Degli edifizii/Libro secondo/Capo IV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO IV.
Chi partito di Dara va in Persia, ha alla sua sinistra un paese, che non ammette nè carri, nè cavalli per transitarla. Aperta per quanto può uom lesto camminare in due giorni, va a finire in luogo scosceso e pieno di precipizii; e questo luogo chiamasi Rabdio; e la più parte della via che a Rabdio conduce, è posta tra i confini persiani. Avendo io per la prima volta veduto questo luogo, meravigliandomene domandai agli abitanti come fosse che da ambe le parti suol nemico chiudesse la strada, e quel tratto di terre di dominio romano. Alcuni mi risposero, che una volta quel paese apparteneva a’ Persiani; ma che un romano imperadore lo aveva avuto in compenso dal re di Persia, a cui, pregatone, avea ceduto un certo villaggio pieno di viti, vicino a Martiropoli. Rabdio siede sopra dirotte ed asprissime rupi, che ivi s’alzano mirabilmente: al di sotto poi stendesi uno spazio, che dicono il campo dei Romani, sin da principio, come accennai, singolar cosa, che appartenga a’ Romani, posto com’è in mezzo ad una provincia de’ Persiani. Ma questo campo dei Romani è situato in pianura, ed abbonda di granaglie. Sappiasi adunque che i confini persiani lo circondano per ogni parte.
È nella Persia illustre la città di Sisaurana, la quale venuta in potere di Giustiniano Augusto egli avea distrutta, traendone indi in gran numero prigionieri i cavalieri persiani con Blescane loro capo. Essa è lontana da Dara il cammino di due giorni di uomo svelto, e tre miglia è lontana da Rabdio. Quel luogo in addietro non aveva chi lo guardasse; ed era affatto ignoto ai Romani. Per lo che da essi non avendo mai avuto nè presidio, nè fortificazione, nè benefizio alcuno, i coloni del campo, di cui parlai, ultimamente, oltre il tributo pubblico che pagavano alla cassa imperiale, pagavano di più ogni anno cinquanta monete d’oro ai Persiani per loro sicurezza, e per godere tranquillamente de’ loro raccolti. Ma Giustiniano mutò in meglio la loro condizione; perocchè cinto di mura Rabdio, piantate sulla cima delle rupi, tolse ai nemici ogni adito, a ciò giovando ancora la situazione del luogo. E come agli abitanti mancava l’acqua, non avendo quelle rupi fontana alcuna, egli vi fece due cisterne; e in molti luoghi scavando que’ sassi, qua e là provvide serbatoi, onde vi si raccogliessero le acque piovane; e così confortati quegli abitanti non fossero obbligati a mettersi nelle mani de’ nemici per non morire di sete.
Gli altri castelli de’ monti, che di qui, e da Dara vanno sino ad Amida, avendo un’ apparenza miserabile di fortificazioni, ve ne fece di solide tanto, che superiori alle forze nemiche ottimamente proteggono l’Impero romano, alla fermezza congiugnendo, siccome veggiamo, la dignità. Que’ castelli sono Cifa, Saura, Smaragdi, Lurne, Ieriftone, Ataca, Sifri, Ripalta, Banasiemone, Sina, Rasi, Dabana, ed altri, ivi piantati da tempo antico. In quelle parti v’ha un altissimo monte orrido per inaccessibili precipizii: sottostavvi poi una campagna in pianura, non sassosa, ma assai molle, e comodissima tanto all’agricoltura, quanto alla pastura di bestiame, poichè ivi cresce copiosamente l’erba. Alle radici di quel monte sono frequenti villaggi, gli abitanti de’ quali abbondano di beni, ma sono soggetti a scorrerie nemiche. Giustiniano Augusto a ciò pose rimedio, collocando sulla vetta del monte un castello, in cui depositando le loro cose preziose, all’arrivo del nemico, potessero trovare un rifugio. Il luogo chiamasi il castello degli Augusti. Oltre ciò que’ castelli che stanno all’intorno di Amida, i quali avendo le mura di creta, non potevano far resistenza ai nemici, con molta cura rifece, ed egregiamente fortificò. Fra questi sono Apadna, e il piccol luogo di Birzio: e di maggior opera si è l’enumerarli tutti nominativamente. Perciò concludendo diremo in sostanza, che tutti que’ luoghi, i quali dianzi erano esposti a saccheggiatori, egli munì, e rendè forti a modo, che al presente possono riguardarsi come inespugnabili; e così la Mesopotamia è affatto chiusa ai Persiani.
Nè dee tralasciarsi come nel castello di Barasso mancando acqua affatto, pensò a provvedernelo. Sta Barasso sul precipizio di un altissimo monte. Lungi e fuor delle mura, anzi nel monte sotto l’altura sorgeva una fonte, la quale non parve potersi comprendere entro il recinto del castello, onde nissuna parte del recinto situata sul piano fosse, come sarebbe stato facile, occupata. Trovato questo spediente ordinò che si scavasse la terra entro il recinto delle mura fino a tanto che si giugnesse al livello del campo. Il che fatto, come l’Imperadore aveva divisato, inaspettatamente si manifestò l’acqua derivante da quella fonte; e di questa maniera si assicurò la costruzione del castello, e s’ebbe in abbondanza l’acqua opportuna.