprime e in parte si identifica con l’amore pel soggetto, è visibile, e quasi tangibile in ogni particolare del dramma, nella molteplicità degli episodii, nella loro compagine, nella ricchezza e floridità dei canti corali (il primo stàsimo è una vera Eracleide, in cui tutte le gesta dell’eroe sono rievocate con iscorci pieni di efficacia e di grazia). E, innanzi tutto, nell’empito eloquente dei personaggi. Mai nelle loro parole non occorre un momento di stanchezza; e la spontaneità copiosa del loro eloquio ci rende la piena illusione della vita. Ex abundantia cordis os loquitur. E nei riguardi del poeta, l’abbondanza del cuore si identifica con l’ispirazione.
L’amore del poeta per questo suo dramma, risulta in certo modo anche dal fallo che tutti i personaggi, ad eccezione di Lico, rimangono quasi interamente immuni da quelle tare che sogliono macchiare gli altri personaggi di Euripide. Il Parmentier osserva giustamente che Ercole appare qui purificato di tutti i tratti meno onorifici di cui lo gratificava la tradizione — l’assassino d’Ifito, l’ingiusto sacco d’Ecalía, il ratto di Iole, l’uccisione di Lica — , quale beneficatore dell’umanità,