La folla passa suoi suoi mille visi
sempre uguali.
. . . . . .
Vedi i mercanti pingui
e i borghesi di profumati involti carichi
e di gioielli
e le dame in costose pellicce avvolte
di bestie rare che abili cacciatori
scovarono con periglio.
. . . . . .
Passa la vita gaudente
e non rivolge gl’occhi
passa l’inesorabile, come il fato
crudele e maligna.
. . . . . .
O mio parente curvo sulla brace
che sprizza scintille!
Mio parente, odo la tua voce fioca,
lenta ripetere come eco
il richiamo alla folla indifferente
«Calde, calde le bruciate, calde, signore!»
e la voce si spegne in un lamento,
la voce è rotta dal singulto
«Calde, calde, signore le bruciate!».
E la larga mano nera di carbone
che conobbe il libero mestiere
di colui che sull’incude batte
possente il dorso e l’occhio tutto acceso
mescola umile, covando sorda l’ira,
l’unica risorsa di sua vita.
La voce è pianto
non è più che pianto.
Sul volto nobile già fiero del lavoro
è passata la tempesta, l’uragano,