Dinamite/I confetti del nuovo anno
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I CONFETTI DEL NUOVO ANNO
Nella luce viva
tra gli archi spettatori immobili
ferve il tumulto della folla gaia.
O nuovo anno benvenuto sii
le fresche donzelle dicon aulenti
del profumo di Giovinezza
Nuovi amori sognando e onori.
Dietro loro i satiri viziosi
corrono
desiando l’ebbrezza solita.
Rapida passa la prima età fiorita
come un lampo che accieca,
i nostri occhi ecco chiusi,
il sogno è finito.
Vecchi allora impotenti.
O belle adorne di grazie tutte liete,
a noi sorride il mondo
ed ogni bene abbiamo
e distinzione e blague, quattrini molti.
Il piede alterno muoviamo
con mossa disinvolta
e un posticino teniamo nella vita.
Dicono così i satiri giocondi
sotto gli archi immobili severi
e le belle fanno le ritrose
ma già sanno l’arte
e scelgono esperte il buon boccone.
. . . . . .
La folla passa sui suoi mille visi
sempre uguali.
. . . . . .
Vedi i mercanti pingui
e i borghesi di profumati involti carichi
e di gioielli
e le dame in costose pellicce avvolte
di bestie rare che abili cacciatori
scovarono con periglio.
. . . . . .
Passa la vita gaudente
e non rivolge gl’occhi
passa l’inesorabile, come il fato
crudele e maligna.
. . . . . .
O mio parente curvo sulla brace
che sprizza scintille!
Mio parente, odo la tua voce fioca,
lenta ripetere come eco
il richiamo alla folla indifferente
«Calde, calde le bruciate, calde, signore!»
e la voce si spegne in un lamento,
la voce è rotta dal singulto
«Calde, calde, signore le bruciate!».
E la larga mano nera di carbone
che conobbe il libero mestiere
di colui che sull’incude batte
possente il dorso e l’occhio tutto acceso
mescola umile, covando sorda l’ira,
l’unica risorsa di sua vita.
La voce è pianto
non è più che pianto.
Sul volto nobile già fiero del lavoro
è passata la tempesta, l’uragano,
la miseria.
La miseria che abbatte e che annienta
la miseria che colpisce non cieca
ma conscia il proletario,
la miseria che dilania
e isterilisce il seno delle madri e il cuore
e che i bimbi ignari intisichisce.
. . . . . .
La sera la famiglia del mio parente
trangugia l’amaro cibo scarso.
«Oggi incomincia il nuovo anno
— dice Giuloi giovanilmente audace —
sai, papà, tutti sono buoni in questo giorno
il mio padrone
(quello dalla barba lunga, quel cattivo
che ha licenziato Nanni il libertario)
m’ha dato dei confetti per Amta,
e ha soggiunto:
«Lavora e fai l’onesto».
. . . . . .
La lurida stanza senza luce, senz’aria
parve infiammarsi
immensa m’apparì in quell’attimo.
. . . . . .
Balzò il mio parente
con la possanza piena del vigore antico
«Tenete, tenete a mente o figli
o mia compagna o miei diletti cari,
non più il castagnaro umile sono
non più l’uomo curvo sulla brace
e nel fumo che acceca,
non più l’uomo che implora mercede
che chiede il gramo pane.
Viva la rivoluzione degli oppressi
Viva l’anno nuovo di libertà».
Tutti, anche Delia due anni,
col pugno proteso
«Evviva evviva!
Non più tregua
non più inchini
o false rinuncie.
A noi il giusto, il dovuto.
Quello che le nostre fronti stillano
e le robuste e feconde braccia
offrono
A noi a noi la Vita!
. . . . . .
Fuori per le strade,
nei palazzi, nei mondani ritrovi
dappertutto dove si gode
s’inneggia al nuovo anno
di letizia e di pace.