Dopo le nozze/In campagna
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IN CAMPAGNA
Io sono piena d’entusiasmo per la campagna, e non ho mai potuto comprendere come possano vivere coloro per cui la campagna non esiste, e, sempre chiusi fra le mura cittadine, non hanno mai assistito al risvegliarsi della natura, al cader delle foglie, e passano la loro esistenza senza provar mai le ineffabili contentezze della vita campestre. Io vorrei che i fanciulli imparassero per tempo a leggere nel libro stupendo che è la natura; vorrei che tutti nella bella stagione lasciassero per qualche giorno, se non fosse possibile per qualche mese, le mura cittadine ed andassero a correre fra i campi aperti e a respirare a pieni polmoni l’aria balsamica della campagna. Simile divertimento è concesso ai poveri e ai ricchi; i fiori sono gemme che crescono a benefizio di tutti, e tutti si possono riposare sopra i tappeti di verdura, che a mio gusto sono migliori degli splendidi tappeti orientali dei nostri salotti.
Nei campi ci si sente migliori; i nostri pensieri sono più puri, più sincere sono le parole che sgorgano dal nostro labbro, e mi pare che fuori dell’ambiente convenzionale della città ci si faccia conoscere meglio tali quali noi siamo coi nostri difetti e le nostre virtù.
Anche i nostri figliuoli sentono la medesima influenza; e in mezzo ai campi lasciano scoprire più facilmente le loro tendenze e il loro carattere. Quella fanciulla che sta tutto il giorno in mezzo ai fiori, e ne fa delle ghirlande e dei mazzolini, ci mostra la gentilezza dell’animo suo, che aumenterà sempre più al contatto dei fiori, che sono i figli più fragili e più gentili della natura. Quel fanciullo invece che si divertirà a tormentare e mutilare gli insetti, a strappare i nidi ai poveri uccelletti, ci rivela invero un animo molto cattivo, e dovrà essere nostra cura distruggere il germe di quella barbara tendenza; ricordiamoci che un principe si divertiva, da piccino, ad uccidere le mosche; divenne, quando fu adulto, nientemeno che il feroce Domiziano. Però i fanciulli, quando sono in campagna, conviene lasciarli un po’ liberi, e non tormentarli ad ogni istante per tema che si facciano male; basterà far loro conoscere i pericoli, e purché abbiano un po’ di buon senso e siano avvezzi all’obbedienza cercheranno di evitarli; va bene tenerli d’occhio, ma non stiamo ad annoiarli, se s’arrampicano sopra un pendìo per raccogliere un fiore o sopra un alberello per cogliere un frutto. Essi che hanno le membra snelle e pieghevoli e non indurite come le nostre, possono permettersi impunemente certe cose, che oramai a noi non sono più concesse. Soltanto non dovranno fare a fidanza colla loro agilità, e in ogni modo usare un po’ di prudenza. Se però saremo sempre lì a sgridarli appena li vedremo camminare sopra un sentiero troppo stretto, o correre rapidamente da una scena; li abitueremo vigliacchi e poltroni, oppure disobbedienti. Dovremo pure avvezzarli al sole, al vento e alla pioggia; infine un bagno di sole, basta che non sia troppo prolungato, fa bene e rinvigorisce, un colpo di vento non ammazza un fanciullo, e in quest’epoca anemica c’è bisogno d’un po’ di forza e di vigore; gli antichi Romani andavano a capo scoperto, ed erano fòrti e temuti; i nostri giovinotti invece passeggiano per le vie muniti di ventaglio e di ombrellino e sono deboli e paurosi. Chissà cosa direbbero quei valorosi antenati se mettessero il capo fuori della tomba per dare un’occhiata a questa generazione tanto diversa da loro.
In campagna, oltre allo studio della natura che si presenta tutti i giorni sotto nuovi aspetti, gioverà molto anche lo studio degli uomini. Quelli che abitano le città si mostrano quasi tutti sotto lo stesso aspetto, come vestono quasi tutti dietro lo stesso figurino; così il loro modo, il loro linguaggio, è foggiato press’a poco alla stessa guisa, sono sempre i soliti discorsi che fanno il giro dei nostri salotti, i soliti inchini, i soliti sorrisi, e le identiche strette di mano. È che tutti seguiamo le leggi del medesimo codice, e per quanto sia buono e conveniente, non può a meno di riuscire monotono.
In campagna è tutt’altra cosa; ogni uomo si mostra quale la natura l’ha fatto, non conosce l’arte di nascondere i proprii pensieri, può esser falso ma non ipocrita; ed è appunto fra i campi che la natura umana si mostra sotto i suoi aspetti più variati, e ai nostri figliuoli non può far che bene un po’ di contatto colla natura semplice e vera. In campagna odio tutte le ricercatezze della città, perciò non amo le splendide ville, nelle quali si è circondati da tutti gli agi cittadini, e si finisce col cambiar soltanto un po’ l’aria, ma le consuetudini restano le stesse. Una casetta modesta, un pergolato, qualche capanno di verdura e qualche cespuglio fiorito, — ecco come intendo io la campagna. Poche vesti semplicissime, un cappellino di paglia, alcuni libri, il ricamo e qualche gioco per le giornate piovose; ecco, come credo debba essere composto un bagaglio campestre. Anche nei cibi preferisco quelli che mi dà la natura, cucinati nel modo più semplice. Le lunghe passeggiate in buona compagnia, senza meta alcuna, è quello che trovo di più delizioso. I pasti fatti in un rustico casolare, dopo qualche ora di cammino, mi sembrano più saporiti; e specialmente i fanciulli va bene che s’avvezzino qualche volta a contentarsi di posate di ferro e di ciotole di terra; e spesso hanno pure molto da imparare nel vedere la cordiale ospitalità di alcuni contadini; e come ci sia molta gente allegra anche conducendo una vita modestissima. Per quelli poi che si dilettano di storia naturale, la campagna è come una scuola di perfezionamento; e nell’istesso tempo che si prendono un po’ di svago, possono formare degli erbarii, fare raccolta di minerali e seguire attentamente la vita degli insetti e le loro evoluzioni; non a tutti è dato di poterlo fare, ma tutti possono imparare a gustare le bellezze della natura, e si prepareranno anche per l’avvenire un grande conforto. Tutto possiamo perdere, le ricchezze, gli amici, le illusioni, ma se avremo imparato il modo di trovarci bene con noi, anche nella solitudine, se potremo comprendere il linguaggio della natura, non saremo certo da compiangere; e potremo anche noi esclamare con un poeta che si potea dire fosse l’amante delle bellezze campestri:
Gli onor che sono? |