Claudia Quinta romana

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Claudia Quinta romana
LXXIV LXXVI
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CAPITOLO LXXV.

Claudia Quinta romana.

Claudia Quinta fu una donna romana; ma non è assai manifesto di che parentado ella nascesse; ma per alcuno maraviglioso ardire ella acquistò perpetual fama. Questa usando continovi e varj ornamenti e molto dilicati, e andando con la faccia troppo coltivata, fu pensato dalle donne di maggior gravità non solamente poco onesta, ma disonesta. E essendo consoli [p. 326 modifica]Marco Cornelio, e Publio Sempronio, nello quintodecimo anno della guerra degli Africani, avvenne, che la Madre degli Dei fu portata da Pessinunte a Roma per lo fiume del Tevere e a ricevere quella dalla nave, secondo la risposta dell’oracolo, essendo giudicato Nasica ottimo uomo da tutto il Senato, andato in quel luogo con tutte le donne fino alla prossima nave, avvenne che volendo arrivare i nocchieri appresso al lido, la nave, nella quale era portata la statua, essendo arrivata in secco, e non potendo essere mossa da molti nocchieri; Claudia, mescolata tra le altre donne, conoscendo la sua virtù, palesemente inginocchiata pregò quella Dea, che se ella conosceva, sè essere casta, ella seguisse la sua cintura. E subito levata suso con fidanza, sperando quello che ella avea pregato, comandò, che la nave fusse legata alla sua cintura, e che tutti i giovani fussero rimossi dalla nave: e come fu fatto, Claudia lievemente trasse la nave dalla secca; e, maravigliandosi ogni uomo, condusse quella dove ella voleva. Per la quale si maravigliosa prosperità seguì incontanente, che l’opinione di ogni uomo della non conservata onestà si con[p. 327 modifica]verti in contrario con somma lode di Claudia; e così ella, che era andata allo lido macchiata di vituperosa nota di lascivia, tornò a casa ornata di maraviglioso onore d’onestà. E benchè la cosa venisse secondo lo desiderio di Claudia; non è chi stimi, essere di sano intelletto (quantunque ella fusse innocente) ardire fare sì fatte cose, perchè volere fare quello che è fuori di natura, acciocchè alcuno mostri, sè essere senza colpa, è piuttosto tentare Iddio, che purgare lo biasimo dell’imposto peccato. Ma noi dobbiamo vivere santamente: e se noi saremo biasimati, Iddio non lo porterà senza nostro bene; e certamente egli vuole, acciò confermi la nostra pazienza, sia tolta via la superbia, e sia adoprata la virtù; e acciocchè noi ci allegriamo con noi medesimi, sapendo gli altri essere indegni. Assai è a noi, anzi è grandissima cosa, se noi viviamo bene, essendo conosciuti da Dio; e perciò se gli uomini non credono buoni noi, non è da curare, purchè noi facciamo bene; e se eglino pensano male, è da curare con tutta nostra forza in contrario, acciocchè piuttosto lasciamo quegli con lo reo pensiero, che noi operiamo male.

Note