Degli edifizii/Libro secondo/Capo III

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CAPO III.

Crise ingegnere vede in sogno una specie d’argine da opporre al fiume che bagna Dara. La stessa cosa viene in mente a Giustiniano Augusto. Altri edifizii da lui fatti in quella città. Fortificazioni della città di Amida.


Le sopraddette cose fece Giustiniano Augusto nella città di Dara. Ora dirò in che maniera facesse che in avvenire quel fiume non nocesse alla città, in ciò manifestamente aiutato nel suo disegno da Dio. Un certo Crise alessandrino, ingegnere eccellente, solito a servire l’Imperadore nelle fabbriche che intraprendeva, avea fatti molti edifizii tanto in Dara, quanto altrove. Essendo egli in cammino in altre parti, quando il fiume inondò la città, siccome ho narrato, avutone avviso, e gravemente rammaricato, andò a letto, e dormendo ebbe questa visione. Parvegli vedere uno di statura altissima ed eccedente la umana, il quale disegnava, e mostrava una macchina atta a preservare in appresso la città dalla inondazione. Pensando egli che quella fosse una rivelazione divina, dell’accennata macchina, e della notturna sua visione scrisse all’Imperadore, e di quanto avea veduto gli mandò un disegno. Poco prima era all’Augusto capitata da Dara l’informazione dell’accaduto: per lo che commosso l’Imperadore, e gravemente afflitto del caso, chiamò a sè immantinente i celeberrimi architetti Antemio ed Isidoro, de’ quali di sopra feci menzione; e comunicato loro il fatto, [p. 366 modifica]domandò con qual mezzo in appresso potesse salvarsi la città da simile danno. L’uno e l’altro dissero quanto credettero a proposito; ma l’Imperadore per certa celeste ispirazione, non ricevuta ancora la lettera di Crise, da se stesso mirabilmente fece quanto mostrato avea in sogno a Crise l’immagine, che a questo era apparsa. Era ancora sospesa ogni deliberazione; nè ben sapeano ciò che bisognasse fare, quando il congresso si sciolse. Il terzo giorno dopo venne chi ricapitò all’Imperadore la lettera di Crise, e il disegno della macchina da questo veduta in sogno. Giustiniano adunque chiama a sè di nuovo i due architetti, e fa loro ripetere quanto pel lavoro occorrente aveano insieme concertato; e così fecero, ripigliando i dettati dell’arte loro; nè omisero di esporre ciò che per parte sua l’Imperadore avea proposto. E questi allora facendo uscire il messo di Crise, colla lettera e col disegno veduto in sogno dell’opera che occorreva, tal cosa mise que’ due in gran maraviglia, giudicando seco stessi che Dio soccorreva al nostro principe in ogni cosa riguardante il bene dell’impero. Laonde cedendo la perizia, e l’arte, prevalse il parere dell’Imperadore, ed essendo ritornato Crise a Dara, ebbe ordine di eseguire con tutto l’impegno, ed a seconda del sogno avuto, quanto avea scritto. Ed ecco come compì il comandamento.

Quaranta piedi in circa lungi dal muro esteriore della città, tra que’ due scogli, fra quali scorre il fiume, alzò un argine di giusta altezza e larghezza, le cui estremità, da ogni parte così ben legò a quegli scogli, che le acque del fiume, qualunque fosse l’impeto del loro [p. 367 modifica]corso, non potessero per di là trovare adito. I periti di tali cose chiamano quell’opera Fratta, od Aride, o con altro vocabolo che meglio piaccia loro usare. Nè tirò già quell’argine in retta linea, ma lo fece torto, affinchè la curvatura incontro al fiume piegando, meglio sostenesse la violenza delle acque. Quell’argine poi divise con finestre poste sotto e sopra, onde se per avventura il fiume crescesse improvvisamente, fosse costretto a ristarsi, nè potesse mandar oltre tutta la mole delle sue acque; ma per que’ fori uscendo, a poco a poco cali; nè faccia violenza alle mura. E difatto in quello spazio di quaranta piedi, che sta tra l’argine e il muro esterno, vien la corrente senza violenza veruna, e alla solita apertura del muro convenientemente scendendo, rimane accolta dal canale. In fine, tolte via le porte, che improvvisamente il fiume avea aperte, il posto che da prima occupavano chiuse con grandi macigni, poichè il sito ivi piano dava a ciò facile adito al fiume ristagnante; e la porta collocò in luogo alto presso la parte delle mura poste sul precipizio, ove il fiume non poteva alzarsi. Così l’Imperador nostro fece eseguire.

In quella città gli abitanti gravemente soffrivano di scarsezza d’acqua, non avendo fontana sorgente, nè rivoletti, che in canali artefatti conducessero acqua nelle contrade, nè altra che si serbasse nelle cisterne: al contrario quelli che dimoravano ove passava il fiume, avevano acqua con poco incomodo quanta volevano, mentre gli altri, che n’eran distanti, erano nel duro pericolo o di levarsi la sete con molto stento, o di [p. 368 modifica]morire assetati. Perciò Giustiniano imperadore costrusse un grande acquidotto, per cui derivata l’acqua per tutte le parti della città, sollevò gli abitanti da ogn’incomodo. Fece ivi di più due chiese, una che dicesi la grande, e l’altra dedicata a S. Bartolomeo apostolo. Anche ai soldati edificò parecchi quartieri, onde non fossero molesti ai cittadini.

Le mura della città di Amida, tanto maggiori, quanto minori, erano prossimi a diroccare per la vetustà; ed egli le fortificò quasi di nuovo edificandole; e così fece quella città più sicura. Cosa facesse poi ne’ castelli, che guerniscono i confini di queste città, verrò ora dicendo.