Emma Walder/Parte seconda/VII

VII

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utti dormivano ancora nella casa, allorchè Leopoldo Mandelli si alzò, dopo una notte senza sonno.

Si affrettò ad uscire. L’aria di quella casa, della sua casa, lo soffocava. Strani pensieri, strani fantasmi lo avevano tormentato durante la veglia ed i brevi, affannosi assopimenti. Il matrimonio di Emma con Celanzi, sembratogli al primo istante una soluzione, quasi una salvezza, lo faceva scattare al solo pensarvi.

Dare Emma all’amante di Cleofe?!... Come aveva [p. 248 modifica] egli potuto fermare lo spirito, non fosse che un istante, su un progetto così disgustoso, degno di uscire dal cervello di «quella vipera?»

Aveva delirato? Colei era riuscita ad imporglisi ancora una volta, impietosendolo con le sue lagrime?

Aveva ancora potuto crederla capace di un sacrificio, capace di dimenticare il proprio egoismo? Gonzo!

Colei non pensava che a sè. La trovata di quel matrimonio era una suprema astuzia: un colpo di genio.

Mai, mai!...

Albeggiava. Una densa nebbia copriva le rive del fiume, allargandosi sul borgo e sulla campagna.

Leopoldo entrò nella chiesetta appena aperta; piena d’ombra e di mistero. Due preti recitavano mattutino nel piccolo coro.

Suonava la prima messa.

Le solite pinzocchere, i soliti campagnuoli arrivavano alla spicciolata.

Era domenica.

Leopoldo tornò fuori senza aspettare la messa. Il suo animo non era disposto nè alla musica, nè alla preghiera. L’amarezza soffocata gli gonfiava il cuore. Traversò il borgo dove le finestre si aprivano lentamente e gli usci sbadigliavano.

Passando davanti a casa Celanzi vide uscirne tre donne, poi un’altra. Tagliarono la strada diagonalmente [p. 249 modifica] voltandosi a guardarlo. Riconobbe in esse la madre e le sorelle di Celanzi, seguite dalla serva.

Solo in casa, Andrea lo aspettava.

Perchè non andava a sfidarlo, a ucciderlo? Si sarebbe sfogato. Lo scandalo non avrebbe nociuto al suo onore: gli nuoceva di più l’inazione.

— Il mondo rispetta quelli che si vendicano. La prepotenza e l’astuzia si impongono alla stima: i generosi e i vigliacchi vanno facilmente confusi.

Perchè mai la natura non gli aveva data alcuna buon’arma di difesa, nè prepotenza, nè astuzia, nè vanità?

Gli sovveniva un particolare, di alcuni anni addietro, che gli aveva dato la misura della propria forza e della propria debolezza. La Società del Quartetto di Milano, società a cui egli apparteneva, aveva fatto venire un sommo pianista, e tutti accorrevano ad ascoltarlo, e tutti parlavano della sua abilità e della sua arte insuperabile. Egli pure vi andò; e, tornato a casa, suonò gli stessi pezzi, stranamente sorpreso di non sentirsi inferiore. Che vita diversa, se avesse avuto il coraggio di esporsi al pubblico la forza d’imporsi, la vanità necessaria per disprezzare le critiche e sfidare gli emuli!

Non poteva. La sola idea della notorietà lo spaventava, come lo spaventavano gli obblighi di società, le finzioni, le adulazioni. Era un infelice, predestinato a oscure battaglie, a dolorose vittorie. [p. 250 modifica]

— Ed ora cosa farò?... Cosa farò? —si domandava camminando a caso, uscendo dal borgo. Se Emma ama Celanzi... se è vero... cosa farò?

A momenti Emma gli faceva pietà; la compiangeva, povera bimba. Poi, tutto a un tratto si rivoltava.

La coscienza gli diceva che il suo dovere era di andare da Andrea, di dimenticare ogni offesa e di combinare una linea di condotta capace di assicurare la felicità di Emma. Un viaggio, per esempio. Andrea potrebbe fare un viaggio di qualche mese, per lasciare a Cleofe il tempo di allontanarsi con la figlia e il genero. Dopo...

Oh! no! no! Impossibile.

Emma doveva dimenticare quell’inutile amore. Doveva rimanere con lui, sola con lui... fino al giorno...

Fino a qual giorno?...

Non poteva rispondere. Non osava.

Poteva perdonare a Celanzi il tradimento, non rivederlo, però... Al solo pensiero di rivederlo, si sentiva rimescolare. Ah! se ci fosse stato il divorzio, che bella vendetta, fargli sposare Cleofe!

Allora sì gli avrebbe perdonato completamente, ringraziandolo anzi per la ricuperata libertà.

La morale ufficiale e la legge vietavano un accomodamento così facile e logico. Bisognava invece, fingere, salvare le apparenze: aiutare la società a non uscire dalle vecchie rotaie. [p. 251 modifica]

Che gliene importava a lui, dopo tutto?... Infelice in tutte le maniere: questo era il suo destino.

Nessuna legge, tuttavia, poteva comandargli di strapparsi il cuore con le proprie mani.

Era giorno fatto quando arrivò a una sua fattoria, guidato dall’abitudine.

Oltre alla casa dei contadini vi era là una casetta padronale, una specie di casa svizzera.

Pensò di riposarsi qualche ora perchè si sentiva spossato.

La massaia gli si fece incontro, premurosa.

Il suo uomo era fuori: le dispiaceva tanto. Era andato a Monza a far montare la cavalla, il signor padrone sapeva bene, approffittando della festa per non perdere tempo nei giorni di lavoro... E appunto capitava il signor padrone!

Leopoldo la tranquillò: non aveva bisogno di nulla. Voleva soltanto entrare nel villino e riposarsi. La buona donna andò a prendere la chiave.

I bimbi intanto si facevano intorno al signore, e lo guardavano, curiosi. Il vecchio Fido, antico cane da caccia messo a riposo, venne anche lui a fargli un mondo di feste.

Ouella fattoria con la piccola abitazione era sempre stata la villeggiatura prediletta della signora Mandelli madre. Leopoldo vi aveva passate parecchie vacanze, e moltissime feste, nell’infanzia e nell’adolescenza. Quel tempo lontano gli si affacciava come una [p. 252 modifica] visione. Si rivedeva bambino, in calzoncini corti, allegro, felice: poi grandicello, con la nera sottana del seminarista, impacciato, serio, senza espansione. Rivedeva il padre, il fratello, così diversi. Quante contrarietà, quante amarezze si accompagnavano nella sua vita ad ogni ricordo! Non era mai stato felice. Nessuno lo aveva amato di quell’amore intenso, assoluto, che è il sogno delle anime ardenti.

E tuttavia quei ricordi lo commovevano. Il passato lo trasportava ancora; per quanto mesto, era un gaudio in confronto del presente.

Ebbe, in quel mezzo, una strana sensazione di rapimento. La vita reale fuggiva da lui; le cose reali assumevano un significato simbolico. Già gli pareva di toccare, cosciente, all’estremo limite del mondo fisico; già il mistero si frangeva; già la mònade umana si sentiva prossima a naufragare nell’eterno infinito.

I bimbi, stupefatti del suo silenzio e della sua immobilità, si allontanavano adagio, guardandolo di sottecchi. Il cane, ritto sulle quattro zampe, dimenava la coda.

Leopoldo si scosse: la visione sparì. I grandi occhi umidi dei bimbi curiosi, i dolci occhi affettuosi della povera bestia, lo attirarono a sè.

Perchè lo commovevano così profondamente? Perchè penetravano così addentro nell’anima sua?

Poveri bimbi ignari! Povero cane!... Un’onda di pietà gli gonfiò il cuore. Si chinò sulle bionde teste [p. 253 modifica] e abbozzò una carezza, di cui il cane prese la sua parte con rumorosa gioia, slanciandosi al collo del padrone.

La massaia, di ritorno con la chiave, frenò quell’impeto di bestia affettuosa. I bimbi scoppiarono a ridere, poi s’involarono schiamazzando e spingendo il cane alla cuccia.

Quando fu solo nella casetta, sempre pronta ad ospitare i padroni, Leopoldo andò a cercare la camera in alto, dove dormiva da ragazzo. Si buttò sul lettuccio per riposare.

La nebbia era svanita; dalle finestre aperte entrava il sole ancora tepido dell’ottobre.

Tentò di pigliar sonno. Ma il pensiero tormentatore che gli aveva dato un istante di tregua tornò ad assalirlo.

Doveva perdonare, dimenticare, e assicurare la felicità di Emma...

Andrea era un uomo di cuore, un uomo onesto, malgrado la sua aberrazione per Cleofe; solo con Emma, lontano, l’avrebbe amata e resa felice. Bisognava farli sposare e mandarli via.

Quanto a lui... vi era un rimedio, un dolce sottile rimedio!

Vestito di tutto punto, Andrea aspettava i padrini, o un ordine qualsiasi dalla parte del Mandelli.

Pronto a morire, egli aveva passato la notte nei [p. 254 modifica] preparativi necessari. Alcune lettere suggellate stavano sulla sua scrivania. Molte carte, fatte a brandelli, finivano di bruciare nel caminetto. Pareva calmo; solo le guance pallidissime e la fiamma degli occhi, bruni e incavati, tradivano una profonda commozione. La morte non lo spaventava; nè in quell’ora, la vita poteva sorridergli. Il pensiero di Cleofe lo torturava. Disonorata per lui e irremissibilmente rapita al suo amore! Non avrebbe mai immaginata una simile soluzione. Pensava agli amari insulti del marito, all’umiliazione inaspettata di lei, a quella assoluta mancanza di dignità; e gli antichi sospetti, soffocati dalla passione, si rifacevano vivi nel suo cuore straziato. Ma non poteva cessare di amarla.

Gli aveva dischiuso il cielo: per lei sola al mondo aveva gustata la divina ebbrezza. Non a lui spettava di giudicarla.

Nel medesimo tempo, la perduta amicizia di Leopoldo era una lama acuta che gli dilaniava le viscere. Avere ottenuto la stima e l’amicizia di quell’uomo e perdere tutto così, miseramente!

— Gli ho offerto la mia vita — diceva tra sè — ma egli non sa che farne. E ha ragione. Quand’anche mi uccidesse, cosa cambierebbe? Il male fatto non si cancella, il tradimento non si lava neppure col sangue!

Squillò il campanello, in quel mentre.

Egli andò ad aprire perchè era solo in casa, e fu assai stupito vedendo la cameriera di Cleofe. [p. 255 modifica]

Una letter!

Tremava nell’aprirla.

La bella donna gli raccontava del colloquio avuto con Leopoldo durante la notte, della grazia ottenuta. Ella era salva, purchè egli, Andrea, acconsentisse a sposare Emma che lo amava – la signora non si [p. 256 modifica] peritava di affermarlo. Leopoldo si sarebbe recato da lui per parlargliene, o gli avrebbe scritto; non sapeva. In ogni modo lo scongiurava di aderire.

Sorpreso e profondamente amareggiato, Andrea non sapeva cosa rispondere. In quel momento quella proposta gli pareva assurda, canzonatoria, offensiva dalla parte di Cleofe. Era il vecchio progetto che ritornava a galla.

Dunque ella non lo aveva mai amato? Per lei non si trattava che di salvarsi! E poichè egli, rappresentava la zavorra che l’avrebbe fatta naufragare, non pensava che a liberarsene. I vecchi dubbi sul carattere di quella donna lo riassalivano tumultuariamente. Rammentava le parole di Leopoldo, la terribile ironia... Oh! per quella donna egli si era macchiato di tradimento, e aveva offeso crudelmente l’amico...

I minuti passavano. La cameriera fremeva. Osò farsi avanti.

— Signor Celanzi... la signora mi ha raccomandato di far presto.

— Subito.

Prese un foglio e scrisse col lapis: «Farò quello che mi sarà imposto. Vorrei che fosse la morte.»

· · · · · · · · · · ·

Appena ricevuta questa risposta, Cleofe cercò di trovarsi sola con Emma per parlarle di Celanzi, indagare il suo sentimento e capire se avrebbe accettato. [p. 257 modifica]

Emma non le lasciò il tempo di concludere. Indignata fin dalle prime parole, non seppe, o non si curò di nascondere il proprio sentimento.

Qualcosa della scena nella camera matrimoniale, delle lagrime della signora e della sua visita notturna al marito, si era propalato nella casa. I domestici sorpresi a discorrere sottovoce, tacevano di botto. La cameriera sorrideva in pelle, appena il cuoco la guardava. Del resto tutta vecchia gente di casa, gente discreta, interessata a celare le magagne dei padroni.

Emma non poteva essere senza sospetti. Un breve esame del viso di Leopoldo le aveva rivelato, fin dalla sera innanzi, che egli celava un nuovo travaglio.

Per illuminarla completamente non ci volevano che le parole di Cleofe dette con quella speciale intonazione dell’ipocrisia, che l’ipocrita non può sempre dominare.

D’altronde, ella sapeva da molto tempo che Andrea era l’amante di Cleole.

Dunque?

Il colpevole còlto in flagrante si sottometteva alla necessità di assopire le chiacchiere dei maldicenti? L’onore innanzi tutto. E poichè lei c’era, doveva ben servire a qualche cosa! Non dubitò un istante che la stessa Cleofe avesse escogitato sì bell’espediente.

Ma Celanzi?

Ma Leopoldo?... [p. 258 modifica]

Non le pareva vero che il suo buon padre, lui che tanto l’amava e la conosceva, potesse giocarla così? Darla a un uomo che ne amava un’altra?

Non era possibile.

Eppure, appena tornato a casa verso il tramonto, Leopoldo andò a trovarla nella sua cameretta e le disse, quasi brutalmente, che Celanzi aveva chiesto la sua mano e che ella doveva rispondere con tutta franchezza.

Non era vero. Egli non aveva parlato con Celanzi, e Celanzi non aveva scritto nulla, naturalmente.

Dopo il terribile combattimento che lo aveva travagliato la notte e il giorno, Leopoldo si era afferrato, come all’ultima tavola di salvamento, a questa determinazione: valersi di tutti i mezzi per sapere positivamente se Emma amava Celanzi, e agire poi di conseguenza.

Quasi atterrita, Emma non poteva rispondere.

— Anche lui pensava — anche lui! La paura del disonore gli fa perdere la testa.

E lo guardava con angoscia. Ma ella aveva l’abitudine di leggere in quei lineamenti; epperò, guardandolo, indovinò quasi tutto. Come un lampo la verità balenò al suo pensiero. Capì che cercando chi poteva essere l’uomo da lei inutilmente amato, egli aveva pensato a Celanzi, perchè Celanzi gli pareva l’unico uomo possibile.

Ne fu commossa, intenerita. Voleva renderla felice a qualunque costo, il suo povero babbo! [p. 259 modifica]

E poichè, vedendola così assorta, Leopoldo ripetè la domanda, ella rispose con dolcezza:

— Digli che lo ringrazio: che non penso a maritarmi per ora.

Perplesso, il Mandelli tacque alcuni momenti, poi riprese:

— Sei ben sicura di non amarlo?

— Sicurissima, babbo; non l’amo. D’altra parte lo rifiuterei anche se l’amassi.

— Perchè?

— Perchè non credo che egli mi ami.

— Egli ti ama... dal momento che ti chiede...

— Non è una prova; ma sia pure. Io non l’amo.

— E allora chi ami?... Tu soffri, deperisci... hai momenti di disperazione, e vuoi farmi credere che non sei innamorata? Sii logica, almeno.

— O babbo, lascia andare. Non sai quante volte ci s’inganna ragionando a fil di logica?

Egli la guardò come ebbro. Una insensata speranza gli traversava lo spirito. Il suo buon senso reagì subitamente.

— Senti, Emma — disse — tu divaghi. Segno che in realtà non sei ben sicura di quello che dici. Tu ami Andrea, confessalo!

Essa lo guardò tristamente.

— Perchè insisti tanto?

— Per il tuo bene. E poi, tutto mi dice che tu fingi, che vuoi nascondermi il tuo segreto per [p. 260 modifica] dirmi di agire. Sento le tenebre tra la tua anima e la mia. Se non è Andrea, chi sarà?

Emma tacque, colpita.

Quella insistenza la spaventava. A forza d’indagini e d’insistenza, egli poteva scoprire la verità.

E allora?... Quali nuove angosce per lui, quali inquietudini!

Si alzò, risoluta a metter fine a quel penoso colloquio.

— La tua ultima parola? — domandò Leopoldo ancora una volta, fissandola negli occhi.

— Rifiuto. Addio, babbo. Digli, se credi — soggiunse con un po’ di malizia — che gli sono grata: è sempre un onore che mi ha fatto.

— Tu non hai bisogno di ringraziare nessuno, tu meriti tutti gli omaggi — si lasciò sfuggire il Mandelli.

Si separarono; e la fanciulla osservò che Leopoldo non pareva punto malcontento di essere stato battuto.

Quella sera ella non si fece vedere nella riunione di famiglia.

Sola nella sua camera pensava al modo di mettere in esecuzione un progetto che si andava maturando nel suo pensiero.

Voleva partire da quella casa, non potendo più viverci, dacchè la sola persona veramente affezionata, Leopoldo, l’angustiava con le sue investigazioni. [p. 261 modifica]

Bisognava sfuggirgli, andarsene. Il destino la spingeva.

Oh! se la sua mamma fosse stata ancora viva, l’avrebbe cercata, si sarebbe messa al suo fianco, per proteggerla, rialzarla. Ahimè, ella era sola al mondo! Poteva andare dove voleva, era padrona. Tutto le diceva di fuggire. Oh! perchè non era fuggita prima?!

Quante lagrime aveva versate fra quelle pareti, fin da piccina, fin da quando rievocava le carezze della sua mamma perduta, sebbene quelle carezze fossero spesso alternate da busse! Quante volte nel piccolo letto elegante e morbido, quante volte, non potendo addormentarsi, ella aveva sognato di scappare, di correre dietro ai carrozzoni, per non ritornare mai più in quel paese, in quella casa, dove pativa tante umiliazioni! Il solo pensiero di Leopoldo la tratteneva allora.

Era finito adesso: nulla poteva trattenerla.

Aveva l’indirizzo dei Von Roth, che si trovavano a Bologna. La signora Marta le aveva scritto da pochi giorni, come soleva fare un paio di volte l’anno.

La mattina dopo Emma si alzò presto, andò al telegrafo e mandò un dispaccio così concepito:

«Ho bisogno di un posto nel carrozzone per alcune settimane. È possibile? Rispondere fermo in telegrafo a Emma Walder

La risposta non si fece aspettare. Quando andò a prenderla, era già lì da alcune ore. Essa diceva: [p. 262 modifica]

«Sempre posto per Emma Walder in casa Von Roth...»

Con un secondo dispaccio, ella annunziò la sua partenza e il suo arrivo.

E la sera stessa, alle dieci, mentre quelli di casa la credevano in camera sua, ella era alla stazione col suo biglietto per Bologna, in attesa del treno diretto proveniente da Milano.

Aveva in tasca un centinaio di lire: piccole economie fatte in parecchi anni sul suo spillatico. Della sua roba, portava soltanto una borsa con un po’ di biancheria, e alcuni gioielli, doni di Leopoldo, di Cleofe, di Annetta e di zio Marco, che non dimenticava mai gli onomastici e i giorni solenni.

Le batteva il cuore con violenza.

Il fischio straziante del vapore, il tintinnìo monotono del campanello elettrico, la facevano quasi svenire.

Velata e tutta in nero, scivolò come un’ombra sotto agli occhi curiosi del capo-stazione, ed entrò nel primo scompartimento di seconda classe, che le capitò di vedere aperto.

Per fortuna era quasi vuoto.

Seduta, tirò un gran respiro e si rincantucciò nel suo angolo.

Ma appena il treno uscì di stazione, aprì il finestrino, si affacciò, e con uno sguardo abbracciò la campagna, piatta, spoglia, sinistra, sotto al cielo nero come l’inchiostro. [p. 263 modifica]

I suoi occhi cercarono i pochi lumini vacillanti che annunziavano l’esistenza del borgo, sepolto nella nebbia; e gli mandò un saluto pieno di rancore.

Più lontano, nella vasta solitudine ignota, nell’alta notte, tormentata dall’alito asmatico della macchina, come da un ululato di fiere incalzanti il treno, ella si sentì improvvisamente rammollire il cuore, e pianse tutte le sue lagrime.