Dell'obbedienza del cavallo/Prefazione
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PREFAZIONE
L’impegno, a cui mi accingo di esporre al pubblico un nuovo metodo, per mezzo del quale anche i giovani di tenera età in breve tempo, con facilità e con sicurezza di riuscita, e senza il minimo pericolo possano ridurre qualunque Cavallo, per quanto fiero e coraggioso egli sia, a quella obbedienza che si ricerca nelle scuole, sarà in vero molto grande riputato da chiunque sperimentato abbia le molte difficoltà e pericoli, che in ciò fare comunemente s’incontrano. Ma siccome il grande, ed il maraviglioso di qualunque intrapresa suol presso la maggior parte degli uomini svanire, quando la semplicità s’intende dei mezzi con i quali essa viene ad eseguirsi, [quantunque nella semplicità medesima il vero grande delle intraprese dagl’intendenti si costituisca] così la scabrosità del mio assunto, allora nell’animo dei lettori si cangerà in altrettanta facilità, quando intenderanno che quanto dalla pratica comune, e dall’universale opinione, anche da me stesso per lungo tempo abbracciata [fino a scriverci sopra due libri, che ora mi conviene in gran parte ritrattare] si allontana questo nuovo mio metodo di ammaestrare i Cavalli, altrettanto lo stesso è semplice per esser totalmente conforme all’indole e costruzione lor naturale; imperocchè le molte osservazioni che in una lunga serie di anni mi è occorso di fare sopra i varj moti del Cavallo, mi hanno finalmente svelato qual sia il vero meccanismo della macchina sua, ed a quali azioni per cagion di esso adattar si possa il Cavallo, e da quali il meccanismo medesimo naturalmente ripugna e si oppone. Quindi essendomi accorto che per mancanza d’una tale intelligenza le regole solite assegnarsi nelle scuole per bene addestrare un Cavallo per lo più al meccanismo della macchina sua s’oppongono, mi sono ritrovato dalla ragione e dall’esperienza forzato a conformare adesso il nuovo mio metodo, e da questa conformità delle regole mie col meccanismo del Cavallo ne nasce la semplicità delle medesime, ed insieme la sanità sopra additata di ottenere in breve tempo da qualsivoglia Cavallo la ricercata obbedienza.
Non mi è ignoto quanto sia efficace l’amor proprio nell’abbagliar gl’uomini anche più illuminati, perciò non ardirei di esporre al pubblico per facile, breve, e sicuro sopra tutti gli altri questo nuovo mio metodo, se l’unico mio Figlio dimostrandomelo per tale in pratica non avesse sopra di ciò tolto dall’animo mio ogni giusto timore d’inganno. Esso in età di soli dodici anni, di corpo gentile, e gracile, piuttosto che robusto, arrivò non solamente a fare operare i Cavalli con questo mio metodo ammaestrati in qualunque sorte d’operazione, ma di più ad ammaestrargli anche da se nelle medesime, come fare averebbe potuto un professore già provetto nell’arte; anzi tutto ciò da esso si fece, nonostante che in due anni di tempo da che cominciò a cavalcare contar non si potessero, se non all’incirca diciotto mesi di vera lezione, attesi li varj impedimenti, che si frapposero tanto fisici che morali, tra i quali il vajuolo da esso in quel tempo sofferto, e per cui dovette per lo spazio di tre mesi interi starsene in riguardo.
In prova che le difficoltà che s’incontrano nelle Cavallerizze per ridurre il Cavallo all’obbedienza, pigliano origine dal non essere le regole loro conformi a quella legge del meccanismo della macchina, che deve inviolabilmente essere osservata senza potersene appartare in nessuna maniera, basta fare il confronto di queste con l’indole e natura della costruzione della macchina, e dell’attività delle parti che la compongono.
Si osservi dunque in primo luogo che il Cavallo è una macchina di mole pesante, e nella base quadrilatere sostenuta da quattro piedi, che due formati a similitudine di colonna stabile, e due formati di diverse figure angolari un poco arcate, meno robuste della prima, perchè flessibili e molleggianti.
In secondo luogo si faccia osservazione, che talvolta il suo moto è un’ondulazione del peso della macchina sostenuto dalle due gambe diagonali una d’avanti, ed una di dietro, che passa a prender sostegno da una base all’altra preventivamente preparata la prima, che lo accompagna fino all’altra base, e la seconda che ve lo spigne; ond’è, che ogni azione deve esser preceduta da quel piede ch’è a portata di quel luogo, dove deve essere eseguita, sia in avanti, sia in dietro, sia in fianco, o in qualunque altra parte che occorra, come segue nel passo, trapasso, trotto, e portante, e talvolta il moto suo è una vibrazione del peso medesimo, eseguita dall’elasticità dei legamenti delle gambe di dietro, a quest’effetto formate di diverse figure angolari un poco arcate e flessibili, perchè a guisa di molla possano dare al medesimo la spinta per vibrarlo in aria, ed in avanti; vibrazione che va a cadere sopra le gambe d’avanti, e però formate in figura di colonna stabile, garantite dalla natura da qualunque inconveniente che possa cagionarli l’impeto del colpo, che porta seco la caduta del peso sopra di esse [ciò che si vedrà nella descrizione ed analisi della macchina,] come segue nell’azione del galoppo, scappata, carriera, corvetta, e salto.
Dal che vien messo in chiaro che dal moto del peso della macchina è formata qualunque azione, benchè minima, che venga in idea al Cavallo di mettere in esecuzione.
Ma siccome il complesso che forma la macchina del Cavallo non è che materiale, e passivo, così non avendo attività da poter dar moto alcuno a se stesso, è d’uopo che vi sia una potenza motrice che lo metta in azione.
Quindi è, che egli è dotato di una particolar forza motrice, interna, diffusa in tutte le sue parti che ha un non so che di analogo ad una tal quale specie d’intelligenza, per cui volontariamente si determina più tosto ad un’azione che ad un’altra, e si presta a secondare la volontà del Cavaliere che li viene indicata con la voce, o con altro segno della mano o piede, come vedesi nei Cavalli ammaestrati, e per cui non solo concepisce avversione a chi lo incomoda, infastidisce, o tormenta, ma anche si difende per quanto può dal castigo, in specie quando gli è dato a torto, e piglia timore di esso, e si corregge quando se lo è meritato; e viceversa prende propensione, e dimostra docilità verso chi lo accarezza, e lo tratta amorevolmente, e verso chi lo governa, e li fa del bene, che io chiamerò da qui avanti or col nome di spirito, ed or con quella di potenza motrice, per sola comodità di esprimermi, lasciando ai filosofi d’indagare con le loro ricerche metafisiche la sua vera natura, per esser questo totalmente alieno dal mio proposito.
Se l’indicata stabile e forte figura della costruzione delle gambe d’avanti, e quanto si è detto di sopra, e le diverse figure angolari, delle quali sono farmate le gambe di dietro, meno robuste delle prime, perchè flessibili, e molleggianti, e però altrettanto attive per spingerne più e meno il pose sepra quelle d’avanti, e vibrarlo in aria a seconda del biscgno, non fosse bastante a convincere che le prime sono state destinate dalla natura per base del sostegno del peso della macchina; e le seconde per regolare l’azione sua, ricorra chi non resta persuaso alla prova di fatto, che da questa verrà tolto dalla mente sua ogni difficoltà.
Si faccia dunque osservazione, che quei Polledri di prima doma che mettono la testa tra le gambe quando si vogliono difendere, affidando così tutto il peso della macchina loro sopra i piedi d’avanti, saltano con somma facilità in avanti, in volta, in fianco, e dovunque lor viene in capriccio: quando quelli che aggravano le anche con tenere la testa alta, per sostenere il peso in dietro, appena possono fare qualche sbilancione staccato in avanti, o darsi disperatamente alla fuga, allorché vogliono sottrarsi dalla suggezione, come si vede tutto giorno nelle scuole, ed in specie in quelle dove ha luogo il gastigo.
E’ fuor di dubbio, che nella prima difesa sopradetta il peso della macchina è del tutto affidato sopra le gambe d’avanti, e che le gambe di dietro sono in piena libertà d’agire a loro talento; onde è forza concludere, che da questo ne avviene la facilità con la quale il Cavallo in esso fa di se quello che vuole, e che per consequenza quelle d’avanti devono sostenere il peso, e quelle di dietro regolarne l’azione sua come si e detto.
Ed è chiaro, che nella seconda difesa, il peso della macchina si trova dall’elasticità dei legamenti delle gambe di dietro vibrato in aria, libero da ogni sostegno; ciò che prova l’attività ed indole delle medesime: e siccome dalle gambe d’avanti non solo vien ricevuto, nel tornare in terra con intrepidezza, l’impeto dell’urto della caduta del medesimo sopra d’esso ma anche immediatamente doppo dall’elasticità delle pastore dei piedi loro ne viene risollevato in aria con somma facilità, per rimetterlo in balia della forza elastica dei sopraddetti legamenti delle gambe di dietro, perchè a guisa di molla possano darli il nuovo urto di vibrazione, che dia luogo alla continuazione dell’azione, così da questa non meno, che dalla prima difesa vien comprovato quanto ho detto sopra della specifica attività dell’une e dell’altre gambe, d’avanti e di dietro.
La facilità, che mostrano i Cavalli nel moto progressivo, e la difficoltà nel dare indietro, il portar della groppa da parte delle scese, e lo stendere che fanno delle gambe di dietro con la maggior forza, per mantenerne il peso della macchina sopra quelle d’avanti nelle salite, per sottrar le anche dall’incomodo del peso con lo scanzo nelle prime e con lo sforzo nelle seconde, sono tutte riprove, che le gambe di dietro non hanno che una attività limitata per poter servire al peso di sostegni, e che questo è l’incarico di quelle d’avanti.
Rilevandosi dunque da tutto questo sicuramente che la natura della costruzione della macchina del Cavallo, dalla quale ha origine l’indole del meccanismo suo, richiede che le gambe d’avanti servano sempre di base al sostegno del peso, e che quelle di dietro ne regolino l’azione sua, non può mettersi in dubbio che le regole solite assegnarsi nelle scuole, avendo per principio fondamentale, che il peso deva esser sostenuto dalle gambe di dietro con l’idea che da questo ne avvenga la maggior scioltezza e sollevamento di quelle d’avanti, siano del tutto opposte all’indole del meccanismo sopraddetto della macchina, e che però segua lo sconcerto e le difficoltà che nelle medesime s’incontrano, da chi si ostina a volere esigere dalle gambe di dietro col rigore e con la forza, ciò che non può essere eseguito da esse.
I Professori di maggior esperienza e credito, conosciuta per pratica l’impossibilità di ridurre con la forza al loro intento il Polledro, vennero in cognizione che dal temperamento di mano, dalla sofferenza, e dalla piacevolezza deriva la riuscita de’ loro Cavalli, e però adottandone questa massima, bandirono dalle scuole loro il rigore e castigo intempestivo, di cui per l’avanti si erano serviti inutilmente, e senza profitto; non accorgendosi che così venivano a secondare il meccanismo della macchina, e ad allontanarsi dal principio loro, poichè il temperamento della mano non consiste che in una tenuta che limita alla potenza motrice l’azione, ma nell’istesso tempo lascia alla medesima tutta la libertà dell’esecuzione a seconda della legge a lei imposta dalla natura.
Io pure dopo aver tentato inutilmente tutt’il possibile per ridurre i Polledri con la forza al mio volere fino a stroppiarli, m’appigliai a questo sentimento, ma non ne ricavai profitto che da quelli dotati di particolare abilità e sofferenza dalla natura; poichè essondomi ignota la vera origine dell’obbedienza, non perdevo di mira la massima da me tenuta con tutti gl’altri, che dall’esser messo il Cavallo a sedere sull’anche, dipendesse; e stetti in questa cecità, finchè non furono da me sperimentate le regole del Duca di Newcastle, [che più d’ogn’altro si accostò al vero] con profitto maggiore di tutte le altre da me messe in pratica; perchè avendo riconosciuto ch’esse erano del tutto opposte e contrarie al principio sopraddetto anche da lui medesimo tenuto, cioè che dall’esser messo il peso della macchina sopra le gambe di dietro dipendesse l’agilità e prontezza del Cavallo, mi diede luogo di venire in chiaro della falsità di un tal principio, e dell’origine di tutti gl’inconvenienti fin allora a me incognita, con l’esame della costruzione della macchina che mi delucidò il tutto; e venni in cognizione che il Cavallo non può essere obbligato che a ciò che comporta il meccanismo della macchina sua. Quindi è che mi sono proposto di mettere al pubblico questa mia nuova scoperta a benefizio comune dopo averla verificata con l’esperienza di facile e sicura riuscita, oltre l’essere esente da qualunque rischio e pericolo.
Ne vien concluso da quanto ho detto fin qui, che le azioni del Cavallo pigliano origine dall’inclinazione che ha il peso di tendere sempre all’ingiù, quando non è collocato sopra base abbastanza stabile, che allora sta fermo e in quiete e sol rimossa e indebolita la base, piglia moto verso il centro.
Quindi è che quando la macchina del Cavallo è situata sopra le sue quattro gambe sta in riposo e ferma, e perchè possa esser messa in moto, conviene che sia indebolita la base del suo sostegno, che allora ella diviene vacillante e suscettibile di qualunque impuslo della potenza motrice, e però quando la medesima potenza motrice vuol farla agire, la pone sopra due soli piedi, sollevando da terra gli altri due, e allor che vuol farli eseguire il passo, trapasso, trotto, si prevale dei due diagonali, affidando il peso a quello d’avanti, e servendosi di quello di dietro per spingerlo sopra di esso, obbligando nel medesimo tempo i due che sono in aria, a secondare sospesi l’azione della macchina, con una specie di ondulazione, eseguita sopra i due diagonali che la sostengono, perchè possano essere a portata di esser messi in opera a suo tempo, per preparare la nuova base sopra cui la macchina deve passare per poter continuare l’azione, e quando vuole eseguire quelle di moto vibrato, come sono il galoppo, scappata, carriera, corvetta, e salto, affida il peso alle gambe di dietro per quel sol momento che fa d’uopo alle medesime per vibrarlo, col sollevar quelle d’avanti, e lo fa ricevere a queste nel tornar in terra, tanto che quelle di dietro abbiano luogo di eseguire la loro azione per rimettersi in grado di poterlo di nuovo ricevere, per rivibrarlo, come lo richiede la continuazione dell’azione.
Per una tale esecuzione forza è, che le gambe d’avanti abbiano acquistata la facilità di formarsi in colonna per sostener il peso, e quelle di dietro abbiano risvegliata l’elasticità necessaria per l’esecuzione delle loro funzioni, e perchè la natura non accorda nel nascere ad esso in essere, che quell’elasticità ch’è sol necessaria per i bisogni naturali della macchina, fornendole solo in potenza di quella che fa d’uopo ai Cavalli di maneggio, per l’esecuzione delle azioni più ricercate; come segue anche nell’uomo, che non è dotato nella nascita, che di quell’elasticità ch’è necessaria per caminare, quantunque sia fornito in potenza di quella che promossa dall’arte fa d’uopo per ballare, caminare sopra la corda, e cose simili
E però nella prima parte del trattato metterò in vista, prima d’ogn’altra cosa, con l’analisi dello scheletro, che forma la macchina del Cavallo, qual sia l’attività specifica delle parti sue, perchè possano essere impiegate senza sbaglio, a seconda dell’indole e natura loro.
Ne farò veder dipoi con la descrizione dell’azioni che possono essere eseguite da esso, qual sia quel metodo che secondi il meccanismo della macchina, e darò termine a questa parte con l’esame pratico delle azioni del Cavallo quando è in campagna, sciolto in piena libertà nella sua quiete, quale verificherà col fatto la sopraddetta mia dimostrazione.
E siccome alla potenza motrice si aspetta unicamente di dar moto alla macchina, ed esecuzione a tutte le azioni, stante l’avere ella sola cognizione privativa del meccanismo della medesima, e del modo di farla agire a seconda della legge di natura, poichè il Cavalire non ha se non se la facoltà di esigere da essa una cieca obbedienza alle sue chiamate, così nella seconda parte insegnerò il modo di rendere il Polledro docile, e mansueto in forma, che con piacere si presti a dare esecuzione a tutto ciò che dalla mano del Cavaliere gli vien richiesto; e perchè possa farlo con prontezza, e senza ostacolo ne indicherò immediatamente dopo la maniera di promuovere, e di risvegliare nei legamenti delle gambe di dietro quella elasticità ch’è necessaria per l’esecuzione delle azioni del Cavallo da campagna, caccia, e guerra, ed indi additerò il modo di dar l’essere a quella, che fa d’uopo ai Cavalli di maneggio che non hanno sortito dalla natura se non se in potenza.
Nella terza parte tratterò di ciò che si appartiene all’opera del Cavaliere, perchè possa sapere adattare le chiamate al bisogno, ed alla specifica qualità dell’azione e figura, che egli vuole esigere dal Cavallo, e siccome queste non possono essere eseguite con la dovuta giustezza e proporzione se la mano non è ferma e sciolta, così tratterò prima del come dev’esser formata la sella, perchè le coscie del medesimo possano fare la loro presa senza incontro d’ostacolo che glie lo impedisca, e dipoi metterò in vista qual sia la positura più forte e più brillante, in cui egli deve stabilirsi per fare acquisto della fermezza a Cavallo, dalla quale dipende anche quella, ch’è tanto necessaria, della mano.
Ed indi coll’analisi delle figure che devono esser formate dall’azioni del Cavallo, e che data proposizione, sono simili a quelle che forma la penna nell’esecuzione del carattere, e come esse di maggior o minor perfezione, che maggiore o minore è la perizia della mano, e che diligente ed esatta e la norma che dalla medesima vien formata; e però ne rileverò tutte le più minute circostanze che possono dar risalto all’azione, indicando dove occorre maggior o minor forza dell’impulso della medesima, il maggiore o minor tempo che richiede quella tal figura o azione, i luoghi che richiedono sospensione o arresto, e quelli che esigono maggior vivezza e prontezza, e poi che il Cavaliere non può far nota alla potenza motrice la sua volontà, se non se per mezzo della briglia, così darò anche contezza di quale debba essere la costruzione della medesima.
Passerò dipoi a mettere in vista come deve comportarsi il Cavaliere nelle cavalcate che si fanno per corteggio del Sovrano, e per solennizzare le feste di parata, ed indi a dimostrare qual sia il metodo che dovrà esser tenuto per fare agir più Cavalli in concerto a tempo di suono, e senza, e di quello da tenersi nel giuoco delle teste, e dell’anello, senza estendermi a discorrere dei caroselli e degl’incontri che sono andati in disuso per la troppa spesa i primi, ed i secondi per gli accidenti funesti che seguivano: e stante l’introduzione delle carrozze e dei calessi che ha diminuito il numero dei Cavalieri che operino in essi.
Ed affinché non resti ommessa cosa che possa dar compimento dell’intero a questa mia opera, ho stimato molto opportuno di unire al trattato che riguarda l’obbedienza del Cavallo, anche quello cbe riguarda il regolamento della razza, dalla quale ne proviene la bontà e bravura del medesimo, e però nella quarta parte metterò in veduta con la maggiore brevità possibile, secondando le tracce di natura, tutto ciò che può contribuire a renderlo fino dalla sua nascita di tal qualità e così darò termine compiuto all’assunto da me preso per vantaggio pubblico, e per quella del servizio del mio Padrone, ch’è la maggiore delle mie premure.