Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo LXIX
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Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
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CAPITOLO LXIX.
Si narra il più raro e il più nuovo successo che nell’intero corso di questa grande istoria avvenuto sia a don Chisciotte.
Chi mai non doveva essere maravigliato, quando aggiungasi che si riconobbe da don Chisciotte che il corpo morto, il quale giaceva sul catafalco, era quello della vezzosa Altisidora? Al giungere del duca e della duchessa in teatro si alzarono don Chisciotte e Sancio, e fecero loro profonda riverenza, cui ricambiarono i duchi inchinando un poco la testa. In questo apparve uno staffiere, che appressatosi a Sancio, gli mise indosso una zimarra di tela bottana nera, a fiamme di fuoco, e levandogli il cappuccio, gli pose sulla testa una mitra simile a quelle che si danno agl’inquisiti del Santo Officio, e gli disse all’orecchio che non movesse labbra, altrimenti gli si applicherebbe un paio di morse o sarebbe spacciato sul fatto. Sancio si guardava da capo a piedi, vedevasi tutto in fiamme: ma poichè non si sentiva ardere, non ne faceva gran caso. Si levò la mitra, e vide che vi erano dipinti dei diavoli; se la rimise, e disse fra sè: — Fortuna mia che nè quelle mi abbruciano, nè questi mi portano via.„ Anche don Chisciotte lo stava squadrando minutamente, e tuttochè la paura tenesse sospesi i suoi sensi, non potè a meno di non sogghignare vedendo la figura di Sancio. Frattanto si cominciò a far sentire un suono patetico, ma soave di flauto, che pareva uscire dal di sotto del catafalco, e che non essendo sturbato da alcuna umana voce (perchè in quel sito il silenzio stesso era rigido custode di sè medesimo) spiegava carattere di dolcezza e di amore. D’improvviso comparve poi accanto di quello che sembrava cadavere, un bel garzone vestito alla romana, il quale al suono di armoniosa arpa, toccata da lui medesimo, cantò con soavissima e chiara voce queste due stanze:
Finchè non riede Altisidora al giorno E quest’officio a me, credo, non tocca |
— Non più, disse a tal punto uno dei due che parevano re; non più, o divino cantore, chè sarebbe un procedere all’infinito il farci ora il quadro della morte e delle grazie di Altisidora senza pari: non morta già, come fassi a credere il volgo ignorante, ma viva nelle lingue della fama e nel castigo cui deve soggiacere Sancio Panza, qua presente, per restituirla alla perduta luce. Tu dunque, o Radamanto, che meco giudice siedi nelle tenebrose caverne di Dite, giacchè ti è noto quanto negl’impenetrabili destini è statuito intorno al far rivivere questa donzella, dillo, dichiaralo qui incontanente e lo spiega, affinchè quel bene non si indugi che col suo rinascere ci facciamo a sperare.„ Profferì appena tai detti Minosse, giudice e compagno di Radamanto, che rizzatosi questi in piedi, così sclamò: — So, o ministri di questa casa, alti e bassi, grandi e piccoli, venite l’uno dopo l’altro, e si stampino da voi sul viso di Sancio ventiquattro guanciate, colla giunta di dodici pizzicotti e di sei punture di spilletto alle braccia e ai lombi, chè in questa cerimonia consiste la risurrezione di Altisidora.„ Sancio, udito questo, così ruppe il silenzio: — Tanto mi lascio schiaffeggiare il viso e tramenarmi la faccia come farmi moro; che ha da fare, corpo di.... lo strapazzare la mia persona col far tornare l’anima in corpo di questa ragazza? Date da bere al prete, chè il chierico ha sete: incantano Dulcinea, e vogliono frustar me perchè io la disincanti. Altisidora muore del male che Dio le manda, e risusciterà se mi daranno ventiquattro schiaffi, e faranno un crivello del mio corpo a furia di spille, e vogliono illividirmi le braccia di pizzicotti? Vadano a fare queste burle a tutt’altri, chè io sono cane vecchio, e da una volta in fuori non mi si mena mica pel naso. — Tu morrai, disse ad alta voce Radamanto: ammansati, o tigre; umiliati, o superbo Nembrotte; soffri e taci, chè non si vogliono da te cose impossibili; nè andar ad investigare quante spine abbia questo negozio. Hai ad essere schiaffeggiato, bucherato, pertugiato, e i pizzicotti ti hanno a far piangere: orsù, ministri, eseguite il comando, altrimenti io vi farò conoscere il vostro dovere.„
Parve in questo istante che si avanzassero per l’andito sei matrone processionalmente una dietro l’altra, quattro con occhiali, e tutte colla mano destra alzata con quattro dita di polso fuor delle maniche per fare più lunghe le mani, siccome è la costumanza di oggidì. Non le ebbe Sancio vedute appena, che muggendo come un toro, gridò: — Pazienza se mi malmenerà tutto il mondo, ma matrone no, no che non voglio esser toccato da matrone; non vi acconsento se il diavolo mi porti: e mi facciano graffiare il muso dai gatti, come al mio padrone, mi trapassino il corpo con punte di pugnali, mi attanaglino le braccia con ferri infuocati, soffrirò tutto con pazienza, e servirò questi signori, ma non vengano a toccarmi matrone.„ Don Chisciotte allora, rivolto a Sancio, gli disse: — Figliuolo, abbi pazienza, contenta chi comanda, e rendi grazie al cielo che tale virtù ripose in questo tuo corpo, che pel suo martirio trovino disincanto le incantate persone, ed abbiano sino i morti a risuscitare.„ Si erano già le matrone avvicinate a Sancio, quando egli ammansato già e persuaso, accomodandosi ben bene nella sedia, porse il viso e la barba alla prima, la quale gli diede una guanciata potentissima, e dopo gli fece una riverenza profonda. — Manco riverenze, manco smorfie, signora matrona, disse Sancio, chè, per vita mia, avete le mani che sanno di odore acetino.„ Vennero le altre matrone a schiaffeggiarlo una dopo l’altra, ed ebbe dall’altra gente di casa pizzicotti, che pur tollerava: ma quello poi che non potè sopportare fu il pungimento degli spilletti, ond’è che alzatosi dalla sedia tutto sdegnato, diede di piglio ad una torcia che stavagli appresso, corse a ridosso delle matrone e di tutti i suoi carnefici, e disse: — Fuora di qua, ministri infernali, chè non sono io di bronzo da non sentire questi martirii.„ Allora Altisidora, che doveva trovarsi stracca per essere stata sì a lungo supina, si voltò di fianco; il che veduto dai circostanti, proruppero tutti ad una voce: — Altisidora vive! Vive Altisidora!„ Ordinò Radamanto a Sancio che calmasse lo sdegno, essendosi già conseguito l’intento che si voleva. Tostochè don Chisciotte vide Altisidora dar segni di vita, corse a mettersi ginocchioni dinanzi a Sancio, così dicendogli: — Ecco, ecco il tempo, o figlio delle mie viscere, non che scudier mio, che tu ti dia alcune delle frustate che sei obbligato affibbiarti pel disincanto di Dulcinea senza pari: ecco, ripeto, il tempo in cui la tua virtù è maturata e perfezionata, e può operare con isperanza di ottenere il bene che da te si attende.„ Sancio rispose: — Qua piove un malanno sopra l’altro: qua non si mette mele sulle frittelle: starei fresco se dopo i pizzicotti, gli schiaffi e le punture venisse il sopraccarico delle frustate: non vi resterebbe altro che pigliare una pietra, legarmela al collo e buttarmi in un pozzo, chè anche questo dovrei sopportare, poichè per medicare i mali che fanno gli altri, ho ad essere io la vacca delle nozze: mi lascino stare, per la vita mia, o che io gitto e mando tutti all’inferno.„
Di già Altisidora alzata, si era posta a sedere sul catafalco, e al tempo stesso suonarono i pifferi accompagnati dai flauti e dalle voci di tutti, che gridavano: — Viva Altisidora! Altisidora viva!„ Si levarono i duchi e i due re Minosse e Radamanto, e tutti congiuntamente a don Chisciotte e a Sancio, andarono a ricevere Altisidora, aiutandola a calare dal catafalco; ed essa, facendo la svenuta, s’inchinò ai duchi ed ai re, e guardando per traverso don Chisciotte, gli disse: — Il cielo ti perdoni, o disamorato cavaliere: chè per la tua crudeltà sono stata all’altro mondo (a quanto mi parve) più di mille anni; ed a te, il più compassionevole di tutti gli scudieri che vivano sulla terra, rendo grazie della vita che a solo tuo merito ho ricuperata: disponi da oggi in avanti, o Sancio amico, di sei delle mie camice che ti dono, affinchè tu ne faccia altre sei per tuo uso, e se non le troverai tutte sane, le troverai almeno tutte nette.„ Sancio, colle ginocchia in terra, levatasi la mitra, le baciò le mani. Ordinò il duca che lo spogliassero, e gli restituissero il suo cappuccio e il suo casaccone, e gli togliessero di dosso la zimarra fiammante; ma Sancio pregò allora il duca che la zimarra e la mitra gli fossero regalate, perchè contava di portarle al suo paese in segno e memoria del non più veduto successo. La duchessa disse che tutto gli sarebbe concesso, mentre egli sapeva bene quanto gli fosse amica. Ordinò il duca che l’andito fosse sbarazzato, che tutti si ritirassero alle loro stanze, e che don Chisciotte e Sancio fossero condotti in quelle che ben conoscevano.