Dalle novelle di Canterbury/Novella del chierico di Oxford/Pars prima
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Traduzione dall'inglese di Cino Chiarini (1897)
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NOVELLA DEL CHIERICO DI OXFORD
PARS PRIMA
Della quale fu già signore un marchese, che l’aveva avuta in retaggio dai suoi illustri antenati; tutti i cittadini, chi piú e chi meno, erano obbedienti e pronti al suo comando: cosicché egli visse felicemente e per lungo tempo, amato e temuto, in mezzo ai favori della fortuna, tanto dai nobili quanto dal resto della cittadinanza.
Questo giovane signore si chiamava Gualtieri, ed era, per parlare del suo lignaggio, la piú nobile persona che mai fosse nata in Lombardia; bello e forte della persona, e pieno di dignità e di cortesia, si dimostrava assai savio nel governo del suo paese; se non che in una cosa era degno di biasimo.
Ed ecco perché: egli non si dava il menomo pensiero di ciò che in avvenire sarebbe stato di lui, ma badava solo al piacere presente, che consisteva nell’andare uccellando col falco e nel cacciare di qua e di là senza curarsi d’altro, né (ciò che era il peggio) volendo sapere, a nessun costo, di prender moglie.
Delle quali cose tanto si affliggevano i suoi cittadini, che un giorno si presentarono a lui in gran comitiva, e uno di loro, il più saputo (se non quegli dal quale Gualtieri piú di buon grado avrebbe ascoltato il desiderio del popolo, o che, in fine, fosse più adatto ad esporre la cosa come stava), disse al marchese in questo modo:
“Nobile marchese, la vostra bontà ci rassicura e c’incoraggia, ogni volta che è necessario, a confessarvi il nostro malcontento: voglia dunque la gentilezza vostra permetterci di farvi un’umile preghiera, e non vi sdegnate di dare ascolto alle mie parole.
Sebbene io non abbia più degli altri il diritto di mischiarmi in questa faccenda, tuttavia per quel favore e quella grazia che mi avete sempre dimostrato, oso domandarvi udienza, per esporvi ciò che noi desideriamo; voi poi, signor mio, farete quello che crederete.
Or dunque, signore, sappiate che noi siamo cosí soddisfatti di voi, di quello che fate ed avete sempre fatto, che non sapremmo, davvero, immaginare noi stessi come vivere piú felicemente: se non che, il vostro popolo riposerebbe piú tranquillo, se voi vi mostraste disposto a prender moglie.
Piegate il collo a quel beato giogo, che non è servile ma sovrano, il quale gli uomini chiamano sponsali o nozze; e pensate, signore, fra le altre cose savie, che i giorni o in un modo o in un altro passano: ché il tempo non aspetta nessuno, e fugge via per chi dorme, per chi veglia, per chi viaggia, e per chi cavalca.
Sebbene siate ancora nel fiore della gioventú, pensate che la vecchiaia zitta e cheta c’entra in casa, e la morte tutti minaccia, tutti colpisce, di qualunque età, di qualunque condizione, senza che alcuno le possa sfuggire. Tutti siamo cosí sicuri di dover morire, come incerti del giorno in cui la morte ci colpirà.
Accettate dunque da noi, che vi abbiamo sempre obbedito in tutto e per tutto, il sincero consiglio; e se vi aggrada, noi stessi vi sceglieremo al più presto una degna moglie, fra la piú eletta nobiltà di questa terra, e penseremo a far cosa che onori Dio e voi.
Liberateci da questo gran pensiero, e prendete moglie, per amor del cielo: ché se dovesse accadere, Dio non voglia, che la vostra discendenza si estinguesse con voi,e un successore straniero ereditasse il vostro regno, per noi, ahimè, sarebbe meglio la morte; perciò affrettatevi, ve ne preghiamo, a prender moglie.„
La rispettosa preghiera e il loro umile aspetto mosse a compassione il marchese.
“Miei cari, egli disse, voi mi costringete a fare una cosa alla quale non avrei mai pensato. Io ho goduto fino ad ora una libertà che ben di rado si trova nel matrimonio; debbo farmi schiavo mentre prima ero libero.
Tuttavia io vedo la sincerità del vostro consiglio, ed ho fiducia (e sempre l’ho avuta) nella prudenza vostra: cosicché di mia spontanea volontà acconsento ad ammogliarmi, piú presto che sarà possibile. Ma in quanto alla profferta che oggi stesso mi fate di scegliermi la moglie, ve ne dispenso, e pregovi di non darvene pena.
Poiché Dio sa quante volte i figli crescono indegni del padre loro; la bontà è un dono di Dio; e non si eredita da chi ci ha generato e messo al mondo: io ho fiducia nella bontà di Dio, e perciò a lui affido il mio matrimonio, il mio stato, e tutto il resto; sia fatta la sua volontà.
Lasciatemi libero nella scelta della moglie; io solo voglio averne la responsabilità: voi invece, vi prego, assicuratemi, e telo sulla vita vostra, che qualunque sia la donna che io prenderò per moglie, l’amerete, per tutta la sua vita, con le parole e coi fatti, qui e in qualunque luogo, come se fosse la figlia di un imperatore.
E dovete giurarmi inoltre, che non avrete nulla da ridire e da opporre alla mia scelta. Giacché io per contentarvi sacrifico la mia libertà per tutta la mia vita, intendo di sposare quella che al mio cuore piacerà: ove non vogliate accettare queste condizioni, vi prego di non parlarmene più.
Tutti fino ad uno assentirono e giurarono; pregandolo però, prima di tornarsene, a voler fissar loro un giorno determinato, e piú vicino che fosse possibile, dentro il quale si sarebbero celebrate le sue nozze. Poiché altrimenti al popolo resterebbe ancora un po’ di paura, che il marchese non si dovesse risolvere ad ammogliarsi.
Egli fissò loro un giorno, a suo piacimento, nel quale immancabilmente sarebbe andato a nozze, dicendo di volerli anche in questa cosa contentare; ed essi inginocchiatisi pieni di umiltà e di rispetto, lo ringraziarono, e, ottenuto il loro intento, se ne ritornarono a casa.
Il marchese intanto ordina ai suoi funzionari di fare i preparativi per la festa; e ne commette l’incarico a quelli dei suoi piú intimi cavalieri e signori della corte, a cui piú gli piace affidarsi: i quali pronti ad ogni suo comando, mettono tutto il loro impegno per fare onore alla festa.