Elettra (D'Annunzio)/Per la morte di Giuseppe Verdi
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PER LA MORTE DI GIUSEPPE VERDI.
terribili, col pondo
degli eterni pensieri e del dolore:
Dante Alighieri che sorresse il mondo
5in suo pugno ed i fonti
dell’universa vita ebbe in suo cuore;
Leonardo, signore
di verità, re dei dominii oscuri,
fissa pupilla a’ rai de’ Soli ignoti;
10il ferreo Buonarroti
che animò del suo gran disdegno in duri
massi gli imperituri
figli, i ribelli eroi
silenziosi onde il Destino è vinto.
15Vegliato fu da’ suoi
fratelli antichi il creatore estinto.
Come la nube, quando è spento il Sole
dietro le opache cime,
di fulgore durabile s’arrossa:
20contro all’ombre notturne arde sublime
la titanica mole
e la notte non ha contro a lei possa:
così dalle affrante ossa
l'anima alzata contrastò la Morte,
avverso il buio perdurò splendente.
Dinanzi alla veggente
tutte aperte rimasero le porte
del Mistero, e la sorte
umana fu sospesa
30su l’alte soglie ove la Forza trema.
Sul rombo, nell’attesa,
allor sonò la melodìa suprema.
La melodìa suprema della Patria
in un immenso coro
35di popoli salì verso il defunto.
Infinita, dal Brènnero al Peloro
e dal Cìmino al Catria,
accompagnò nei cieli il figlio assunto.
E colui, che congiunto
40in terra avea con la virtù de’ suoni
tutti gli spirti per la santa guerra,
pur li congiunse in terra
col suo silenzio funerale e proni
li fece innanzi ai troni
45ed ai vetusti altari
ove l’Italia fu regina e iddia.
Canzon, per i tre mari
vola dal cuor che spera e non oblìa!
E “Ti sovvenga!„ sia la tua parola.
50Vegliato fu da’ suoi
fratelli antichi il creator che dorme.
E simile alle fronti degli eroi
era la fronte, sola
e pura come giogo alpestro, enorme.
55E profonde eran l’orme
impresse dal suo piè nella materna
zolla, profonde al pari delle antiche;
e l’alte sue fatiche
erano intese ad una gioia eterna;
60e come l’onda alterna
dei mari fu il suo canto
intorno al mondo, per le genti umane.
E noi, nell’ardor santo,
ci nutrimmo di lui come del pane.
65Ci nutrimmo di lui come dell’aria
libera ed infinita,
cui dà la terra tutti i suoi sapori.
La bellezza e la forza di sua vita,
che parve solitaria,
70furon come su noi cieli canori.
Egli trasse i suoi cori
dall’imo gorgo dell’ansante folla.
Diede una voce alle speranze e ai lutti.
Pianse ed amò per tutti.
Fu come l’aura, fu come la polla.
Ma, nato dalla zolla,
dalle madre dei buoi
forti e dell’ampie querci e del frumento,
nel bronzo degli eroi
80foggiò sé stesso il creatore spento.
E disse l’Alighieri in tra gli eguali
nella funebre notte:
“O gloria dei Latin’, come tramonti!„
Quivi bianche parean dalle incorrotte
85spoglie grandeggiar le ali
sotto la fiamma delle vaste fronti.
E Dante disse: “O fonti
della divina melodia richiusi
in lui per sempre, che tutti li aperse!
90Ecco quei che s’aderse,
su la sua gloria, in cieli più diffusi
e agli uomini confusi
parve subitamente
artefice maggior della sua gloria.
95O natura possente,
non conoscemmo noi questa vittoria!„
E Leonardo: “Innanzi ebb’io la nuda
faccia del Mondo immensa,
come quella dell’Uom che a dentro incisi.
100Creai la luce in Cristo su la mensa
e creai l’ombra in Giuda.
Dell’Infinito feci i miei sorrisi.
Poi, nel vespro, m’assisi
calmo alla sommità della saggezza
105ed ascoltai la musica solenne.
Per quali vie convenne
meco quest’aspra forza a tale altezza?
Come questa vecchiezza
semplice e sola attinse
110il culmine ove regna il mio pensiero?
Fratello m’è chi vinse
il suo fato e tentò novo sentiero.„
E il Buonarroti disse: “Io prima oscuro,
per opra più perfetta
115rinascere, di me nacqui modello.
Poi mi scolpii nella virtù concetta,
come nel marmo puro
s’adempion le promesse del martello.
E posi me suggello
120violento sul secolo carnale
di grandi cose moribonde carco.
Irato apersi un varco
nelle rupi all’esercito immortale
degli eroi sopra il Male
125vindici; senza pace,
stirpe insonne, anelammo all’alto segno.
Ben costui che or si giace
tal cuore ebbe, s’armò di tal disdegno.„
Nella notte così gli eterni spirti
130riconobbero il Grande
cui sceso era pe’ tempi il lor retaggio.
Il titano giacea senza ghirlande,
senza lauri né mirti,
sol coronato del suo crin selvaggio.
135E, come il primo raggio
dell’alba fu, la maggior voce disse:
“O patria, degna di trionfal fama!„
E parve che una brama
di rinnovanza dalla terra escisse,
140e che le zolle scisse
dai vomeri altro seme
chiedessero a novel seminatore,
e che l’onte supreme
vendicasse la forza del dolore.
145Canzon, per i tre mari
vola dal cuor che spera oltre il destino,
recando il buon messaggio a chi l’aspetta.
Aquila giovinetta,
batti le penne su per l’Apennino;
150per l’aere latino
rapidamente vola,
poi discendi con impeto nei piani
sacri ove Roma è sola,
getta il più fiero grido e là rimani.
NEL PRIMO CENTENARIO
DELLA NASCITA DI
VINCENZO BELLINI.
Giove alla figlia di Demetra antica
donò ricca di messi e di cavalli,
di lunghe navi e di città potenti,
5d’aste corusche e di cerate canne,
di magnanimi eroi e di pastori
melodiosi,
dal santo lido ove apparì l’Alfeo
terribile che tenne la sua brama
10immune dentro all’infecondo sale,
da Ortigia ramoscel di Siracusa,
che fu sorella a Delo e abbeverava