Dell'obbedienza del cavallo/Dedica
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AI SIGNORI
CAVALLERIZZI
Niccolò Rosselmini.
Da che fu trovata la maniera di domare il Cavallo per renderlo servibile all’uomo, dai nostri antecessori non fu omessa nè premura, nè diligenza, a rischio anche della propria salute, e vita, che potesse contribuire a renderlo di utile, e di vantaggio al pubblico bene, sì in guerra, che alla caccia, al divertimento, alla comparsa, ed al commercio; ed hanno fatto a gare di rendersi così al pubblico benemeriti in vita con l’opera ed istruzioni loro, e dopo morte con lasciare in scritto le loro scoperte, e le regole da essi tenute. Io ho seguitato l’esempio con l’opera, e con la penna, come si vede dal mio Cavallo perfetto, stampato in Venezia l’anno 1723. presso Giuseppe Corona, [in cui io messi in vista al pubblico gl'insegnamenti, e regole avute dal mio Maestro, giacchè non mi fu possibile d'indurre il medesimo a farlo da se] e l’apologia del sopradetto Caval perfetto stampata in Siena l’anno 1730. presso Francesco Quinsa. Stimolato dipoi non solo dalla gratitudine dell’universo applauso, ch’ebbero la sorte queste mie due opere di riscuotere, e dal comodo che mi somministrò la sopraintendenza generale delle Razze, e Scuderie di Toscana di S. M. I. Francesco Primo Duca di Lorena, e Bar, Gran-Duca di Toscana etc. etc. presentemente regnante, mi appigliai a far ricerca di qual fosse il motivo della lunghezza del tempo, che ci vuoleva a ridurre il Cavallo all’obbedienza, per tentar d’abbreviarlo: perchè ridotto a questa, pochi erano quelli che potevano maneggiarlo; da che dependesse, che molti, benchè di somma abilità, erano rigettati per indomiti, e perchè quelli di maneggio nonostante che ridotti al segno di operare con un solo nastro in bocca, come io ebbi l’onore di far vedere alla prefata M. S. nella Cavallerizza di Siena, contuttociò non erano capaci di poter prestar servizio alcuno in campagna, nè in altro luogo, fuori che nel recinto della Cavallerizza; sconcerti tutti che ridondavano in sommo pregiudizio, sì del ben pubblico, che privato; così per venire a capo non lasciai di tentare, e di far prova di tutto ciò che credei che potesse farmi ottener l’intento desiderato, ma tutto in vano, e da tali prove sol restai convinto, che la pratica sola non era bastante a render capace il Cavallo di prestar quel maggior servizio che poteva; ero perciò in procinto di abbandonare l’impresa, e di darmi per vinto; ma siccome dall’altro canto non potevo persuadermi che fosse impossibile il poterne venire a fine; abbandonate le ricerche pratiche, mi appigliai alle Teoriche, e per mezzo del raziocinio mi cadde in pensiero di farne ricerca della costruzione della macchina, e specialmente dello Scheletro, giacchè l’oculare imperfezione non era bastante a rintracciare cosa alcuna dal moto; nè m’ingannai, perchè appena posti gl’occhi sopra di esso, venni in cognizione non solo dello sbaglio che si piglia nelle scuole, ma anche del modo di correggerlo con somma facilità. Questa scoperta appunto è quella che io vi presento, o Sigg. Cavallerizzi, nella qui annessa opera, che io vi dedico, sicuro che ne avrete gradimento, perchè vi metterà in grado di giovare al pubblico, com’è la vostra professione, ed insieme vi esimerà dal pericolo che avete corso fino ad ora nell’arrischiare la vostra salute, e la vostra vita per vantaggio suo, senza poterne ottener l’intento che per metà, poichè dopo tanta fatica e tempo impiegato non può il vostro Cavallo ammaestrato esser montato senza rischio, che da voi stessi, con il rammarico di non poterlo vedere sotto di altri, com’è il vostro desiderio e premura.
E siccome io non avrei potuto far questa scoperta, senza l’aiuto di quelle già fatte dai vostri antecessori, e da voi medesimi, così non voglio appropriarmi quella gloria che a loro ed a voi anche si spetta per la parte che avete avuto con attribuirla tutta a me, quando deve essere comune a tutti quegli che vi hanno in qualche maniera sì relativamente, che di fatto, contribuito; onde voi pure, Sigg. Cavallerizzi vi avete interesse, come successori loro, e per il lume che mi hanno somministrato le vostre opere nell’averle vedute mettere in esecuzione da voi medesimi con la dovuta maestria. Ve la presento dunque come cosa in cui avete interesse, perchè riconoscendola per tale v’induchiate a darli l’ultima mano, e quella perfezione che unanimemente tutti noi da tanto tempo andiamo in cerca a benefizio pubblico, mossi da quell’umanità che deve essere la virtù prima dell’uomo, con coreggere quella parte che a me si aspetta, dove la trovate mancante e difettosa; dandomi ad intendere che il lume che vi somministrerà la mia scoperta vi agevolerà non poco l’esecuzione, e perchè possiate farlo senza suggezzione, nè rispetto umano, non ho ricercato protezione alcuna, nè dal mio Padrone, nè da altro Personaggio, affinch’ella non cagionasse in voi quel rispettoso silenzio, che sarebbe senza fallo di pregiudizio al comune nostro unico fine, ch’è il ben pubblico, quando meriti correzione; tantopiù che in tal caso sarebbe anche di svantaggio vostro, perchè tal silenzio potrebb’essere da qualcuno riputato per approvazione, e verreste così ad addossarvi le mie mancanze. Motivi tutti che vi obbligano ad intraprendere quella censura e correzione che deve darli pulimento, e quel risalto che stimerete più proprio, sicuri della mia gratitudine per quella parte che a me s’aspetta, e per quella che vi ha il Pubblico, per essere di tanto suo interesse.
E perchè talvolta da i meno intendenti è attribuito a colpa dei Cavallerizzi quello ch’è sol difetto di razza, ho stimato bene di unire al trattato dell’Obbedienza del Cavallo, anche quello delle razze, quindi è che anche di questo ne fo a Voi un presente, per la correlazione che ha con il vostro oggetto, non potendosi mettere in dubbio che il Cavallo di buona razza sia quello che fa onore al Cavallerizzo; e però correggetene anche di questo gli sbagli che io posso aver presi, affinchè il mio zelo per il bene del Pubblico non gli abbia ad apportar pregiudizio, invece di quell’avvantaggio che io mi sono dato ad intendere di arrecarle, e così doppia ne sarà anche la mia gratitudine. Vivete felici.
Pisa primo Marzo 1764