Marzia di Varone

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Marzia di Varone
LXIII LXV

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CAPITOLO LXIV.

Marzia di Varone.

Marzia di Varone fu già trovata a Roma servare perpetua verginità: ma qual Varone si fosse, non mi ricordo avere trovalo, e in che tempo. E penso, questa verginità osservata essere degna d’essere magnificata con lode; quando io penso, che quella femmina di sè, di sua volontà l’abbia servata integra, e non perchè sia stata costretta da superiore, perchè non la trovo legata per sacerdozio, nè per Vesta, nè per voto fatto a Diana, nè rimpacciata per altra professione. Per le quali cose sola integrità della mente servò lo suo corpo infino alla morte, immacolato d’ogni consorzio d’uomo, vincendo lo stimolo della carne, dal quale li scelleratissimi uomini sono stati vinti. E benchè Marzia sia degna di lode per questa laudabile astinenzia, non è meno da lodarla per la virtù di suo ingegno, e per l’artificio delle mani. Questa certamente, o che ella imparasse dal maestro, o che ella l’avesse per industria naturalmente, è incerto; [p. 287 modifica]parendo questo certissimo, che, dispregiati gli esercizj delle donne, acciocchè non si marcisse nell’ozio, diedesi in tutto a pintura, e intagli d’immagini. E finalmente con tanto artificio e pulitamente dipinse col pennello e intagliò immagini d’avorio che superò Sopolino o Dionisio, famosissimi maestri a suo tempo: e di questo fu famosissimo argomento alcune tavole che ella dipinse, le quali furono di più pregio che l’altre. E, che è più maravigliosa cosa, non solamente, dicono che ella dipinse eccellentemente, la qual cosa avvenne a molti; ma ella ebbe le mani sì preste a dipingere, che niuno l’ebbe mai simili. Ancora per lungo tempo rimasero esempj di sua arte: ma fra l’altre la sua figura, la quale ella ritrasse con l’aiutorio dello specchio sì interamente con le linee e co’ colori in una tavola, servando l’abito della faccia, che a ciascuno di suo tempo, veduta quella, era certo quale ella fusse. E, acciocchè noi veniamo a’ suoi particolari costumi, tra le altre ebbe per usanza in ispezialità, secondo che si teneva, o che ella dipignesse col pennello, o che ella intagliasse con lo scarpello, fare ispessissime volte figure di donne, e di uo[p. 288 modifica]mini rade volte, e non mai ignudi. E penso, che la vergogna fusse cagione di questa usanza; perchè anticamente per la maggior, parte figurandosi le immagini ignude, o mezzo ignude, parevale le bisognasse o fare gli uomini imperfetti, o, se ella gli facesse perfetti, parevale che ella avesse smenticato la vergogna d’una vergine. E acciocchè non avvenisse alcuna di queste cose, pensò, esser meglio d’astenersi da ciascuna.