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il canto d’ebrezza 303


6.

Dolce lira! Dolce lira! Io amo il tuo suono, l’ebro tuo suono di rospo! Da quali remoti tempi, e come di lungi mi viene il tuo suono! dagli stagni dell’amore.

O vecchia campana, o dolce lira! Ogni pena s’incise nel tuo cuore: il dolor di padre e i dolori degli avi. E il tuo parlare si maturò; simile a un autunno dorato, a un pomeriggio, al mio cuor di romito. E ora tu parli: la terra stessa è diventata matura, la vigna si va indorando di grappoli; — ora essa vuol morire, morire di felicità. O voi, uomini superiori, non avvertite ciò? Segreto si diffonde un odore — una fragranza d’eternità, un olezzo soave come di rose, come di vino dorato: di antica felicità.

L’olezzo della ebra felicità del morire a mezzanotte, la quale canta: Profondo è il mondo, assai più di quanto il giorno pensasse!

7.

Lasciami! Lasciami! Io sono troppo puro per te. Non toccarmi! Il mio mondo non è forse divenuto perfetto in questo punto?

La mia pelle è troppo pura per le tue mani! Lasciami, o stolido, stupido, afoso giorno! Non è forse più chiara di te la mezzanotte?

I purissimi debbono essere i signori della terra; i meno conosciuti, i fortissimi, debbono essere le anime delle mezzanotte che sono più chiare e più profonde del giorno.

O giorno, tu cerchi d’aggrapparti a me? Tenti toccare la mia felicità? Per te io sono ricco, solitario; per te sono una miniera d’oro, uno scrigno riboccante di tesori!

O mondo, tu mi vuoi? Sono io fatto per te? Sono per te spirituale? Sono per te divino? Ma giorno e mondo voi siete l’uno e l’altro per me troppo sciocchi.

— Abbiate più accorte le mani; protendetele verso una felicità più profonda, verso una sventura più profonda: tentate d’afferrare qualche Dio, ma non già me.