Cronache savonesi dal 1500 al 1570/Prefazione
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produrre per le stampe le memorie savonesi di Gio: Agostino Abate, che da tempo si credevano smarrite, mi spinge il desiderio d’accrescere alquanto il troppo scarso materiale storico che riguarda il nostro Comune. In queste memorie, aventi forma più di rozza cronaca che di storia, abbraccia l’Abate un periodo di circa 70 anni d’importanza non lieve, come quella che rispecchia in molti particolari interessanti la vita del nostro Comune, in cui dalla maggior sua floridezza decadde a universale sua rovina.
Queste memorie inoltre portano l'impronta di incontestabile verità, perchè narrate da chi fu testimonio e parte dei fatti. In esse l'autore ci fa conoscere il nome di molti cittadini, Prelati, Nobili, Negozianti, Medici, Notari, Artisti, secondo le diverse classi ed arti cui appartenevano. Ci fa noti gli inventari della Masseria del Duomo e della chiesa di N. S. di Misericordia. Ci tramanda la storia dell’Apparizione, enumera gli ospedali, le chiese e le parrocchie; ci dà nota dei Luoghi del Comune e dei rispettivi Logatari, fa un confronto tra la passata ricchezza della città e il misero stato in che giaceva nell'anno 1570 in cui scrive; in una parola, tante sono le particolarità interessanti forniteci da questa cronaca, che essa ci diventa, nonostante la rozzezza della forma, sommamente preziosa.
Interessa anche non poco l’assistere, sia pur per breve, alle vicende cittadine e alle lotte cui fu in preda l’Italia che le nostre causavano, col succedersi di stranieri padroni, chiamati fra noi dalle nostre discordie, fra le quali Genova e Savona trovavano sempre modo e tempo di scindersi in sè stesse e lacerarsi a vicenda. Eppure, quantunque, come scrive Gino Capponi, nobili e popolani, Guelfi e Ghibellini, Adorni e Fregosi combattessero confusamente a pubblico strazio, le interne forze non erano pur anche stremate, che appunto in quegli anni infelici la Liguria produceva le tre nature più vigorose che avesse allora l’Italia, Cristoforo Colombo, Giulio II, Andrea Doria.
E fu in questo fortunoso periodo che Savona, destreggiatasi indarno, fra tanto tramestìo d’armi e di fazioni, a scuotere il giogo della potente rivale, finì col perdere, invece, coll’ultimo avanzo di sua libertà, quello stato di floridezza e potenza a cui s’era levata dopo secoli di virtù e d’energia.
Fu a lei fatale dopo la morte del suo gran Papa, la memorabile giornata di Pavia, nella quale, per la sconfitta delle armi francesi, cui aderiva, cadde senza difesa in piena balia di Genova, la quale, colto il momento propizio, ebbe tutto l’agio d adempiere a suo danno l'antico voto.... Delenda Saona.
Augurando che cosiffatti avvenimenti riescano non pur d’istruzione, ma di utile scuola a’miei concittadini, passo ora a parlare, per quanto la scarsità dei documenti mel permette, della famiglia e della persona del nostro Cronista.
Già sino dal 1376 troviamo la famiglia Abate domiciliata nel borgo di Lavagnola in persona di un Ferrerius Abbas, che possiede terre a Ranco, come da atti del Not. Leonardo Rusca. Numerosi poi in detto borgo sono gli appartenenti a tale casato dal 1400 ad oltre la metà del 1500, come lo provano molti atti notarili, ne’ quali gli Abati sono quasi tutti qualificati come esercenti l’arte dei Berettari. Si trova anche il nome degli Abati dal 1546 al 75 su i Registri di Battesimo della Parrocchia di S. Pietro in Savona, il che proverebbe essere stato molto esteso questo casato. Nel 1504, 24 agosto, in atti di Giacomo Oddino, troviamo Filippo Abate q. Giacomo, avo dell’Agostino, di Lavagnola, cittadino di Savona, che fa testamento in favore dei nipoti figli di Leonardo.
Nel 1520, in atti del Not. Paolo Oddino, abbiamo altro testamento del Leonardo, figlio del Filippo berrettaro e padre del Gio Agostino, che dota in fiorini 800 le figlie Geronima, Luigina e Bianchina, ed instituisce eredi i figli Gio Agostino, Vincenzo e Franceschino. Il Leonardo della sua merce di berrettaro aveva traffici con Roma e Sardegna, come si scorge nell’Elenco degli artisti e negozianti, che ci lasciò suo figlio (ms. p. 80). Arte quella del berrettaro, che in que’ tempi doveva essere lucrosa, poichè nel suo scritto leggiamo che nel breve passaggio di Carlo V: Da vespero fino a note vendete tante berete per 400 ducati d’oro (ms. p. 47).
Il Leonardo, come rileviamo dagli atti degli Anziani esistenti nell’Arch. Comunale, facea parte, come già suo padre Filippo, del Consiglio fra gli artisti. E doveva pur essere influente cittadino, poichè il Doge Antoniotto Adorno cercò attirarlo dalla sua, per valersene nell’impresa che nel 1513 tentò contro Savona rimasta ligia alla lega (ms. p. 36).
Il Verzellino lo dice uomo assai facoltoso, e di certo doveva esserlo, se, come vedemmo più sopra, legava alle tre figlie fiorini 800, oltre a ciò che avrà lasciato ai tre maschi che nomina eredi. Anzi, nel ritenerlo assai agiato ci conferma il fatto che, volendo gli uomini di S. Bernardo erigere una cappella sontuosa e grande ove era apparsa N. S. al Botta, ne chiesero licenza a Bartolomeo Zabrera, allora Vicario Generale del Cardinale Spinola, savonese. Temendo questi non avessero a mancar loro i danari, non accondiscese alla fatta domanda se non quando il Leonardo promise, che, dato venissero meno i mezzi, l'avrebbe esso ultimata del suo. Di ciò si rogò istrumento, come ce ne informa il nostro A. Nel 1536, 6 settembre, come risulta da atto del Not. Antonio Risso, riportato in note inedite dal Pavese, lo vediamo deputato alla fabbrica di detta chiesa, in compagnia di Stefano Rocchetta ed Andrea Corradengo Niella, pagare a Pace Antonio Sormano (fatto cittadino di Savona) che n’era architetto, scudi 26 d’oro del sole.
Come vedemmo dal testamento del Leonardo, Gio Agostino fu uno dei suoi sei figli e nacque il 5 settembre del 1495, come egli stesso scrive nel principio della sua cronaca. Seguì esso pure l’arte paterna di berrettaro, come si rileva dal contesto della sua narrazione, e da atti di compra fatta da lui di terre site in Valle S. Bernardo: terre acquistate da Arbissone Socino, da Marinola e da Battista Botta nell’anno 1553, addì 9 aprile (per strumenti rogati l’istesso giorno dal Not. Antonio Risso) ove l’Agostino è qualificato berrettaro, arte che sembra tradizionale nella famiglia.
Nella fiera pestilenza che nel 1504 incrudelì in Savona, per cui morirono sette mila persone su 25 mila abitanti che, secondo il Verzellino, allora contava la città, mori Filippo avo di Gio Agostino, e suo zio Raffaele.
Egli stesso ci fa sapere che ne fu tocco scrivendo... Ebi due angonagie e uno carbone... e mia madre mai me abandono e per gracia de Dio io scampai... (ms. pag. 29).
Carattere avea energico, e fin da giovinetto prendeva parte attiva alle vicende della patria. Quando i Genovesi nel 1508 mandarono due galeoni in Vado per impedire l’ingresso nel porto di Savona a qualsiasi nave, scrive: e yo ge sono stato in persona a yutali a defendere con la mia balestra (ms. pag. 30).
Ed allorchè nel 1515 i Genovesi cercarono proditoriamente prendere nel porto di Savona un pontone dei cittadini Scarella, scrive: per cio oviare ge era in persona con la mia balestra de eta di ani 20 (ms. p. 33).
Nel 1522 i partigiani degli Adorni lo fecero castellano de lo castelo de Santo Giorgio e con lui entro 50 iovani de Lavagnola (ms. p. 35). Faceva pur parte in questi anni d’una compagnia d’archibusieri che s’era formata tra popolani.
Facilmente si risentiva delle offese e non tollerava mosche al naso, nel 1524, a proposito di un capitano del Borbone, che verso lui trescava più del dovere, scrive: lo mio bastone lo asonse sopra la mano e ge fece molto sfregio (ms. p. 39), ne ancor sembravagli averne avuto completo il fatto suo col condattiero che voleva rifarsene, se a più miti consigli non fosse stato ridotto da certi compaesani di Lavagnola. In altro momento ha che ridire con un suo concittadino di parte Fregosa e la mano corre pronta alla spada. Insomma, era uomo d’azione e lo troviamo tra fazioni partigiano degli Adorni, e attore in difficili contingenze della Comunità.
Era pure versato nell’aritmetica o, come lui scrive, arismetico avendoci lasciato in altro Codice, che pur si conserva nella R. Biblioteca dell’Università di Genova, un trattatello di regole di Aritmetica ed un altro di Geometria. Ha quindi incarico dal Comune, al passaggio di parte dell’esercito del Borbone, di tener conto della presa dei fieni requisiti ai cittadini per esserne poi indennizzati (ms. p. 36).
Egli stesso ci dà notizia d’aver assestati nel 1559, come uno dei maestri razionali, i conti degli estimi pagati dal Comune di Savona a quei proprietari che rimasero danneggiati nella demolizione delle molte fabbriche operatasi, quando dai Genovesi si pose mano a edificare il Castello. Così gran parte della sua vita lo vediamo nel Consiglio degli Anziani, tra gli artisti e tra maestri razionali, cioè nel 1537, 6 gennaio, 1528, 1540, 1545, 1547 e nel 1551, come dal suo racconto e come da atti e deliberazioni nell’Arch. Comunale del secolo XVI. Fu Massaro in delicato momento nel 1542, e nel 1536 viene eletto dal Comune a comporre certe differenze nella Villa di Vezzi. Fu pure delegato alla riparazione del porto: nè v’è anno quasi della sua vita che non si colleghi con quella del Comune. Ignoriamo l’anno di sua morte, ma certo non fu prima del 1571.
Gio: Agostino ebbe due figli: Giuseppe e Paolo (come vediamo in atti del Not. Antonio Tivello 1548, 17 maggio e del Not. Cristoforo Percipiano, Arch. Notarile Comunale). Giuseppe veniva eletto del Consiglio degli Artisti nel 1560, 19 gennaio. Da lui partendo si potrebbe quindi seguire una numerosa discendenza, che esisteva ancora in Savona circa alla fine del 1600.
La famiglia Abate fu ascritta alla nobiltà nell’anno 1606 il 30 giugno, per decreto del Senato di Genova, e primo iscritto vediamo un Leonardo. (Pavese, scritti inediti). Lo stemma era d’argento, alla zanna di leone accostata da tre stelle. Accenneremo infine che nel 1622 da un Alessandro Abate, dottor di leggi e protonotario apostolico, venne locata per anni 9 una casa in via Scarzeria ai Padri Scolopi. Esiste ancora attualmente un vicolo denominato degli Abati, che partendo da detta via Scarzeria costeggiando la casa olim d’Alessandro Abate, ora Assereto, sbocca nell’antica via Cassari, già S. Giuliano.
Tali sono le poche notizie che del nostro cronista e della sua famiglia ci fu dato raccogliere; ora due parole del suo codice che pubblichiamo, e che specialmente tratta delle cose savonesi.
Questo andò smarrito per lungo periodo di anni, assieme ad altro suo manoscritto che ha per titolo Guerre successe dal 1498 al 1567, in cui narra fatti e guerre avvenute in Italia e fuori di essa in quel tratto di tempo. Fu caso che lo rintracciassi nella R. Biblioteca dell’Università di Genova nel 1875, forse prima che lo trovasse a sua volta Achille Neri. Circostanze che qui è inutile ricordare me ne ritardarono la pubblicazione che avevo in animo di fare, e n’ebbe quindi egli il vantaggio di pubblicarne per il primo un breve cenno. Esso per vero dire riusci abbastanza esatto e completo, per cui non credo fare di meglio che valermi in parte dei competenti giudizi e parole sue, per render qui note le vicende subite da questo codice agli studiosi lettori.
Descrittone il formato ed in succinto passato in rassegna quanto contiene, soggiunge il Neri1:
«Prima del secolo XVII non abbiamo trovato alcun riferimento ai manoscritti lasciati dall’Abate. Gli scrittori, e furono parecchi, che dettarono in varie guise la storia dell’apparizione di N. S. della Misericordia, hanno citato come fonte il nostro savonese, ma niuno ci lasciò indicazione di sorta sopra i codici donde venivano tratte quelle notizie. Gian Vincenzo Verzellino reca pur egli il nome dell’Abate fra gli autori da lui esaminati per la sua compilazione storica, ma è a credere vedesse soltanto il primo dei manoscritti, perchè nell’anno 1567 ha registrato questa memoria.... Gio Agostino Abate notò le guerre del 1498 sino al 1567 assai diligentemente2, parte delle quali egli stesso vide... compose ancora un libro d’Aritmetica e di Geometria... le quali cose sono presso Alessandro Abate, dott. di legge...».
«Non v’ha dubbio (continua il Neri), ci sembra che qui si accenni precisamente alla materia contenuta nel primo dei nostri manoscritti, l’ altro dobbiamo credere non fosse in potere di Alessandro, nipote e non figlio dello scrittore.»
Va errato in tale giudizio il Neri; o la sua disamina si è arrestata alle sole date del codice che accenna il Verzellino, o ben non ricorda questo storico, oppure sfuggirono a lui, diligente e dotto bibliografo, i molti tratti in cui manifestamente si vede che il Verzellino attinse proprio da questo codice dell’Abate che pubblichiamo: come in quel punto in cui scrive delle fanterie dello Streletino cap. di Antonio Trivulzio, che nel 1513 voleva riparare in Savona: e l’altro in cui il Verzellino accenna a Giovanni Assatore da Savona che voleva condurre in città 1500 fanti. Così pure quando Leonardo Abate (padre del nostro cronista) preparò un convito a 300 partigiani dei Fregosi (Verz. T. I, p. 424). Ed ove parla del convegno in Savona del Re d’Aragona con Lodovico Re di Francia (Verz. T. I pag. 411). Infine, ove narra il miracolo del SS. Sacramento, a conferma del quale ricorda per l'appunto il nostro cronista (Verz. T. I, pag. 437).
Ci sembra non occorra andare più oltre nelle citazioni per provare che il Verzellino conosceva il manoscritto che presentiamo ai nostri lettori.
Ammette poi che questo conoscesse il Monti, però ancora con qualche riserva, soggiungendo il Neri... il testo che ebbe dinanzi apparisce di una redazione più ampia di quella data dal nostro autografo... e ne conclude col dubbio che il Monti possa avere consultato altro codice più ampio e diverso dal nostro, poichè soggiunge... comincia (il Monti) a citare fra gli altri l’Abate all’anno 1410 e seguita fino al 1581.
Noi per altro non condividiamo questo dubbio, poichè a nostro avviso non v’era proprio bisogno di un terzo manoscritto del nostro cronista, a ripetere per la terza volta ciò che scrive in questo codice, e che in parte ridice nell’altro; ed anche perchè non crediamo si abbia voglia a scrivere cronache a 86 anni, poichè tanti ne avrebbe avuti l’Abate nel 1581 ammesso che l’abbia vissuti.
Al supposto poi che il Monti, invece che del codice dell’Abate, siasi servito di un manoscritto più ampio di un qualche anonimo, si potrebbe pur contrapporre il dubbio che le date siano un’aggiunta dell’amanuense, e ciò sarebbe avvalorato dal non vederle ripetute dal Monti nell’opera stampata.
«Sullo aprirsi del secolo XVIII (continua il Neri) il notaro Filippo Alberto Pollero ebbe senza dubbio nelle mani il nostro secondo manoscritto, e ne trasse copia della speciale scrittura che narra l’Apparizione della Madonna.... »
«Sulle vicende dei due codici ben poco sappiamo. Per testimonianza del Verzellino, come si è veduto, un d’essi sull’inizio del seicento era in casa di Alessandro Abate, più tardi si veggono tutti e due in potere di Gio Agostino Gavotto. Quindi ne perdiamo la traccia, e neppure ci è dato conoscere con sicurezza come sieno entrati nella Biblioteca Universitaria di Genova. Non vi erano ancora nel 1855, quando l’Olivieri pubblicò la sua descrizione de’ manoscritti liguri. Caduti in mano di qualche malaccorto impiegato, non seppe rilevarne il contenuto, e li registrò con un titolo erroneo, onde sfuggirono alle ricerche degli studiosi, specie savonesi, che li stimarono smarriti.»
Ci spiace dissentire pur in quest’ultimo giudizio del dotto bibliografo Achille Neri, ma il G. B. Belloro lo conosceva di certo, poichè, oltre al risultare da parecchi tratti di sue schede inedite, ne riporta pure un brano scrivendo della distruzione del porto di Savona, nel Giornale Espero, però, come è costume del Belloro, non ne cita l’autore.
Soddisfatto ora, per quanto mi fu possibile, al modesto compito che mi ero proposto nel presentare al pubblico il nostro Cronista, è tempo ch’ io deponga la penna, per appagare la giusta curiosità del lettore, d’intrattenersi piacevolmente non meno che utilmente coll’ingenuo e disadorno suo racconto.
- ↑ V Achille Neri, studi biografici e letterari. Genova, Tip. Istituto Sordo-Muti 1890.
- ↑ Verzellino, Vol. II p. 81, dice assai curiosamente.