Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro IV/Capitolo IV

Capitolo IV

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CAPITOLO QUARTO

Gl’indigeni attaccano il campo spagnuolo. — Coraggio dell’Adelantado e di Diego Mendez. — La scialuppa della Capitana è presa dagl’Indiani, che ne trucidano l’equipaggio — La violenza del mare impedisce all’Ammiraglio di soccorrerlo. — Afflizione estrema di Colombo — Visione e consolazione miracolosa. — L’Adelantado e la sua schiera raggiungono le Caravelle. — Partenza per la Spagnuola. — Le navi a mezzo sommerse sono spinte sulla Giamaica, ove si arenano volontariamente nella magnifica baia di Santa Gloria.

§ I.

Il 6 aprile, mentre l’Ammiraglio si apparecchiava alla partenza, sessanta uomini circa della piccola guarnigione erano andati colla scialuppa del Galiziano alle caravelle per dar gli ultimi saluti ai loro compagni. Colombo comandò di rinnovar l’acqua e di raccogliere legne. Il gran canotto della Capitana partì sotto gli ordini del capitano Diego tristan. Tre marinai, Pedro Rodriguez, Pietro Inaga, Gonzalo Rodriguez e due mozzi, Juan de Miranda e Alonzo, famiglio del piloto Juan Sanchez, tenevano i remi. Il mastro bottaio di Siviglia, Juan Noya, assistito dai due mastri impeciatori, Domenico Darana e Domenico il Biscaglino, dovevano empiere le botti, e provvedere ai casi impensati. Due altri marinai e il mastro cannoniere erano i soli armati. Mentre la scialuppa andava alla volta dell’imboccatura del fiume, che doveva risalire sin dove l’acqua sarebbe stata trovata potabile, i venti uomini rimasti coll’Adelantado si trovavano dispersi, gli uni sulla riva del fiume, gli altri con Diego Mendez in mezzo alle baracche.

Quibian profittando della momentanea diminuzione della guarnigione, fece circondare dagli Indiani il campo spagnuolo. Erano più di quattrocento, armati di frecce e clave. «Tutto ad un tratto levarono un alto grido, poi un altro, e in breve un terzo. Per buona ventura queste grida diedero ai Castigliani il tempo di armarsi L’attacco cominciò con un nugolo di frecce e di dardi [p. 198 modifica]Sulle prime, cinque o sei Spagnuoli caddero feriti presso le baracche, e il contro-mastro del Galiziano, Alonzo Rancon, ne morì. Incuorati da quel fortunato principio, i più prodi Indiani, avendo a vile i giavellotti, irruppero colle loro clave su quel pugno di stranieri di cui ignoravano il valore. «Ma nessuno di questi ritornava indietro, dice un attor principale di quel fatto, perchè colle nostre spade li ferivamo nelle braccia e nelle gambe, egli uccidevamo ov’erano1.» Diciannove guerrieri caddero così in mezzo agli Spagnuoli. Una tale perdita gettò lo spavento nella schiera, che l’Adelantado, armato di una lancia inseguiva, quantunque ferito da un giavelotto. Gl’indigeni si ritrassero a’ boschi, donde scagliavano impunemente le loro frecce. I marinai Bartolomeo Garcia, Giuliano Martin, Juan Rodriguez, i mozzi Donis, Bartolomeo Ramirez, Alonzo de la Calle, Juan Badronij, trovandosi fuor di combattimento per le tocche ferite, la maggior parte mortali, lo stuolo era ridotto a tredici uomini. L’Adelantado incoraggiava quel drappello di prodi: v’ebbe un d’essi che preso da spavento, abbandono il suo posto e diessi a fuggire. Diego Mendez lo chiamò, comandandogli di tornare indietro, ma invano: il fuggiasco rispose, correndo sempre, che voleva salvare la vita2.

In quel mentre, la scialuppa della Capitana giunse davanti la scena del combattimento. Tutti gli Spagnuoli imploravano il suo soccorso. Ma Diego Tristan, ligio alla sua consegna, non volle accostarsi: temeva che i suoi compatriotti, gettandosi d’un tratto nella scialuppa, ove le botti non erano ben allogate, la facessero affondare, il quale accidente avrebbe potuto forse cagionar la rovina dell’Ammiraglio. Egli ebbe il coraggio di resistere alle preghiere3 della maestranza, e di rimanere spettatore del [p. 199 modifica]battimento che ricominciava. Gl’Indiani erano di bel nuovo usciti dai boschi, e sta volta si tenevano sicuri di sterminare fin l’ultimo di quegli stranieri: ma i Castigliani, infiammati dall’Adelantado e da Diego Mendez, li cacciarono con tal vigore, che fuggirono a’ loro ripari e non rinnovarono attacchi in quella giornata. Quel combattimento era durato tre ore.

L’Adelantado si occupò della sua ferita solamente dopo la zuffa e la fuga del nemico.

Diego Mendez, che conosceva le astuzie degl’Indiani prevenne il capitano Diego Tristan del pericolo che correva risalendo il fiume mentre i nemici tuttavia riuniti e nascosi fra’ cespugli della riva, spiavano i suoi movimenti, e potevano improvvisamente circondarlo colla loro fiottiglia di canotti: checchè fosse per avvenirne Tristan volle eseguir gli ordini ricevuti, e continuò a risalire il fiume sino ad un luogo in cui l’acqua era divenuta tale da potersene far provvigione. Alberi giganteschi delle due sponde stendevano lor tronchi gli uni verso gli altri, come se cercassero di intrecciare i rami. Mentre gli Spagnuoli si disponevano a sbarcare, un suono di buccine si fece udire nel profondo dei boschi.

ln breve da tutte le sinuosità del fiume furono visti distaccarsi canotti, fin allora nascosi sotto cespugli, montati ciascuno da tre Indiani, provveduti d’archi e di giavelotti. In pochi istanti la scialuppa si trovò circondata. I dardi partivano alla scoperta dai canotti, o piovevano da mezzo le piante della riva. Gli Spagnuoli furono quasi tutti feriti al tempo stesso. La scialuppa non aveva che tre uomini armati. Questo improvviso attacco, le grida orribili e il numero grande dei nemici parve rendesse inutile ogni resistenza. Diego Tristan mostrava una calma eroica, quantunque ferito: un giavellotto lo colpì nell’occhio destro e cadde morto. Il capo bottaio Juan Noya, ferito sul bordo della scialuppa, si lasciò cader nel fiume; nuotando sott’acqua giunse a fuggire, e tornò al campo Spagnuolo, nunzio del disastro. Il suo racconto vi gettò la costernazione. Vedendosi i Castigliani [p. 200 modifica]ridotti a sì picciol numero, quasi tutti feriti e attorniati da selvaggi implacabili, corsero precipitosi alla caravella, e vollero fuggire senza dir nulla all’Adelantado, che sapevano inflessibile: ma l’acqua non era abbastanza alta; non poterono trarre dal fiume il Galiziano, e furono costretti di ricondursi al loro pericoloso posto.

A sera., la scialuppa del Galiziano rientrò cogli uomini che erano andati a far gli ultimi saluti alle caravelle. La mattina seguente, tentarono di andare colla scialuppa a chiedere soccorsi all’Ammiraglio; ma la violenza del mare gl’ìmpedì di valicare l’imboccatura. Per colmo di afflizione, la corrente del fiume portò sotto i lor occhi i cadaveri de’ compagni, che i selvaggi avevano crudelmente mutilati. Attirati dalla putrefazione precoce in quel clima, corvi voraci, e puzzolenti avvoltoi conficcavano i loro artigli su quegli avanzi sfigurati, li laceravano battendo le ali, e mettendo strida di gioia durante l’orribile pasto.

Esaltati dalla presa della scialuppa, gli Indiani ricominciarono l’attacco del campo spagnuolo. La fitta vegetazione che lo attorniava permetteva loro di avvicinarsi senza essere veduti: provocavano gli assediati coi loro corni, i loro tamburi di legno e le loro grida feroci; tenevanli continuamente all’erta affine di stancarli e rifinirli. Per rimediare a tale inconveniente l’Adelantado stabilì il posto sopra un altipiano scoperto, ove con tavole, terra e botti elevò una specie di ridotto. Nel mezzo furono poste le provvigioni e le munizioni da guerra. Due piccoli cannoni in buono stato vennero collocati a difesa dei punti più esposti, e alcune scariche mantennero il nemico a distanza. Nondimeno gli Spagnuoli si trovavano bloccati.


§ II.


Dal canto suo l’Ammiraglio era immerso in mortali angosce. Da dieci giorni aspettava il ritorno della scialuppa, e nessuno appariva: temendo di qualche sciagura, aveva più volte mandato un canotto a ricercarne: ma sempre la violenza delle onde [p. 201 modifica]contrarie aveva impedito il corso al canotto, il quale non era tornato alla Capitana se non correndo un gran pericolo.

Colombo, quantunque non avesse notizia nè della scialuppa ne del campo, pure sperava che gli indigeni non attaccherebbero lo stabilimento a motivo dei cinquanta prigionieri tenuti in ostaggio sul San Giacomo di Palos: ogni sera facea serrare gli Indiani al sicuro, e per giunta di precauzioni, alcuni marinai dormivano sul coperchio, il quale era tanto alto che i prigionieri non potevano aggiugnervi. Una sera, invece di affrancar la catena e chiudere i catenacci, i marinai si contentarono di apprestare il loro letto sulla tolda.

Avvertita dagl’Indiani questa dimenticanza, sovrapposero in silenzio le une sulle altre le pietre che servivano di zavorra, vi salirono sopra, giunsero così all’altezza del coperchio, e ad un segnale convenuto, con uno sforzo simultaneo delle spalle, lo sollevarono improvvisamente, rovesciarono i marinai che vi si.trovavano addormentati sopra, e la maggior parte ebbero il tempo di gettarsi in mare, prima che, riavutisi dalla sorpresa, avessero chiamato gente in aiuto. Gli Indiani che non avevano potuto fuggire per primi, vennero respinti abbasso; e sta volta gli ufficiali chiuser essi il catenaccio. Quando la dimane venne aperta la porta per dar la razione ai prigionieri, non se ne trovò più vivo nessuno: si erano strangolati per la disperazione; con alcuni pezzi di corda, che avevano quivi trovati.

Questo suicidio in massa diffuse orrore nelle ciurme; e crebbe, per l’avvenuta fuga, l’inquietudine generale: si temette che gl’Indiani scampati dal San Giacomo di Palos non avessero fatto assalire lo stabilimento spagnuolo. L’esempio degli Indiani che avevano affrontato i flutti suscitò l’ardore di alcuni marinai.

Il primo marinaro della Biscaglina, Pedro de Ledesma, del porto di Siviglia, si offri d’andare a terra, se l’Ammiraglio lo faceva condurre in canotto sino accosto alla riva: giunto inaspettatamente allo stabilimento Spagnuolo, fuvvi accolto con gioia a guisa di un liberatore: parteciparongli lo scontro funesto del 6 aprile, la sorte del capitano Diego Tristan, la distruzione della scialuppa e degli uomini che la montavano: vide Juan Noya, suo compatriotta, il solo che si fosse salvato da quel disastro: [p. 202 modifica]tutti lo incaricarono di supplicar l’Ammiraglio che li conducesse seco, prendendo Dio in testimonio, che se gli abbandonava su quella maledetta costa, s’imbarcherebbero sul Galiziano, e si abbandonerebbero alla mercè de’ flutti, piuttosto che cader vivi nelle mani de’ selvaggi, che riserbavano loro spaventevoli supplizi.

Pedro de Ledesma ripartì incaricato del messaggio verbale dell’Adelantado: egli raggiunse il canotto, e dall’Ammiraglio, a premio del suo coraggio, fu creato ufficiale4.


§ III.


La relazione di Pedro de Ledesma gettò Colombo in una spaventevole perplessità: sapeva esposti a gran pericolo gli uomini che stavano a terra, e non aveva modo da soccorrerli: sapeva esser quivi suo fratello ferito, alla testa d’una schiera dimezzata, disperata, attorniata da una moltitudine di selvaggi furibondi. Le tre caravelle mal si reggevano sulle loro ancore: logore e facendo acqua per tutte le commessure, mal avrebbero potuto sostenere un nuovo assalto della tempesta. Gli equipaggi si abbandonavano alle loro sinistre apprensioni: quanto a lui, al parossismo de’ suoi dolori si aggiungeva una febbre ardente: mare e cielo persistevano nella loro inclemenza: ei non si vedeva attorno che angosce e mestizia.

In questa cupa desolazione, Cristoforo Colombo si sforzò di [p. 203 modifica]salire sull’albero maestro, per esplorare se da lungi apparisse qualche segno salutare: si volse ai quattro punti dell’orizzonte chiamando i venti a suo soccorso: solo rispose alla sua voce la lugubre ondulazione del mare: allora cedendo all’oppressione della sua tristezza, si lasciò andar prosteso appiè dell’albero, come già il Profeta caduto sotto il ginepraio del deserto, e che, coll’anima oppressa, chiedeva al Signore di ritirarlo da questo mondo. Tuttavia Colombo non mormorò, e non espresse alcun desiderio. La sua oppressione era troppo grande per espandersi in parole: mise gemiti interni e per una transizione insensibile fe’ passaggio dalla veglia al sonno, senza che il suo pensiero si assopisse per questo. L’afflizione assediavagli l’anima addormentata, lorchè gli si fece udire una voce compassionevole, di cui ci proveremo riprodurre le parole con fedeltà scrupolosa, quantunque disperiamo rendere nel nostro idioma l’espressione altera e la grandezza natia del laconismo Spagnuolo5. [p. 204 modifica]

Quella voce diceva a Colombo:

«O stolto! o lento a credere, e a servire il tuo Dio, il Dio di tutti gli uomini! Che fec’egli di più per Mosè e per Davide, suo servo? Fino dal tuo nascere t’ebbe in cura; quando ti vide giunto all’età rispondente a’ suoi disegni, fe’ maravigliosamente risuonare il tuo nome sulla terra. Ti ha date le Indie, acciò le distribuissi a piacer tuo: ti affidò le chiavi delle barriere del mare Oceano, chiuse sino allora da catene infrangibili! ti obbediscon contrade immense, e acquistasti una rinomanza gloriosa fra’ cristiani! Che fec’Egli di più pel popolo d’Israele, lorchè lo trasse dall’Egitto? e per lo stesso Davide, che da semplice pastore divenne potente re? Rientra in te; riconosci il tuo errore: la misericordia di Dio è infinita: la tua vecchiezza non farà ostacolo alle grandi cose che tu devi compiere. Non aveva Abramo più di cent’anni quando genero Isacco? E Sara stessa era giovane? Tu riclami soccorsi incerti: rispondi; chi ti ha tanto e così spesso tribolato? Dio od il mondo? Dio mantiene i privilegi che ha conceduti e non fallisce mai alle sue promesse: reso che gli fu il servizio, non dice che vennero disconosciute le sue intenzioni, e che lo voleva in altro modo; non martoria affine di provare la sua potenza: ciò che promette, dà, ed anche di più. Non è forse questa la sua consuetudine? Ecco ciò che il tuo Creatore ha fatto per te, ciò che farà per tutti: or di’ qual mercede conseguisti delle fatiche e de’ pericoli che hai sostenuto servendo gli altri.»

«Io era, dice Colombo, come mezzo morto, udendo tutto questo; ma non seppi trovare rtsposta a parole sì vere; non potei che piangere i miei errori. Quei che mi parlava, chiunque fosse, terminò dicendo — non temere; rincuórati: tutte [p. 205 modifica]queste tribolazioni rimangono scolpite sul marmo, e non senza ragione6.

Qua ci fermiamo.

Trascrivendo quest’espressioni ripetute dal medesimo Colombo colla sua stupenda ingenuità andiamo compresi da un indefinibile rispetto. Nel buio di questa visione brilla un riflesso dall’Orebbe e dal Sinai; crediamo di udire il monologo misterioso che giustificava la Provvidenza agli occhi del suo inviato. Il racconto di questa consolazione celeste intessuto d’interrogazioni, e scovrente i più intimi segreti del cuore, è superiore a qualsia moderna creazion letteraria: bisogna rimontare ai cedri del Libano, alle palme de’ Profeti, alle rive del Giordano per ritrovare una eloquenza così traboccante di forza e di grandezza. Si può egli concepire linguaggio di una elevazione più solenne, di una semplicità più maestosa? diremmo volentieri con Villemain: «bisogna chiudere il secolo decimoquinto con questa visione sublime, alla qual niente manca, nè il genio, nè l’entusiasmo, nè la sciagura di un grande uomo7

Quantunque ella riconosca l’elevazione e la poesia di queste inimitabili linee, la scuola protestante vuol intravvedervi l’opera dell’astuzia, o l’effetto di un delirio febbrile; sospetta la sincerità della visione, e riduce il racconto dell’Ammiraglio ad un componimento abilmente concepito, per dar una lezione indiretta al re Ferdinando, che violava i suoi obblighi verso di lui.

La nostra penna non si abbasserà a discutere questa odiosa imputazione: un fatto solo basterà a distruggerla.

Vi ha tanto men fondamento a vedere in ciò una lezione indiretta data ai Sovrani di Castiglia, che nella lettera medesima in cui riferisce questa visione, Cristoforo Colombo non usa alcuna figura per ricordare ai Re cattolici la maniera oltraggiosa e insieme ingiusta con cui fu spogliato del suo governo, per [p. 206 modifica]dimandare di essere rimesso ne’ suoi poteri, nelle sue dignità, nei suoi onori, e per chiedere qual compimento di giustizia, il castigo de’ suoi nemici.

Non vi ha qui, nè allusione astuta, nè mezzo indiretto; le vie oblique non piacquero mai a Colombo; l’apologo e la finzione non gli furono familiari.

Inoltre, quando mai la dissimulazione e l’impostura ispirarono il sublime? Unqua fu vista simile grandezza d’imagini vestire la menzogna e assicurarle gli omaggi e lo stupore dell’ammirazione? Chi può dubitare della realtà di questa visione, se non coloro che radicalmente negano il sopranaturale? Ciechi infelici, privi dello sguardo interiore, e manchevoli del senso religioso, ch’è l’essenza della ragione umana! Chiunque ammette la Rivelazione, e crede alle apparizioni di cui furono favoriti i Patriarchi, all’ispirazione de’ Profeti, agli invisibili conforti dei Martiri, ai prodigi operati dai Santi, non esiterà. ad ammettere la visione raccontata da Cristoforo Colombo, nè dubiterà di quelle sue parole che ben si ponno riferire ma non inventare.

Lasciando anche da parte l’intervento divino, e la realtà della voce che Colombo udiva durante l’infuriare della tempesta, gl’increduli non hanno ragione di mettere in forse la rettitudine dell’Ammiraglio: perocchè evidentemente, nel sonno di quella luminosa intelligenza, il pensiero cristiano colla sua forma biblica d’imagini, doveva sussistere. Colombo rimaneva lo stesso non ostantechè sopito; se quella visione non fu che un sogno assumette proporzioni convenienti all’anima del rivelatore del Globo, sublime come il suo genio, nobile come le sue intenzioni. Durante quella luminosa visione, il messaggero della croce udì parole degne dell’anima sua, capaci di rialzare il suo cuore abbattuto e di rimanere perpetuamente impresse nella sua memoria.

Ciò che racconta Colombo avvenne mentre dormiva: non fu neppure precisamente una visione come quella del padre dei credenti o d’Israele, avo delle dodici tribù; e neppure un vento pari a quello che soffiò sul Profeta della desolazione; era una voce: Cristoforo Colombo non riferisce ciò che ha sentito, o ciò che ha veduto, ma semplicemente ciò che ha udito fides ex auditu. [p. 207 modifica]

Donde veniva quella voce e di chi era? il servo di Dio nol dice, certamente per modestia cristiana: non espone il fatto che con un riserbo pieno di rispettosa gratitudine; e senza designare la qualità dell’Essere pietoso che lo consolava, si ristringe a dire: — quello che mi parlava chiunque si fosse — testualmente: quien quiera que fuese.

In presenza di quello che gli ricordava le munilicenze provvidenziali, la predilezione celeste, di cui era oggetto, e la bontà gratuita del Creatore, che non gli era debitore di nulla, a riscontro della ingratitudine di quelli che andavano a lui di tanto debitori, Colombo giacque poco meno che annichilito: confessa ch’era inetto a rispondere: non potè che piangere i suoi errori. Allora, come avviene ai giusti nelle lor estasi, con tremore ed amore lamentò la propria debolezza, e le proprie imperfezioni, che chiama suoi errori: avrebbe voluto essere puro come la luce per sentirsi meno indegno del sole di Giustizia. Nel suo laconismo si legge chiaro il suo pensiero. Ogni spirito addentrato negli studi psicologici riconoscerà qui la forza sperimentale del vero, e troverà nelle parole di Colombo un criterio infallibile di sincerità.

Sicuramente gli aggiramenti dell’astuzia, dell’ambizione scaduta non avrebbero nè trovata questa imagine, nè inventata questa sensazione dell’anima cristiana sotto il peso glorioso e formidabile di un favore celeste: son idee fuor dell’ordine della composizione diplomatica: le vendette cortigiane, per quanto siano fine non procedono a questo modo.

Ripigliamo il racconto.

Quando Colombo usci dal suo stato di oppressione, si sentì fortificato. Ma le circostanze non mutavano. Per nove giorni fu di nuovo provata la sua costanza. Finalmente il mare quietò. Durante quel tempo il fedele Diego Mendez nella sua qualità di capo segretario della flotta, e di commissario della marina, aveva combinato i mezzi di raggiungere al più presto l’Ammiraglio, sacrificando quanto meno oggetti era possibile: spese quattro giorni a far colle vele inutili del Galiziano sacchi, ne’ quali chiuse il biscotto che rimaneva: indi, attaccò due canotti [p. 208 modifica]indiani, l’uno all’altro fortemente, costrusse con tavole un cassero, su cui imbarcò la polvere, il biscotto, gli utensili, gli oggetti di cambio, fece con corde affrancare barili d’olio, di vino, di aceto; e appena il mare diventò quieto, il canotto del Galiziano, condotto dai migliori rematori rimorchiò questa zattera e la condusse alle caravelle: poscia, tornò successivamente a cercare quant’altro poteva essere imbarcato. In sette viaggi ogni cosa fu trasportata.

Diego Mendez ebbe il coraggio di rimaner ultimo a terra con cinque uomini, a vigilare, perchè nulla andasse perduto. Era stato cavato dal Galiziano tutto ciò che poteva riuscir utile: il corpo della nave, traforato e aperto da tutti i lati, fu abbandonato. I reduci furono con gioia incredibile accolti dai compagni che li aveano creduti morti. L’Ammiraglio, pieno di affezione pe’ suoi servi e di attaccamento verso chi faceva il proprio dovere, ringraziò pubblicamente Diego Mendez; e durante la sua allocuzione lo abbracciò cordialmente più volte e lo baciò sulle due gote8: lo nominò suo capitano di padiglione, gli diede il comando della Capitana e godette in moltiplicare i segni della confidenza di cui l’onorava.


§ IV.


Verso il cadere dell’aprile, nella notte del santo giorno di Pasqua, l’Ammiraglio in nome della Santa Trinità, diede l’ordine della partenza.

Le tre caravelle spiegarono le logore vele, e si drizzarono all’Hispaniola, ove importava di andare il più presto per raddobbarsi e vettovagliarsi. [p. 209 modifica]

Il continuo mal tempo, quell’incredibile successione di tempeste, oltre che logorare le forze de’ marinai, atterriva la loro imaginazione: i piloti non trovavano più alcuna spiegazione a que’ rigori dell’atmosfera: gli equipaggi erano persuasi che i maghi della costa si erano valsi della lor arte tenebrosa per fuorviare le loro navi e farle perire. D’altra parte, gli abitatori delle contrade visitate dalle caravelle attribuivano al sopravvenire di quegli sconosciuti i disordini dell’aria e siffatti strani sconvolgimenti: avrebbero dato quanto possedevano al mondo, perchè quegli stranieri non si avessero a fermare9. Colombo intravvedeva nell’accanimento inudito degli elementi congiurati contro le sue caravelle, un supremo sforzo del nemico del bene per opporsi all’adempimento de’ suoi voti.

Non si può negare che questo viaggio intrapreso affine di aprire il passo alla Croce sull’immensità dell’Oceano, e ricondurla in Europa a traverso la circumnavigazione del globo, non abbia incontrato nei venti, nei flutti, nelle meteore acquee ed ignee, una opposizione violenta e insieme eccezionale; e che l’ostinazione della lotta di Colombo non sia il più grande esempio della costanza umana contro forze che sopravanzavano cosi terribilmente i mezzi dell’umanità. I più vecchi marinai non avevano mai udito parlare di siffatti pericoli di mare; le caravelle non avevano sperimentato mai onde così potenti e sostenuti sì frequenti assalti. Non si era peranco veduta simile ostinazione nel furor dell’Oceano. Il segreto nemico di Colombo, il notaro Diego de Porras, che nella sua relazione tentava dissimulare le difficoltà di quella navigazione, affine di mostrare che le disposizioni prese dall’Ammiraglio erano l’effetto di un puro capriccio, è costretto confessare che si provarono quell’anno contrarietà straordinarie10. Queste inclemenze [p. 210 modifica]dell’aria, questa vera ostilità degli elementi avevano sorpreso grandemente il giovane Fernando Colombo, quantunque mostrasse gran coraggio, per non crescere le angosce del padre. E poscia ch’ebbe più volte traversato l’Atlantico, quando scrisse la sua storia, avendo l’esperienza di trent’anni modificato le sue idee cosmografiche, ciò che aveva veduto, e ciò che aveva patito in quella campagna parevagli cosa sovrumana: diffidò de’ suoi ricordi scritti, temendo l’esagerazioni di una imaginazione adolescente; e per sicurare la fedeltà della sua storia consultò la relazione di un ufficiale con cui aveva navigato, l’onorevole Diego Mendez11; e trovò in essa la giustificazione di quelle sue impressioni.

Ci aveva qualche cosa d’insolito, di formidabile e di aggressivo nel carattere di quegli sconvolgimenti dell’aria, di que’ furori oceanici, di quelle variazioni di venti incessanti, però sempre contrari a Colombo, e che lo impedivano così dall’andare avanti, come dal tornare indietro lungo le coste. Tali contrarietà sembravano realmente combinate per costringerlo a guadagnare il largo, e ad allontanarsi per sempre dal Nuovo Mondo. Lo storiografo regio Herrera, fu anch’esso sorpreso da siffatta rabbia inudita negli annali del mare, vera ribellione dell’Oceano, «perocchè, dice, lorchè uscivano da un porto, pareva che i venti secondasserli per indi a poco a poco attaccarli con ogni lor posa sospingendoli ora verso oriente, e subito dopo verso ponente, e in tante guise e così sovente, che l’Ammiraglio e tutti quelli che erano con lui non sapevano qual partito prendere12.» È di fatto che d’allora in poi nessuna esplorazione marittima sul rimanente del globo, nessun viaggio posteriore in quelle parti fu mai più provato in così crudele maniera. [p. 211 modifica]

Le navi, facevano acqua: le provvigioni erano guaste: tuttavia Colombo, non potendo rassegnarsi all’idea che lo stretto non esistesse in quelle parti, voleva continuare a cercarlo; e, nonostante l’avviso contrario dei piloti, e lo spavento degli equipaggi, si volse all’est invece di andare al nord. Siccome le contese degli ufficiali sulla strada seguita, e su quella da seguire, che ciascuno stimava secondo le carte che aveva fatte, potevano suscitar gravi disordini, con quella superiorità ch’era in lui, di comando nota e temuta, s’impadronì delle carte dei piloti, e impose a tutti silenzio13. Corse trenta leghe, le vie d’acqua della Biscaglina chiarironsi tanto considerevoli che bisognò abbandonarla. Il suo equipaggio fu scompartito fra la Capitana e il San Giacomo di Palos. L’Ammiraglio continuò la medesima via; passò all’altezza del porto Del Retrete, indi traversò il gruppo delle isole Barbes, appartenenti al cacico Pecorosa: si accostò di nuovo alla terra, valico il Capo San Biagio, e si avanzò dieci leghe all’ovest.

Avvezzo alle bontà della Provvidenza, che lo aveva le tante volte sostenuto e preservato, l’Ammiraglio continuava la sua esplorazione con navi logore e quasi senza viveri. ll primo maggio i piloti, giustamente spaventati, gli dipinsero lo stato delle navi e l’indebolimento degli equipaggi, rifiniti dalle privazioni e dalle fatiche. Colombo navigo allora direttamente al nord. Per due giorni ebbe buon vento. I suoi ufficiali temevano di essere stati spinti all’est dell’Arcipelago Caraiba, mentre per lo [p. 212 modifica]contrario l’Ammiraglio temeva di essere stato trascinato all’ovest del Capo San Michele, cosa che di fatto er’avvenuta14.

Il 2 maggio, l’Ammiraglio giunse a due isole coperte di tartarughe, e le chiamò con questo nome. Le correnti e i venti contrari li sospinsero di nuovo in mezzo ai bassi fondi dei Giardini della Regina, nonostante gli sforzi per evitarli. L’impetuosità del mare lo costrinse d’indietreggiare. Le provvigioni erano quasi esaurite. Non rimaneva altro più che un po’ di biscotto, d’aglio, d’olio, di aceto, e l’acqua entrava da tutte le parti: bisognava dar mano alle pompe notte e giorno.

In questa trista situazione una tempesta lo assalì.

L’Ammiraglio perdette successivamente in brevi ore tre ancore. A mezzanotte le gomene del San Giacomo di Palos furono spezzate, e la caravella venne a dar di cozzo con tanta violenza nella Capitana, che le fracassò la poppa. «È una maraviglia che ambedue non sieno ite in pezzi15.» Il mare continuò nemico sei giorni, in capo ai quali l’Ammiraglio ripigliò la sua via. «Io aveva già perduto, dice, tutti gli oggetti dell’alberatura, le mie navi erano traforate come un faro d’api.» Giunse a Macaca, sulla costa di Cuba, per riposarsi e procacciarsi qualche vettovaglia: di là si drizzò alla Spagnuola; ma l’impulso delle correnti e dei venti lo gettarono molto al di sotto. L’acqua entrava per tanti buchi, che, non ostante il lavoro di tre pompe, delle caldaie ed altro, mal si riusciva a liberarne le navi16.

La tempesta ricominciò. [p. 213 modifica]

Il San Giacomo di Palos fu costretto di gettarsi incontanente in un porto. La Capitana volle tenere il mare non ostante la procella. Nella notte l’acqua montava sì alto che fu presso a sommergersi: «non sapevano a qual Santo dedicarsi. La loro forza, la loro industria non potevano vincere l’acqua, quantunque lavorassero incessantemente colle pompe. Già l’acqua toccava il cassero17,» è l’Ammiraglio che lo dice, «la mia nave era lì lì per affondare, quando nostro Signore mi condusse miracolosamente a terra18

Il 25 giugno, sull’alba, la Capitana, seguita dal San Giacomo di Palos, fu spinta sulla costa nord della Giamaica, in un porto ben riparato, ma disabitato, e privo d’acqua dolce. Era la vigilia della festa di san Giovanni Battista. Gli equipaggi la celebrarono seguendo forzati l’esempio di questo predicatore del digiuno.

La dimane, durando fatiche e pericoli inesprimibili fu cercato un asilo più all’est. L’Ammiraglio riconobbe verso il mezzo della parte nord dell’isola19, la magnifica baia da lui veduta quando scoprì la Giamaica, ancoraggio comodo e sicuro, circondato da vaghezze che rapivano lo sguardo, e che, nella prima impressione della sua ammirazione aveva chiamato Santa Gloria20, perchè l’armonia delle opere del Verbo Creatore ivi si spiegava con indicibile magnificenza, e perchè l’anima religiosa di Colombo gustava in siffatta contemplazione una felicità il cui rapimento parevale un’imagine di quello degli eletti.

Questa terra così graziosamente ospitaliera era molto popolata e abbondevole di ogni cosa necessaria alla vita. Ne l’Ammiraglio fu il solo a riconoscere la bontà di Dio: il suo capitano di [p. 214 modifica]padiglione, il prò Diego Mendez considerò questo avvenimento come un atto della misericordia divina. Nel riferire questo approdo alla Giamaica, lo storiografo regio Herrera dice alla sua volta: «in questa circostanza l’Ammiraglio fu grandemente favorito da Dio21.

Le linee sporgenti della costa, che a destra e a sinistra scemavano lo sforzo delle onde, già rotte in lontananza dal promontorio Flat a ponente, e dal Capo Dax a levante22 guarentivano la baia di Santa Gloria dalla violenza delle gran correnti che da levante volgono a ponente: la costa riccamente boscosa, costituiva una maniera di cornice che la proteggeva dalla furia dei venti di terra. Acque vive e fresche si scaricavano all’est da tre fiumi deliziosamente ombreggiati. Frutti d’ogni maniera, più squisiti di quelli delle altre isole, abbondavano nei dintorni. Il villaggio di Maima, lontano appena un quarto di lega, occupava il piè di una graziosa costa. L’Ammiraglio comandò che approdasse prima il San Giacomo di Palos. Quantunque la Capitana fosse piena d’acqua sino al cassero, onde che tutti stupivano come non fosse ancora calata a fondo, Colombo non diede ordine di arenarla che in capo a varii giorni, quando ebbe riconosciuto che sarebbe un tentare Dio il differire23.

Allora la Capitana fu attaccata al San Giacomo di Palos, e legata a’ suoi fianchi con forti tavole. Con tutti i pezzi degli alberi diventati inutili e delle tramezze interiori che si poterono levare, venner approntati sul davanti e sul di dietro delle due caravelle baracche ricoperte di paglia. L’Ammiraglio volle che tutti stessero a bordo per evitare ogni motivo di alterco cogli indigeni. [p. 215 modifica]

Un dì che il capitano di padiglione Diego Mendez, al quale, non ostante il suo titolo puramente onorifico, l’Ammiraglio aveva fidata la distribuzione dei viveri, ebbe messa fuori l’ultima razione di biscotto e di vino, che i magazzini seppero fornirgli; giganteggiò a spavento di tutti un orribil fantasma, la fame. Nessuno osava dimandare di scendere a terra per andare in cerca di vettovaglie. In quelle crudeli congiunture, la fede e l’intrepidezza del fedele scudiero di Colombo brillarono di nuovo.

Sguainata la spada e fattosi accompagnare da tre uomini coraggiosi, si avanzò nell’isola: se avesse scontrato indigeni bellicosi al paro di quelli del Rio Belen, era certamente perduto: ma, come diceva egli stesso, «piacque a Dio che trovassi abitatori assai miti; i quali non mi fecero alcun male, si ricrearono meco e mi diedero viveri di lor pieno grado24

Diego Mendez si concertò col cacico d’Aguacabilda per la somministrazione regolare di una determinata quantità di pesci, di uccelli, e di pane di cassave; che sarebbero pagati con sonagli, pettini, coltelli, ami e grani azzurri di cui gli indigeni facevano monili. Diego Mendez spedì incontanente uno degli Spagnuoli all’Ammiraglio, affinchè facesse ricevere e pagare cotai provvigioni: andò poscia tre leghe più lungi, a fare simili accordi con un altro cacico, e spedì nuovamente all’Ammiraglio, uno de’ suoi compagni per avvertirlo del fatto negozio. Seguitando la sua via Mendez giunse al gran cacico di Haureo, che stanziava a tredici leghe da Santa Gloria. ll cacico lo accolse ottimamente, gli promise somministrazioni giornaliere di viveri, e diegli subito quanto gli dimandò; incontanente Diego Mendez spedì all’Ammiraglio il suo terzo messaggio.

Confidando in Dio, del qual egli, e il suo Ammiraglio aveano tante fiate sperimentata la protezione potente, Diego osò rimaner solo, e avventurarsi nella parte orientale dell’isola; e, ciò facendo, fu ben ispirato; giunse sulle terre del cacico Ameyro, [p. 216 modifica]il quale strinse immantinente amicizia con lui, mutò il proprio nome col suo, consentì a vendergli un canotto, e gli prestò sei rematori per condurlo ove volesse. In pagamento Diego Mendez diegli un piccolo bacile, una giubba e una delle due camicie che possedeva: indi empiè il canotto di viveri, e andò diffilato all’Ammiraglio. In quel momento non restava sulle navi neppure un pezzo di pane25.

Gli equipaggi, minacciati d’aver a morir di fame, accolsero con trasporto il bravo Diego Mendez. L’Ammiraglio se lo strinse fra le braccia affettuosamente. Il suo cuore così generoso e così vasto alla gratitudine, apprezzava degnamente l’annegazione del suo zelante servo, e non si limitava a guardarlo con ammirazione, ma ringraziava Dio della sua evidente protezione. Diego Mendez «rendeva grazie a Dio, perchè lo aveva ricondotto sano e salvo da mezzo quelle nazioni selvagge26.» Da quel punto si videro ogni dì capitare alle navi Indiani carichi di viveri.

Affine di sollevare il bravo Mendez, l’Ammiraglio scelse due ufficiali degni di stima per vigilare agli scambi. Molti canotti stranieri alle popolazioni de’ cacichi visitati de Diego Mendez vennero anch’essi a portar provvigioni. Questa concorrenza fece stabilire una specie di prezzo corrente. Così, per due begli utias si dava uno spillone; per un paniere di pane di cassave alcuni granelli di vetro azzurro; per armi ed utensili un sonaglietto: rispetto le forbici, gli specchi e i berretti scarlatto, si riservavano in dono ai cacichi.


Note

  1. Diego Mendez. — “Pero ninguno dellos volvian porque quedaban allì cortados brazos y piernas y muertos á espada.” — Relacion hecha por Diego Mendez de algunos acontecimientos del último viage del almirante don Cristóbal Colon.
  2. “Al Lombardo chiamato Bastiano, fuggendo furiosamente per ascondersi in una casa, disse Diego Mendez: torna, torna, in dietro Bastiano! ove vai?” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xciii.
  3. “Essendo egli dimandato ed anco da alcuni ripreso del non dare aiuto a’ cristiani...» — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xcviii.
  4. Washington Irving, Humboldt e tutti gli Storici di Colombo indicano invariabilmente Pedro de Ledesma col titolo di piloto, dopo la partenza da Cadice; evidentemente è uno sbaglio. Egli fu debitore della sua promozione alla sola generosità dell’Ammiraglio. Fino allora, egli era inscritto nel ruolo d’equipaggio della Biscaglina, in qualità di primo marinaio. Figurava il primo nella classe dei marinari; ed il suo nome, nè altro nome simile al suo, non era inscritto nella lista delle Stato maggiore. Più tardi, Pedro de Ledesma, non contento del suo titolo di piloto, s’attribuì quello di Capitano Comandante della Biscaglina. Leggesi nel processo del Fiscale, fatto a Siviglia il 18 marzo 1513: — “Pedro de Ledesma piloto declaró que fué en el viage por capitan y piloto del navio Viscaino, etc.“ — Pleyto, Probanzas del Fiscal. Pregunta 9.
  5. Per l’onore della letteratura spagnuola, e nello scopo di porgere una giusta idea della dizione maestosa della voce che, durante il suo sonno, intese il Rivelatore del Globo, riproduciamo qui il testo delle parole da lui riferite.
         “O! estulto y tardo á creer y á servir á tu Dios, Dios de todos! que hizo él mas por Moysés ó por David su siervo? Desque nasciste siempre él tuvo de ti muy gran cargo. Cuando te vido en edad de que él fue contento, maravillosamente hizo sonar tu nombre en la tierra. Las Indias, que son parte del mundo, tan ricas, te las dió por tuyas: tu las repartiste adonde te plugo, y te dió poder para ello. De los atamientos de la mar Océana que estaban cerrados con cadenas tan fuertes, te dió los llaves; y fuiste obedescido en tantas tierras, y de los cristianos cobraste tan honrada fama. Que hizo el mas alto pueblo de Israel cuando le sacó de Egipto? ni por David, que de pastor hizo Rey en Judea? Tórnate á el, y conosce ya tu yerro: su misericordia es infinita: tu vejez no impedirá a toda cosa grande: muchas heredades tiene él grandisimas. Abraham pasaba de cien años cuando engendro á Isaac, ni Sara era moza. Tu llamas por socorro incierto: responde, quién te ha afligido tanto y tantas veces, Dios ó el mundo? los privilegios y promesas que dá Dios, no las quebranta, ni dice despues de haber recibido el servicio que su intencion no era esta, y que se entendie de otra manera, ni dá martirios por dar color á la fuerza: él va al pie de la letra: todo lo que él promete cumple con acrescentamiento. Esto es uso? Dicho tengo lo que tu Criador ha fecho por ti y hace con todos. Ahora medio muestra el galardon de estos afanes y peligros que has pasado sirviendo á otros.”
  6. “No temas, confia: todas estas tribulaciones estan escritas en piedra mármol, y no sin causa.” — Cuarto y ultimo viage de Colon.
  7. Villemain, Prospetto della letteratura nel Medio Evo, tom. II.
  8. Diego Mendez. — “Lo cual el Almirante tuvo á mucho, y no se hartaba de me abrazar y besar en los carillos por tan gran servicio corno allì le hice, y me rogó tomase la capitania de la nao Capitana, y el regimiento de toda la gente y del viage.” — Relucion hecha por Diego Mendez, de algunos acontecimientos del ultimo viage del Almirante don Cristobal Colon.
  9. “En carlay y en esas tierras de su comarca, son grandes fechiceros y muy medrosos. Dieran el mundo porque no me detuviera alli una hora.” — Cristoforo Colombo, Lettera ai Re Cattolici, scritta dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  10. “La costa es bien temerosa ó lo fizo parescer ser aquel año muy tempestuoso, de muchas aguas é tormenta del cielo.” — Diego de Porras, Relacion del viage é de la tierra agora nuevamente descubierta por el Almirante don Cristobal Colon.
  11. “E fu ciò cosa tanta strana e non mai più veduta, che io non avrei replicate tante mutazioni, se oltra l’essermi trovato presente, non l’avessi veduto scritto da Diego Mendez... Il quale ancora scrisse questo viaggio.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xciv.
  12. Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste dei Castigliani nelle Indie occidentali. Decade 1, lib. V, cap. ix.
  13. Humboldt accusa l’Ammiraglio di aver abusato della sua autorità per confiscare le carte dei piloti e restare così solo padrone della strada per cui potevasi giungere in queste nuove regioni. La testimonianza di un nemico di Colombo, il notaio Diego di Porras, gli dà una mentita, mostrando qual era lo stato degli animi a bordo, e giustifica così la prudente misura dell’Ammiraglio. — “Los marineros no traian ya carta de navegar que se les habia el Almirante tomado á todos: se decian que el yerro que se hizo al principio habia causado gran desconcierto en el descubrir.” — Diego de Porras, Relacion del viage é de la tierra agora nuevamente descubierta por el Almirante don Cristobal Colon.
  14. “E ancor che tutti i piloti, dicessero che noi saressimo passati al levante delle isole de Caribi, l’Ammiraglio nondimeno temea di non poter pur prendere la Spagnuola; il che se verificò.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. c.
  15. Cristoforo Colombo. — “Y a la media noche, que parecia que el mundo se ensolvia, se rompieron las amarras al otro navío, y vino sobre mi, que fue maravilla como no nos acabamos de se hacer rajas” — lettera ai Re Cattolici scritta dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  16. “Di giorno e di notte non lasciavano di seccar l’acqua in ciascuno di essi con tre trombe; delle quali se si rompeva alcuna era di mestiere, mentre si acconciava, che le caldiere supplissero, e l’ufficio delle trombe facessero.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. c.
  17. Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste dei Castigliani nelle Indie Occidentali. Decade 1, lib. VI, cap. ii.
  18. “El navio se me anegó, que milagrosamente me trujo Nuestro Señor a tierra.” — Cristoforo Colombo, Lettera ai Re Cattolici, scritta dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  19. “El puerto que se diz de Santa Gloria, que es casi en el medio de la parte septentrional.” — Cristoforo Colombo, Nota inscritta sul foglio lix del Libro de las Profecias.
  20. Andres Bernaldez, Historia de los Reyes Catolicos, cap. cxxv. Ms.
  21. Herrera, Storia generale delle conquiste e viaggi dei Castigliani nelle Indie Occidentali. Decade 1, lib. VI, cap. iii.
  22. Vedasi la gran carta dell’isola levata d’ordine del governo inglese. — Mappa della Giammaica, nell’Ufficio delle Colonie ed Ammiragliato — presso John Arrowsmith.
  23. Nelle ultime note del giornale di Diego de Porras, ad onta dell’errore manifesto del nome del mese, si riconosce dal numero e dal nome dei giorni in cui si effettuò questo naufragamento, che. la Capituna venne sagrificata solo molti giorni dopo il San Giacomo di Palos.
  24. “Y plugo á Dios que hallaba la gente tan mansa que no me hacian mal, antes se holgaban con migo y me daban de comer de buena voluntad.” — Relacion hecha por Diego Mendez de algunas acontecimientos del último viage del almirante don Cristobal Colon.
  25. “Al tiempo que yo llegué á las naos no habia en ellas un pan quo comer.” — Relacion hecha por Diego Mendez de algunos acontecimientos del último viage del almirante Cristobal Colon.
  26. “Dando gracias á Dios que me habia llevado y traido á salvamiento de tanta gente selvage.” — Relacion hecha per Diego Mendez de algunos acontecimientos, etc.