Elementi di economia pubblica/Parte terza/Capitolo IV
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Cap. IV. — della disciplina, con cui le arti devono essere tenute
31. Le cose dette negli antecedenti Capitoli ci renderanno assai spediti in questo. Tre sono le qualità, dicono gli scrittori di economia, che si ricercano in ogni arte e in ogni manifattura, bontà, varietà e buon mercato. Chiamasi buona una manifatura: i. quando ottimamente soddisfaccia all’uso per cui è destinata; ii. quando sia durevole, tanto nel tutto, che in ciascuna delle sue parti; iii. quando sia fina, cioè quando non vi sia impiegata più materia di quella che faccia d’uopo all’uso presente dell’arte medesima.
La varietà poi è richiesta tanto, quanto sono varj i capricci, i gusti e le maniere di sentire degli uomini, i quali se si rassomigliano moltissimo nelle primarie operazioni delle loro facoltà, divengono poi differentissimi nelle più complicate, quali sono appunto le arti e manifatture delle nazioni colte e raffinate. Questa varietà è tanto più necessaria, quanto ella si scorge non solamente nei diversi uomini, ma ancora nello stesso individuo, il quale a misura che è disoccupato, si stanca della uniformità e dimanda mutazione e novità. Quindi il capriccioso predominio della moda sulle anime frivole e oziose, le quali mancando di grandi oggetti e di ampie occupazioni, che assorbiscano la maggior parte della loro sensibilità, questa rivolgono ad osservare continuamente e sè e gli altri e le cose che loro stanno d’attorno; onde ne nasce una continua inquietudine e gara negli uni di distinguersi, e negli altri di tosto assomigliare coloro che si distinguono, ed un continuo entrare ed uscire, sempre però nel breve giro delle medesime cose appresso a poco, perchè il peso dell’abitudine vincitrice e l’autorità de’ costumi generali non permettono cangiamenti subitanei del tutto e delle parti più essenziali, ma solo delle piccole ed accessorie. Dunque quanto più le arti soddisfaranno ad un maggior numero di queste capricciose esigenze, tanto maggior esito avranno e tanto maggior profitto recheranno a chi le professa; adunque ogni arte che involve colori, forme, disegni, dovrà aver sempre un ampio corredo ed una moltiplice raccolta di tutte le varietà di cui sono suscettibili gli oggetti da quella fabbricati, incominciando dalle nude e semplici forme che rigidamente servono all’uso soltanto, e stendendosi poi molto nelle temperate combinazioni del bello, non escludendo totalmente il minuto e lo esagerato del capriccioso e bizzarro: il che se avverrà con iscandalo dei conoscitori e dei buon-gustai, ritornerà però in profitto ed in progresso delle arti; le quali prevaleranno in quelle nazioni che prima delle altre si sono rese arbitre delle forme, e con dispotica incostanza le hanno più delle altre sapute variare, perchè non altro resta a queste che la tarda imitazione, e quelle hanno in loro favore la prevenzione del primato tanto più forte, quanto il soggetto è più indeterminato e fantastico.
Della terza buona qualità d’ogni manifattura, cioè del buon mercato, non occorre qui parlarne, essendo cosa manifesta per sè medesima, e già più volte toccata ne’ passati paragrafi, come prodotta dalla concorrenza e dalla libertà.
32. Dunque ogni buona disciplina delle buone arti deve avere per iscopo di procurare queste tre qualità, bontà, varietà e buon mercato; acciocchè la bontà conservi ed aumenti il credito dei manifattori, la varietà alletti ed inviti ogni genere di persone, ed il buon mercato faccia risolvere e moltiplicare gli avventori sì nazionali che forastieri. Ora la pubblica economia non ha per oggetto, che il tale manifattore piuttosto che il tale altro abbian riunite ne’ suoi prodotti le suddette tre buone qualità, ma che queste dominino nella maggior parte, in maniera che siano atte a procurare un grande esito della nazionale manifattura; nello stesso modo che essa non cerca la ricchezza di uno piuttosto che di un altro, purchè la ricchezza sia molta e ben distribuita. Ora una sufficiente libertà procurerà da sè medesima queste tre buone qualità delle manifattura, e il farà col mezzo sicurissimo dell’interesse, perchè dopo moltiplici sperienze l’esito si fisserà presso quel manifattore che darà alle sue merci le tre suddette qualità nel maggior grado possibile, e sparirà affatto da quelle cui mancano; onde lasciata alle arti la forza espansiva della libertà ed il vigore che dà naturalmente all’animo la gara degl’interessi, si otterrà meglio l’intento che colla moltitudine de’ precetti, col rigore degli ordini, che rendono diffidenti ed alieni gli animi da una intrapresa per sè stessa difficile ed avventurosa. Dunque la disciplina delle arti non deve essere coattiva e legislatrice, se non dove si prevegga che non mai o troppo tardi l’interesse privato giungerà ad unirsi col pubblico, e dove la scoperta delle frodi è lenta e remota, ed il guadagno che apportano è presente e considerabile. Per esempio, quando la perfezione della manifattura richiegga essenzialmente preparazioni complicate ed anticipazioni di spese, ivi senza dubbio e meglio che la cosa sia non fatta che mal fatta; ivi le leggi coattive, che impongono condizioni per le quali non si faccia tale cosa se non in tale maniera, e pene proporzionate ai contravventori, sono senza dubbio necessarie ed utilissime, perchè col moltiplicarsi la concorrenza degl’individui alla medesima arte non s’accumulino errori sopra errori ed inganni sopra inganni, onde il complesso dell’arte intiera cadrebbe in discredito e svanirebbe una parte delle forze produttive di uno Stato. Quindi in quelle arti nelle quali la frode può celarsi per un tempo considerabile e produrre un gran vantaggio al manifattore (come nelle stoffe dove entrano colori, nei metalli, nelle preparazioni delle pelli, o in altro, nelle quali e il lungo uso, o la consumazione, o la chimica soltanto possono svelarne i difetti, per cui la buona e la cattiva opera all’occhio e presto non si conoscono), sono salutari quelle leggi che prescrivono la dose degl’ingredienti, e i tempi e i luoghi migliori dell’artifizio, ed eseguito lo assoggettano all’esame ed al riconoscimento della bontà; del quale se ne dà più pubblica ed autentica testimonianza con bollare a segni riconosciuti e riservati ogni produzione che debba esser messa in vendita, sia dentro, sia fuori dello Stato. Nè questa precauzione sarà mai riputata una violenza ed un legame fastidioso per la libertà delle arti, perchè non è giusto che i buoni soffrano dai cattivi, nè la maggiore dalla minor parte, cioè la nazione dai particolari; nè i buoni manifattori giammai se ne querelano, nè perciò si distolgono dalle meditate intraprese per una tal soggezione, se non quando si volessero troppo pedanteggiare, o si molestassero con inutili formalità, o di questi bolli se ne facesse un articolo troppo oneroso di finanza, o un laccio per fare inciampare in pene pecuniarie i poco avveduti; il che è troppo lontano dalla moderazione dei tempi presenti perchè ciò accada. Io però, quando le circostanze dell’esazione del tributo non richieggano altre viste, non so se sia necessario assoggettare coattivamente le manifatture di tal genere di facile defraudazione, in vece di lasciare la libertà a tutti di assoggettarvisi mediante una pubblica e severa dichiarazione, che quelle merci che avranno il bollo (che esser dovrebbe gratuito più che fosse possibile), avranno la pubblica fede ed autorità garante della bontà e fedeltà con cui sono eseguite, e le non bollate restino al rischio ed all’esame e fiducia di ciascheduno, colla diffidenza che possono risvegliare mancando di questo solenne testimonio, e col timore di una pena considerabile che si dovrebbe infliggere scoprendosi la frode. Parmi che un tal mezzo sarebbe più conforme a quello spirito di libertà con cui le arti vogliono essere trattenute, nè meno efficace del metodo universale e perquisitorio, perchè sufficiente sarebbe a conservare la buona fede dell’esterno commercio; e tutti i buoni ed utili manifattori vi si sottometterebbero tanto più volontieri, quanto questa sommessione darebbe loro un vantaggio ed una preferenza sopra i renitenti.
33. Vi sono alcune arti, le quali per la preziosità della materia che rappresenta in piccolo volume un gran valore e perciò la fortuna intiera di molti, ricercano una più stretta disciplina. Tali sono, per esempio, l’oro, l’argento e le gemme. Queste arti pare che esigano a differenza di tutte le altre di essere riunite in un corpo solidale, il quale osservando più da vicino e più strettamente tutti i suoi membri, risponda al pubblico colla massa di sè medesimo. Da queste viste nasce ancora l’uso universale, che dette arti non sono sparse per le città ma riunite in un luogo solo, onde si difendano e si diano reciprocamente soggezione. In queste, come ancora nelle arti dove siavi complicazione d’ingredienti e facile frode, si può ammettere l’uso che domanda esami e prove di chi vuole impiegarvisi, e tanti anni di servigio e di esercizio presso un maestro già riconosciuto ed approvato. Le cose anzidette dimostrano l’utilità e sovente la necessità di tali mezzi; ma io non veggo a qual fine tendano, se non ad avvilire e ad inceppare l’industria, simili prescrizioni e riserve in tutto il resto delle arti per le quali non militano le medesime ragioni. Chiara cosa è che un falegname, un calzolaio, un sarto o un fabbro-ferraio possono essere in solo loro danno cattivi artefici ed ignoranti, quando per altra parte sia indennizzato il particolare; nè per essi doversi esigere esami, nè da loro esibirsi i così detti campioni e capi d’opera di professione. Dobbiamo perciò conchiudere col non mai abbastanza ripetuto assioma, che la disciplina coattiva e le pene hanno per sola regola la necessità; che le leggi animatrici ed i premj sono i soli mezzi che dimanda la perfezione; e che oltre questi due moventi estremi dell’uomo, tutto il resto è meglio combinato dalla libertà e dalla concatenazione degl’interessi lasciati a loro medesimi ed ai loro naturali andamenti, per cui tendono ad equilibrarsi ed a riunirsi.