Discorsi (Guicciardini)/I. Del modo di eleggere gli uffici nel Consiglio grande
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I
[Del modo di eleggere gli uffici nel consiglio grande].
Ordinato che fu a Firenze el consiglio grande, quale distribuiva tutti gli ufici e degnitá della cittá e si eleggevano per le più fave, parendo allo universale che andassino troppo stretti, fu proposta una provisione, che tutti quelli che vincevano per la metá delle fave ed una piú, si imborsassino e si traessi per sorte a chi di loro toccassi lo uficio. Sopra la quale provisione parlò cosí chi voleva che le piú fave stessino ferme:
È opinione di molti, prestantissimi cittadini, che chi contradirá questa provisione fará cosa poco grata alle Prestanzie vostre, perché parrá si voglia opporre a’ commodi di quelle; pure confido tanto nella prudenzia di quelle e nello amore che hanno alla patria, che mi persuado che udiranno volentieri ognuno che verrá a dire liberamente quello ch’egli intende; e se le ragione che allegherá saranno buone, che le Prestanzie vostre le aproverranno, avendo piú rispetto al beneficio publico che alla propria utilitá; e non parendo buone, non per questo piglieranno cattivo concetto di chi è venuto a dire el parere suo, anzi lo reputeranno buono cittadino, vedendo che né per paura di carichi, né per timore di dispiacere alle Prestanzie vostre, non si sia ritirato di consigliare sinceramente quello che gli occorre.
Chi ordina e’ governi populari e le libertá delle republiche, prestantissimi consiglieri, debbe avere dua fini: el primo e principale, che le siano ordinate in modo che ciascuno cittadino abbia a stare equalmente sotto le legge, ed in questo non si faccia distinzione dai ricco al povero, dai potente a l’impotente, in forma che ognuno sia sicuro che la persona, la roba e le condizione sue non possino essere travagliate, se non quanto dispongono le legge ed ordini della cittá, che è quello perché proprio furono instituite le libertá. E1 secondo fine che ha a avere si è che e’ benefici della republica, cioè gli onori e gli utili publichi che ha, si allarghino in ognuno quanto si può ed in modo che tutti e’ cittadini ne participino el piú che sia possibile, perché essendo tutti figliuoli della medesima madre, hanno tutti a sentire de’ commodi suoi, ed el bene si dice essere tanto maggiore quanto si sparge in piú persone. Ma tra questi duoi fini è differenzia, perché el primo s’ha a ordinare sanza riservo alcuno; conciosiacosaché quanto piú s’ha quello effetto che ognuno stia equalmente sotto alle legge, tanto è meglio, né questo può mai essere troppo, né può mai in una cittá bene regolata nascerne disordine alcuno.
Ma a ordinare el secondo fine, bisogna avere rispetto di non desiderare tanto lo allargare, e volere tanto che ognuno participi, che ne seguiti qualche disordine o qualche danno al publico, che sia di piú importanza che non è el bene che nasce dallo allargare. Perché la cittá è uno corpo che cosi nelle cose di drento come in quelle di fuora, cosí in quello che attiene alla osservazione della giustizia e delle legge, come in quello che attiene a mantenere ed ampliare el dominio, si regge e governa con la anima de’ magistrati; e’ quali quando sono persone che sanno bene governare quello carico che gli è commesso, le cose della cittá procedono bene, e pel contrario, quando sono insufficienti, la cittá è male governata ed ogni cosa si disordina e va in ruina. Interviene come ne’ traffichi vostri, che se hanno uno marruffino che sappia bene maneggiare el capitale suo ed avere buono occhio a tutto quello che bisogna, e’ guadagni si fanno buoni e tuttavia si multiplica el capitale; e pel contrario se non è sufficiente, la bottega non va bene, anzi in processo del tempo e’ ducati tornono lire e qualche volta grossi. Però non è ordinato in alcuna republica che e’ magistrati si diano a fare sanza prima squittinargli, perché ancora che questo fussi uno modo di allargare piú le cose e fare che ognuno equalmente ne participassi, fu considerato che importava tanto che la fussi bene governata, che bisognava tenere fermo questo verbo principale; ed ancora che per avere questo effetto e’ magistrati andassino piú stretti che non fussi el desiderio universale, questo era minore inconveniente che non è el mettergli in mani che la cittá ne restassi male governata.
A proposito adunche, quando fu ordinato questo vostro consiglio, fu avuto saviamente l’uno e l’altro rispetto, perché per tagliare le braccia a ognuno di non si potere fare grande, e perché ognuno fussi sforzato a stare sotto alle legge, fu ordinato che el consiglio grande fussi distributore di tutti gli ufici drento e fuora; perché con questo fondamento si toglie la via a ciascuno di farsi grande, poi che non avendo autoritá di dare gli onori ed utili a chi gli pare, non può tirarsi drieto amici e seguito; e nel mettere ordine al modo del distribuire, fu avuto l’altro rispetto che la cittá avessi a essere bene governata, con fare che gli ufici si eleggono per le piú fave, acciò che e’ magistrati fussino piú scelti che fussi possibile. Perché non è dubio che se sono qui cento uomini a dare giudicio se uno cittadino è buono per uno uficio o no, che communemente sará piú sicuro quello giudicio a che si accorderanno, verbigrazia, sessanta, che quello a che si accorderanno solamente cinquanta; e poi che chi ha piú fave è approvato da’ piú, s’ha a credere che sia piú a proposito della Cittá mettere lui in quello magistrato, che uno che sia approvato da manco. Vedete adunche che questo modo delle piú fave fu ordinato da chi l’ebbe a fare, saviamente e con buone ragione e perché la cittá fussi meglio governata, e però non si debbe mutare leggermente se non si vede in contrario ragione si efficace, che persuadino essere meglio el fare nuovo ordine.
In che io non sento dire altro, se non che con queste piú fave gli ufici vanno stretti, e che non giova al popolo avere cacciati e’ Medici e fatto el consiglio grande, poi che le cose non si allargano in modo che ognuno ne participi, come si conviene in uno governo libero; cosa di che le Prestanzie vostre potrebbono lamentarsi se le elezione fussino fatte da altri. Ma poi che le sono loro che distribuiscono gli ufici a chi e come gli pare, né ci è strettezza o larghezza se non quella che fanno loro medesime, io non so come el popolo abbia causa di dolersi che gli ufici siano dati a chi vuole lui, e come possi essere biasimato, che essendo oggi el popolo principe di ogni cosa, come meritamente debbe essere, che si osservi quanto pare a piú numero del popolo. Se le cose fussino ordinate in modo che prevalessi quello che piacessi alla minore parte, o che el popolo avessi a consentire, quello che lussi deliberato, a altri, qui sarebbe giustissima causa di querelarsi che e’ manco avessino piú autoritá che e’ piú, o che el popolo fussi famiglio e non padrone. Ma poi che questa distribuzione è rimessa liberamente in voi, e che si annoverano le fave e non si pesano, cioè che non si guarda né tiene conto di chi l’ha date, ma solamente s’ha rispetto al numero, non si può dire che la autoritá del popolo non sia intera, e che sia giustissimo e segno di vera libertá, che abbia effetto quanto si appruova dal maggiore numero di quelli che intervengono in questo consiglio.
Vedete che in ogni magistrato della cittá, ne’ collegi e negli ottanta, se si propongano piú partiti, si seguita sempre quello che ha piú fave; dunche per che ragione non s’ha a fare el medesimo nel consiglio grande, dove per intervenire piú numero può essere manco sospetto di corruzione, che non interviene in uno numero minore? E’ mi sará detto che le piú fave vanno strette e girano quasi ne’ medesimi, e che restano esclusi molti che meritano, donde nasce male contentezze, perché a’ cittadini pare strano, al tempo che credevano participare, trovarsi ne’ medesimi termini vel circa, che erano allo altro tempo. A che le risposte sono facile ed in molti modi perché si potrebbe rispondere con una parola: che se uno merita, non s’ha a stare a giudicio de’ particulari ma del popolo, el quale ha migliore giudicio che nessuno altro, perché è el principe ed è sanza passione; e se noi eravamo soliti all’altro tempo a lodare le elezione fatte da’ tiranni, perché dobbiamo noi biasimare quello che è fatto dal popolo? Lui cognosce meglio ognuno di noi che non facciamo noi stessi, né ha altro fine se non di distribuire le cose in chi gli pare che meriti.
Ma piú oltre, io non voglio negare che anche el popolo faccia qualche volta con le piú fave degli errori, perché non può sempre bene cognoscere la qualitá di tutti e’ suoi cittadini; ma dico che sono sanza comparazione minori che non saranno quegli che si faranno in qualunque altro modo, e che alla giornata sempre si limeranno e se ne fará manco, perché quanto si andrá piú in lá, sará ogni di piú cognosciuto quello che pesa ognuno, perché si vedranno oggi le azione di questo, e domani di quello, ed el popolo che ha cominciato a porsi a bottega a questo consiglio, e cognoscere che el governo è suo, porrá piú mente agli andamenti e costumi di ognuno, che non faceva prima, in modo che ogni di sará migliore giudice di quello che meritino gli uomini e non ara impedimento a dare a chi merita.
Vedete lo esemplo de’ primi mesi di questo consiglio, che le elezione andorono molto piú disordinate che non hanno fatto poi, perché e’ cittadini erano manco cognosciuti dal popolo; tanto piú che in uno governo nuovo di libertá, per non essere el popolo uso a questo vivere e per avere gelosia che non gli sia tolto tanto bene, nascono mille errori, mille sospetti, mille confusione, che sono causa spesso di elezione estravagante, le quali col tempo si purgano; e. si cognoscono alla giornata meglio le cose, in modo che possiamo credere che sempre si andrá migliorando; e quegli che meritano e sono restati adrieto, possono sperare che presto con qualche occasione saranno cognosciuti ed onorati secondo e’ meriti loro, ed in questo mezzo debbono patire volentieri quello che piace al popolo, e piú presto tollerare per uno poco di tempo el danno suo particulare, che desiderare che si faccia ordine nuovo pernizioso alla cittá. Né è vero che le elezione girino sempre ne’ medesimi, perché chi esamina bene troverrá pure che le variino; e se e’ fussi lecito nominare in questo luogo le persone proprie, ve lo mostrerrei facilmente; ed anche vi potrei mostrare che questi che hanno avuto gli ufici, non sono persone di una qualitá medesima, ma di varie sorte e gradi della cittá, in modo che non si può dire che proceda per via di sètte o di corruttele. E se non girano in tanto numero quanto molti desiderano, questo non è inconveniente, poi che piace al popolo; el quale non merita essere biasimato né lacerato, se desidera commettere le faccende sue a persone piú scelte che può, e fa a beneficio di tutti nel governo della cittá sua che è di tanta importanza, quello che fa ognuno di voi nelle faccende particulari de’ suoi traffichi, che vi sforzate avere migliori ministri che potete, e se n’avete per le mani uno buono lo lasciate volentieri indrieto per averne uno migliore. E se a qualcuno pare strano vedere che a uno medesimo siano date molte volte gli ufici e degnitá, non pare cosi al popolo che cerca che la sua cittá ed el suo dominio sia bene governato. E quando parrá al popolo che quello tale n’abbia avuto tanto che basti, ha le fave in mano con le quali potrá a sua posta dare a altri e lasciare lui da parte per sempre o per el tempo che gli piacerá.
Ogni di accade fare delle elezione; però questo è uno difetto che si può medicare ogni di, ed è da credere che si medicherá, perché la natura del popolo è desiderare la larghezza, ed in pochi mesi che si può dire che abbia questo consiglio, non si è ancora scoperto questo disordine si grande, che abbia dato causa di provedervi. Sanza che, la qualitá de’ tempi che corrono è si strana e pericolosa, che non è da maravigliarsi che el popolo che è amatore della cittá e della libertá sua, desideri che e’ magistrati suoi siano in mano di persone piú sufficienti che si può; perché in tante spese e pericoli una oncia di disordine che si facessi per la insufficienzia loro, pesa piú che non importa tutto el bene e tutta la contentezza che nasce dallo allargare. Il che si potrá fare piú sicuramente quando le cose della cittá saranno ridotte a migliori termini; ed in questo mezzo chi è buono cittadino, se non ha degli ufici come vorrebbe, debbe approvare e’ buoni fini che muovono el popolo, ed essere contento piú del beneficio della cittá che del commodo suo particulare. E ricordarsi che intratanto ogni cittadino gode el frutto principale delle libertá, che è di non temere di essere oppressato se non quanto dispongono le legge vostre; non avere altro superiore che e’ magistrati; non s’avere a cavare la berretta a persona; e nel distribuire gli onori ed utili della cittá, avere tanta autoritá quanta ha el piú ricco ed el piú potente che ci sia; cose che chi ve n’avessi dua anni fa, promessa la metá, vi parrebbe essere stati felici, ed ora che l’avete non vi debbono parere piccole, se bene non avete tutto quello che desiderate; massime che potete sperare di avere alla giornata tutto o parte di quello che vi manca, e consolarvi che quello che ora non avete non vi è tolto dalla autoritá o potenzia di persona né per fine tirannico, ina da voi medesimi e di vostra volontá, e non per altro che per cagione del bene publico nel quale participate voi come tutti gli altri.
Né crediate però che io sia si poco grato degli ufici e benefici ricevuti da voi, che io non sia per lodare lo allargare in quello che si possa fare onestamente e sanza danno del publico, e che io non desideri di vedere tutto el bene che si possa a voi, dall’umanitá de’ quali ho avuto tanto onore. Ma non mi pare giá che la provisione che è proposta possa fare questo effetto; e crederrei che volendo pure avere rispetto a questo desiderio si fussi potuto fare piú prudentemente e piú temperatamente. Perché io non fo dubio che se voi riducete alla sorte tutti quegli che aranno la metá delle fave ed una piú, che le elezione non saranno spesso di quella sorte che ricercano e’ vostri bisogni, atteso che in questo consiglio intervengono molti che per avere altre faccende non tengono quello conto delle cose dello stato che si converrebbe; e tutti questi sono larghi al vincere, perché è natura di ogni uomo piú presto errare nel dare che nel tórre; ci sono gli amici e parenti di ognuno che va a partito, che con le fave loro e con le fave che sono allato favoriscono e’suoi; molti, come sono diverse le nature degli uomini, si fanno conscienzia di dare le fave bianche. In effetto sono molte cagioni per le quali gli uomini favoriscono chi va a partito: e’ parentadi, le amicizie, la compassione, la poca diligenzia, la ignoranzia, la conscienzia; le quali cose io dico mal volentieri, onorevoli consiglieri, perché mal volentieri do carico a chi m’ha fatto beneficio; ma la necessitá mi sforza, e la veritá è pure questa, che molti che non sono sufficienti aranno la metá delle fave, e chi l’ara andrá con la sorte del pari con quegli che sono sufficienti e sufficientissimi; tra e’quali le piú fave sogliono fare distinzione, perché tra questa benigna inclinazione, qualche centinaio di fave che squittinino con piú diligenzia e con piú gusto che gli altri, danno el tracollo alla bilancia, e fanno che communemente le elezione cascono in quegli che sono piú atti che gli altri.
Però io inferisco che spesso e’ magistrati verranno in persone che non saranno atte, e le cose vostre ne saranno governate di peggio; donde e’ danni che ne seguitano sono manifesti ed infiniti, perché se e’ magistrati che voi proponete alla giustizia non saranno atti, si disordineranno le cose della giustizia, e quella sicurtá per la quale sono principalmente introdotte le libertá, non sará intera e piena come si conviene, e ne seguiteranno molte oppressioni che sopra ogni cosa s’arebbono a fuggire. Se e’ rettori che voi mandate fuora a governare el vostro dominio non sapranno bene governarlo, seguiteranno tra e’ sudditi vostri mille disordini che non solo noceranno a loro ma diminuiranno la riputazione vostra, empieranno le terre vostre di mille male contentezze, le quali a qualche tempo potranno causare rebellione e molti travagli alle cose vostre. Se e’ signori, e’ dieci, gli ottanta e gli altri che hanno el maneggio della guerra e de’ principi e dello stato vostro non saranno sufficienti, non indirizzeranno bene le cose né piglieranno e’partiti buoni ne’casi occorrenti; di che ne seguiterá che non solo non recupererete Pisa e non medicherete le piaghe grande che avete, ma cresceranno alla giornata e’vostri travagli e pericoli; empieretevi di mille discordie, arete guerre gagliarde adosso, e vi conducerete in luogo che o perderete buona parte del vostro dominio e forse la vostra libertá, o farete grandissime spese, quali bisognerá che eschino delle borse vostre. E queste incette che vi sono proposte per vostra utilitá, vi costeranno cento volte piú che non sará el guadagno che ciascuno di voi trarrá mai di tutti gli ufici.
E’ tempi sono travagliosi come voi vedete, e lo stato vostro è una nave in mezzo el mare turbato, la quale è in pericolo grande; uno infermo, della vita di chi si dubita; e costoro vi consigliano che ora che bisogna piú che mai la diligenzia e buono governo, voi licenziate e’ buoni medici e pigliate degli altri non cosí buoni. Non governano cosí le cose sue private, come vi consigliano che voi governiate le publiche. E dove questa cittá, oltre alla necessitá delle difhcultá presente, arebbe bisogno che si indirizzassi e continuassi uno vivere che si vedessi li uomini virtuosi, d’assai ed amatori della patria essere in piú prezzo che gli altri, acciò che si dessi causa a’ vostri figliuoli ed alla vostra gioventú dirizzare lo animo alle faccende ed alle virtú, e fare ogni diligenzia di essere tenuti buoni ed amorevoli cittadini; costoro vi confortano a spegnere la industria e lo amore delle virtú, e levare via ogni differenzia di bene e male, faccendovi non solo danno al bisogno de’ pericoli presenti, ma disordinando per sempre el vostro governo e la buona educazione de’ vostri figliuoli.
Non credete voi, onorevoli cittadini, che a Vinegia, a esemplo della quale fu cominciato questo consiglio grande, non sia ne’ loro cittadini el medesimo desiderio che avete voi dell’onore e dello utile? Non credete voi che vi siano molti a’ quali paia ricevere torto di non vincere come veggono molti altri, e che si lamentino? Nondimanco hanno sempre tenuto e tengono fermo questo modo delle piú fave, perché hanno veduto per esperienzia che è stato causa che le cose loro siano governate bene, e che abbino sempre prosperato e dilatato lo imperio loro. Cosí feciono e’ romani, che mai elessono e’ magistrati altrimenti. Per le pedate delle quali republiche se voi andrete, potrete sperare e’ medesimi effetti che ebbono loro; ma se piglierete cammino diverso, non arete da maravigliarvi che anche e’ vostri fini siano diversi. In Lacedemone, cittá di tanta virtú e di tanta fama, fu uno cittadino, che non avendo vinto di essere del consiglio de’ trecento, se ne tornò tutto allegro a casa, dicendo avere caro che nella patria sua fussino trecento cittadini piú utili alla republica che lui; e questi vostri, se in una libertá nuova ed ancora non bene indirizzata non hanno tutto quello che gli pare meritare, suscitano tanto romore; biasimano el giudicio del popolo da chi hanno la sicurtá e la libertá; fannosi autori di legge inutile e non ragionevole; cercano che di ogni cosa si faccia una confusione, né possono comportare di essere giudicati da altri che da loro medesimi. Alla ambizione e temeritá de’ quali se le Prestanzie vostre presteranno orecchi, vi verranno ogni di innanzi con nuove invenzione e nuovi disordini alterando e travagliando tutte le cose bene ordinate, e tanto piú quanto vedranno cavare delle loro male arte riputazione ed utilitá, in modo che vi conduceranno in qualche grande precipizio, perché non hanno in considerazione l’onore ed utile della republica, ma gli appetiti e passione loro particulare.
Scrivono gli antichi, ed è verissimo, che e’ governi della libertá non si disordinano mai se non per la troppa licenzia; la quale non vuole dire altro che allargare troppo e mettere troppo in mano di ognuno le cose importante, donde nascono le confusione delle cittá, le divisione de’ cittadini, ed alla fine o la perdita del dominio, o le tirannide. E questo pericolo è maggiore in una nuova libertá dove ancora non è fondato bene lo ordine del buono governo; ed interviene in questo come in tutte le altre cose, le quali sono buone quando sono moderate, e come toccano degli estremi sono viziose e si guastano. Potrebbesi raccontarne mille esempli; ma lo effetto è questo, che una libertá licenziosa pare forse a molti per qualche poco di tempo piú piacevole, ma la fine è che presto si perde e viene in ruina, e quello eccesso che faceva parere a molti che la libertá fussi piú bella, è quello proprio che la guasta e la converte in tirannide. Però, prestantissimi consiglieri, a voi da chi depende el tutto, si appartiene e per l’onore e per el debito, fare ogni cosa che questa cittá e questo dominio, che è commesso alla fede e prudenzia vostra, sia bene governato; che ne’ magistrati siano persone che sappino bene reggere e’ pesi che voi gli date; che e’ figliuoli vostri si allievino in modo che abbino a sperare che la virtú, l’amore della patria e le buone opere gli abbino a dare gli onori, la nobilita e le ricchezze.
Le quali cose tutte si confondono e disordinano, se voi levate via la provisione delle piú fave, dalla quale depende la elezione de’ magistrati buoni e la occasione di accendere e’ vostri cittadini e massime la gioventú, alle virtú; le quali cose se voi conserverete, potrete sperare di conservare la libertá e sicurtá vostra, ed anche gustare alla giornata e’ benefici della republica. Ma se potrá in voi tanto la ambizione ed el desiderio degli utili presenti, che vi dimentichiate el bene della vostra patria, disordinerete la vostra giustizia, el governo de’ vostri sudditi e la conservazione del vostro stato; donde in luogo degli onori ed utili che voi sperate, oltre a quello che sarete debitori a Dio ed alla conscienzia vostra, potrá facilmente succedere infinite spese, infiniti pericoli, ed alla fine la perdita forse della vostra libertá.