De mulieribus claris/XXIX
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Capitolo XXIX
Delle donne de’ Compagni di Jason
Noi non sappiamo lo numero, nè i nomi delle donne de’ Menj; o che sia per la pigrizia di quei che scrissero al suo tempo, o che sia per difetto della lunghezza del tempo, è indegna cosa; avendo meritato quelle grandissima lode di gloria per grandi opere. Ma poichè così è paruto alla odiosa fortuna, isforzerommi, con quanta arte potrò, redurre quelle nominate, a mio potere, con degna lode alla memoria di quegli che verranno drieto, come quelle che bene l’hanno meritato. Dunque i Menj furono de’ compagni di Jason, e degli Argonauti giovani famosi di non piccola nobiltà, i quali compiuta l’andata di Colco, tornati in Grecia, lasciata la loro antica patria, elessero loro sedia appresso i Lacedemonj; dai quali non solamente fu concesso la cittadinanza a quegli amorevolmente, ma furono ricevuti tra i Senatori i quali reggevano la Repubblica. Della quale splendida cortesia i successori non ricordandosi, ardirono, volere sottomettere per sè la pubblica libertà a vituperosa servitù. Furono in quel tempo ricchissimi giovani, e non solamente famosi per sua virtù, ma eziandio circondati di doppia chiarezza per li parentadi de’ nobili Lacedemonj e intra le altre cose avevano bellissime donne, le quali erano nate de’ nobili cittadini. E certamente non è l’ultima parte dell’onore1 del mondo; al quale onore s’accostavano grandi sette, per le quali non sentivano l’amistà della patria pubblicamente, ma, appropriandola a’ suoi meriti, montarono a tanta matteria, che pensarono, dovere essere messi innanzi agli altri: di che egli caddero a cupidità di signoria, ed a questo posero sua forza ad occupare la Repubblica presuntuosamente. Per la qual cosa, scoperto lo peccato, furono presi, e messi in prigione per l’autorità2 della Repubblica, furono sentenziati a pena capitale, come nemici della patria. E dovendo loro essere data la morte da’ manigoldi, la seguente notte secondo l’usanza de’ Lacedemonj, le loro donne triste e piangendo, per deliberazione de’ mariti pigliarono questo consiglio, e secondo lo pensiero non indugiarono; ma fatto sera, in oscure vestimenta, con la faccia coperta e piena di lagrime andavano alle prigioni per vedere i mariti. Lievemente fu loro conceduto dalle guardie andare a quegli, perchè erano gentili donne. Ai quali essendo arrivate, non si spese il tempo in lagrime e in pianto; ma subito, manifestato lo suo consiglio a’ mariti, mutate le vesti, imbendati quegli a modo di femmine, piangendo e cogli occhi bassi a terra, mostrando tristizia, aiutandogli l’oscurità della notte, e la reverenza, perchè erano nobili donne, ingannando le guardie, misono fuori quegli che dovevano morire, rimanendo elleno in luogo di quei dannati: e non fu conosciuto l’inganno infino che andando i manigoldi per fare morire i dannati, trovarono le mogli in luogo de’ mariti. E per certo fu grande e singolare amore delle donne. Ma lasciamo le beffe e l’inganno contro alle guardie, che fu salute de’ dane che sia partito a’ Padri, e che sia seguito. E primieramente contemplarne alquanto la forza del matrimoniale amore, e l’ardire di quelle donne. Alcuni dicono, che non è più mortale odio, che quello delle discordie delle mogli, essendo che fermate in nodo indissolubile, secondo antico ordinamento di natura; e così quando elle convengono co’ loro mariti, lo suo amore passa tutti; perchè scaldato dal fuoco di ragione non arde istoltamente, ma scalda con piacere e scalda di tanta carità, che sempre vogliono e non vogliono pazientemente; e lo amore usato a sì piacevole unità non lascia alcuna cosa contro la sua conservazione, e non fa alcuna cosa pigramente e freddamente: e se la fortuna è contraria, di propria volontà sottentra alle fatiche e a’ pericoli; e con socia sollecitudine alla salute pensa e delibera; trova i rimedj, e fabbrica gl’inganni, se la bisogna il richiede. Questo, soavissimo e già formato con piacevole vivere, sospinse gli animi delle donne de’ Menj con tanto furore, che elle trovarono quegli inganni, i quali non avrebbono potuto vedere innanzi: nel pericolo de’ mariti, struggendo le forze dell’ingegno, apparecchiarono gl’istrumenti, e l’ordine delle cose che avevano a fare, acciocchè elle ingannassero le guardie accorte e aspre; e rimossa la oscurità de’ sensi, pensarono che niuna cosa si dee lasciare per la salute di quello che noi amiamo; e cercata la pietà nell’intimo segreto del cuore, acciocchè elle traessero i mariti del pericolo, con presuntuoso ardire entrarono in quello, acciocchè il casto amore delle mogli3 assolvesse quegli che parevano esser tenuti da duro e capitale supplicio, traendogli delle mani de’ manigoldi. E queste, che parve grandissima cosa, beffata4 la possanza delle leggi per pubblico decreto e autorità del Senato, e ingannata tutta la volontà della città, acciocchè compiessero quello che elle desideravano, non temerono rimanere serrate sotto la signoria delle ingannate guardie in luogo dei dannati. E certamente io non sono sufficiente ad ammirazione di così pura fede, di così integro amore. Per questo ho per fermo, se elle avessero amato temperazione, e fossero state congiunte a quelli con sottile legame, sarebbe stato lecito a quella stare pigre in ozio a casa loro, e non arebbono queste fatto sì fatte cose. E acciocchè con poche parole io conchiuda molte cose, ardisco affermare, queste essere stati veri e certi uomini, e quegli giovani Menj essere state le femmine che faceano quella finzione.
Note
- ↑ Cod. Cass. dellone del mondo. Test. Lat. mundani decoris.
- ↑ Cod. Cass. perlauttoria della repubblica. Test. Lat. Auctoritate publica.
- ↑ Cod. Cass. accio chelnostro onore delle mogli. Test. Lat. Pudicus conjugalis amor absolveret quos, ecc.
- ↑ Cod. Cass. benfatta la possanza delle leggi. Test. Lat. Lusa legum potestate.