Così parlò Zarathustra/Parte quarta/Il canto d'ebrezza

Il canto d’ebrezza

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Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra (1885)
Traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)
Il canto d’ebrezza
Parte quarta - La festa dell’asino Parte quarta - Il segno
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Il canto d’ebrezza.


1.

Ma frattanto quelli erano, l’un dopo l’altro, usciti all’aperto, nella frescura della notte pensosa; e Zarathustra stesso guidò per mano il più brutto degli uomini per mostrargli il suo mondo notturno e la luna grande e rotonda e le argentee cascate d’acqua nei pressi della sua caverna.

Infine ristettero silenziosi l’uno vicino all’altro, vecchi bensì, ma col cuor confortato e animoso, meravigliati di sentirsi tanto bene su questa terra; e il silenzio misterioso della notte lentamente invadeva di commozione le loro anime. E di nuovo Zarathustra pensò tra sè: «oh quanto mi piacciono ora, questi uomini superiori!» — ma non espresse il suo pensiero, volendo rispettare la loro felicità e il loro silenzio.

Ma allora seguì il gran prodigio.

Un’altra volta il più brutto degli uomini cominciò a gorgogliare, e quando potè al fine parlare, una sentenza scaturì rotonda e pura dalle sue labbra, una sentenza buona e profonda e chiara: e tutti coloro che l’ascoltavano si sentirono sobbalzare il cuore nel petto.

«O voi tutti, amici miei» — diss’egli — «che ve ne pare? — Per amore di questa giornata — io mi sento per la prima volta felice d’esser vissuto. [p. 300 modifica]

E non basta ancora rendere questa testimonianza. Mette proprio conto di vivere: un giorno solo, una sola festa in compagnia di Zarathustra m’ha appreso ad amare la terra.

«È questa la Vita?», dirò alla Morte. «Ebbene, in tal caso ricominciamo!».

Amici miei, che ve ne pare? Non volete pur voi dire come me alla Morte: «È questa la Vita? Per amore di Zarathustra, ebbene — ricominciamola!»

Così parlò il più brutto degli uomini: ed era vicina a scoccare la mezzanotte. E come ebbero udito tali parole, gli uomini superiori a un tratto ebber coscienza del loro cangiamento e della loro guarigione, e conobbero che ne eran debitori a Zarathustra; e allora si slanciarono verso di lui ringraziandolo, accarezzandolo, baciandogli le mani, facendogli festa secondo l’indole propria di ciascuno; sicchè gli uni ridevano, mentre gli altri piangevano. E il vecchio indovino danzava per la gioja; e se anche, come alcuni narrano, egli fosse stato pieno di dolce vino, ciò nondimeno ancor più pieno egli era di dolce vita, e aveva dimenticata la sua stanchezza.

Anche v’ha chi racconta come l’asino stesso abbia danzato in quell’ora, e che non senza effetto il più brutto degli uomini gli avesse dato da bere poco prima. Comunque sia, ed anche ammesso che l’asino non abbia allora danzato, certo è che avvennero prodigi anche maggiori di questo. E poi, come suona il motto di Zarathustra: «che importa?».

2.

Ma Zarathustra, da prima, era stato attonito e come ebbro: il suo sguardo s’era spento, la sua lingua balbettava, vacillavano i suoi piedi.

Chi saprebbe ritrarre i pensieri che in quel momento lo assalirono? Il suo spirito s’arretrava, poi volava innanzi verso remote lontananze, e si trovava sur un alto giogo, come sta scritto, tra due mari, — sospeso, quale una gravida nube, tra il passato e l’avvenire. Ma, via via, mentre gli uomini superiori lo stringevano tra le loro braccia, egli ritornò in sè e tese [p. 301 modifica]le mani per moderar l’impeto dei suoi ammiratori; tuttavia senza parlare.

Poi improvvisamente volse la testa, come attratto da qualcosa: avvicinò un dito alle labbra, e disse: «Venite!».

E subitamente si fece silenzio all’intorno; poi dal basso salì a loro il suono d’una campana.

Zarathustra stette in ascolto, e con lui gli uomini superiori; poi egli appressò un’altra volta il dito alla bocca e ripetè: «Venite! Venite! Andiamo incontro alla mezzanotte!» — e la sua voce erasi cangiata. Ma ancora non si moveva dal luogo dove si trovava: e il silenzio e il mistero s’accrebbero; e tutti stavano in ascolto, anche l’asino e gli animali di Zarathustra, l’aquila e il serpente, e la caverna medesima e la grande e fredda luna, e la stessa notte. Ma Zarathustra accostò per la terza volta il dito alle labbra e disse: «Venite! Venite! Mettiamoci in cammino! È l’ora! Camminiamo dentro la notte!»

3.

O uomini superiori, noi andiamo incontro alla mezzanotte: perciò voglio dirvi all’orecchio quello che all’orecchio mi susurra la campana: così famigliarmente, così terribilmente, così cordialmente voglio dirvelo, come quella campana della mezzanotte, — che ha veduto assai più cose che non un uomo — lo dice a me.

Poi che essa ha già contato le pulsazioni dolorose dei cuori de’ vostri padri — ah! ah! come geme! come ride nel suo sogno! la vecchia, profonda, profonda mezzanotte!

Silenzio! Silenzio! Ora si possono udire molte cose, che di giorno non si intendono: ora, con quest’aria fresca, mentre tace anche l’ardore de’ vostri cuori — ora essa parla, si fa udire, s’insinua nelle anime notturne e troppo a lungo deste!

Ah! ah! com’essa geme! come ride nel sogno!

— Non senti come parla a te familiarmente, orribilmente, cordialmente, a te, la vecchia, profonda, profonda mezzanotte?

Bada o uomo! [p. 302 modifica]

4.

Misero me! Dove è fuggito il tempo? Non sono io caduto in pozzi profondi? Il mondo dorme.

Ah! ah! Il cane urla, la luna splende. Voglio morire, morire anzichè dir a voi quello che ora pensa il mio cuore a mezzanotte!

Ora io son già morto. Tutto è finito. O ragno, perchè vai tessendo intorno a me la tua rete? Vuoi tu sangue? Ah! ah! Cade la rugiada; giunge l’ora, l’ora in cui mi sento gelare, l’ora che sempre domanda e domanda e domanda: «Chi ha il cuore di far ciò? — chi vuole essere il signore della terra? Chi vuol dire: così voi dovete scorrere, o grandi e piccole correnti?».

— L’ora s’avvicina: o uomo, uomo superiore, bada! Questo discorso è destinato agli orecchi squisiti, ai tuoi orecchi, — e si intitola: — Che cosa dice la mezzanotte profonda?

5.

Mi sento trasfigurato: l’anima mia danza. Lavoro giornaliero! Lavoro giornaliero; chi ha da essere il signore della terra?

La notte è fresca, il vento tace. Ah! ah! Volaste già abbastanza in alto? Voi avete danzato: ma le gambe non sono ancora ali.

O voi, egregi danzatori, ora ogni gioja è vanita: il vino si cangiò in feccia, tutti i calici divennero teneri e le tombe susurrano.

Non ancora volaste abbastanza alto: ora le tombe mormorano; « Redimete dunque i morti! Perchè la notte dura tanto? La luna non ci fa forse ebri?».

O voi, uomini superiori, redimete dunque i sepolcri: fate risorgere i morti! Ah! Perchè il verme scava ancora? S’appressa, s’appressa l’ora; brontola la campana; ancora il cuore rumoreggia, ancor rode il tarlo, il tarlo del cuore. Ah! ah! Il mondo è profondo! [p. 303 modifica]

6.

Dolce lira! Dolce lira! Io amo il tuo suono, l’ebro tuo suono di rospo! Da quali remoti tempi, e come di lungi mi viene il tuo suono! dagli stagni dell’amore.

O vecchia campana, o dolce lira! Ogni pena s’incise nel tuo cuore: il dolor di padre e i dolori degli avi. E il tuo parlare si maturò; simile a un autunno dorato, a un pomeriggio, al mio cuor di romito. E ora tu parli: la terra stessa è diventata matura, la vigna si va indorando di grappoli; — ora essa vuol morire, morire di felicità. O voi, uomini superiori, non avvertite ciò? Segreto si diffonde un odore — una fragranza d’eternità, un olezzo soave come di rose, come di vino dorato: di antica felicità.

L’olezzo della ebra felicità del morire a mezzanotte, la quale canta: Profondo è il mondo, assai più di quanto il giorno pensasse!

7.

Lasciami! Lasciami! Io sono troppo puro per te. Non toccarmi! Il mio mondo non è forse divenuto perfetto in questo punto?

La mia pelle è troppo pura per le tue mani! Lasciami, o stolido, stupido, afoso giorno! Non è forse più chiara di te la mezzanotte?

I purissimi debbono essere i signori della terra; i meno conosciuti, i fortissimi, debbono essere le anime delle mezzanotte che sono più chiare e più profonde del giorno.

O giorno, tu cerchi d’aggrapparti a me? Tenti toccare la mia felicità? Per te io sono ricco, solitario; per te sono una miniera d’oro, uno scrigno riboccante di tesori!

O mondo, tu mi vuoi? Sono io fatto per te? Sono per te spirituale? Sono per te divino? Ma giorno e mondo voi siete l’uno e l’altro per me troppo sciocchi.

— Abbiate più accorte le mani; protendetele verso una felicità più profonda, verso una sventura più profonda: tentate d’afferrare qualche Dio, ma non già me. [p. 304 modifica]

La mia sventura e la mia felicità sono profonde, o strano giorno, ma pure io non sono un Dio, non sono un inferno divino: Profondo è il suo dolore

8.

Il dolore di Dio è più profondo! Tenta di afferrare il dolore d’un Dio, e non già me! Che cosa son io? Una dolce lira inebbriata; — una lira della mezzanotte, una campana delle paludi, che nessuno comprende, ma che deve parlare ai sordi, o uomini superiori! Poi che voi non mi comprendete!

Passaste! O gioventù! O meriggio! O pomeriggio! Ora giungono la sera e la notte e la mezzanotte; urla il cane, e il vento urla: — non è forse il vento un cane? Egli geme, latra, urla. Ah! ah! Come anch’ essa geme! Com’ essa ride, come rantola, come palpita la mezzanotte!

Come parla ora prosaicamente, quell’ebra poetessa! Le riesci forse di esaltare la propria ebrezza? di rendere informe la propria insonnia? O forse essa medita?

— Medita il suo dolore mentre sogna, l’antica profonda mezzanotte, e più anche medita la sua gioja. Poi che la gioja, se pure il dolore è profondo, la gioia è ancor più profonda del dolore.

9.

O ceppo di vite! A che m’ esalti? Non t’ho io forse reciso? Io son crudele, e tu sanguini: — perchè attendi la lode dalla mia ebra crudeltà?

«Tutto ciò che divenne perfetto e maturo vuol morire!». Così tu parli. Sia benedetto il coltello del vendemmiatore. Ma tutto ciò ch’è immaturo vuol vivere, ahimè!

Il dolore dice: «Passa oltre! Fuggi, o dolente!». Ma tutto ciò che soffre vuol vivere, per diventar maturo e gaio e bramoso, — bramoso di alcun che più lontano, più alto, più chiaro. «Voglio avere eredi»: così parla tutto ciò che soffre; «non voglio me solo». [p. 305 modifica]

Ma la gioia non domanda nè eredi nè figli: — la gioja vuole sè stessa, vuole l’eternità, il ritorno, vuole che tutto sia eternamente uguale a sè stessa.

Il dolore dice: «Spezzati, sanguina, o cuore! Cammina, o gamba! Ala, vola! In su! In alto! Dolore! Orsù! Orbene! Oh vecchio mio cuore! Il dolore dice: «Passa oltre!».

10.

O voi, uomini superiori, che ne dite? Sono io forse un indovino? un sognatore? un ebro? un interprete di sogni? una campana della mezzanotte? una goccia di rugiada? un vapore, un effluvio dell’eternità? Non lo udite? Non lo adorate? Da poco il mio mondo divenne perfetto: e la mia mezzanotte è anche il mezzogiorno.

— Il dolore è anche una gioja; la maledizione è anche una benedizione, la notte è ancor essa un sole; andatevene! Altrimenti apprenderete che un savio è anche un pazzo.

Avete mai consentito alla gioja? O miei amici, in tal caso avete consentito anche a tutti i dolori. Tutte le cose sono concatenate, annodate insieme, conserte d’amore tra loro.

— Se mai avete desiderato due volte ciò che fu una volta sola, se mai diceste: «tu mi piaci, felicità! Arrestati momento!», ebbene voi desideraste che tutto ritornasse!

— Se mai avete desiderato un’altra volta, eternamente, il tutto, le stesse cose concatenate, annodate insieme, conserte d’amore tra loro, oh, in tal caso avete amato il mondo — o voi eterni, e l’amate tuttavia e l’amerete in ogni tempo: e anche al dolore voi dite: Passa ma ritorna! Poi che ogni gioja vuol essere eterna!

11.

Ogni gioja vuole l’eternità sempre: vuole il miele, la feccia, l’ebra mezzanotte, i sepolcri e le lagrime di che si confortan le tombe, e i tramonti dorati. [p. 306 modifica]

Che cosa non vuole la gioja? Essa è più assetata, più sincera, più avida, più terribile e più segreta d’ogni dolore: essa vuole sè stessa; essa morde in sè stessa: la volontà dell’anello combatte in lei.

— Essa vuole amore e odio; essa è straricca; e dona, e getta via, e mèndica per esser accolta, e ringrazia colui che la prende, e amerebbe d’esser odiata.

— Tanto ricca è la gioja, che essa ha sete di dolore, d’inferno, d’odio di vergogna, del mondo stesso che voi già conoscete!

E di voi pure, uomini superiori, di voi è bramosa la gioja, indomita, beata; ed è pur bramosa del vostro dolore, o voi contraffatti! Ogni gioja eterna è bramosa di ciò che è informe.

Poi che ogni gioja vuole sè stessa, e cerca per ciò anche il dolore! O felicità, o dolore! Spezzati, cuore! Voi, uomini superiori, imparate dunque: la gioja vuol l’eternità, — la gioja vuole l’eternità di tutte le cose, vuole una profonda, profonda eternità!

12.

Avete ora appresa la mia canzone? Avete indovinato a che essa tende? Su via! O voi, uomini superiori, cantate ora il mio rondò!

Cantate voi stessi la canzone, che s’intitola: «Un’altra volta», il cui significato è «Per tutta l’eternità!» — cantate, uomini superiori, il rondò di Zarathustra!

— Bada o uom! che dice a te
     la profonda mezzanotte?
— Grave il sonno su di me
     scese stanotte.

Ora svanì.
     Mi ridesto: assai profondo,
     più che non pensasse il dì,
     è questo mondo.

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La sua gioja è più profonda
     de la pena. L’ora mesta
     cede il luogo alla gioconda.
     Quella dice: «Passa»; questa
     dice: «T’arresta».

Vuol per sè l’ora gioconda
     la profonda — eternità.