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il canto d’ebrezza | 299 |
qualche festa asinesca, qualche vecchio allegro e pazzo Zarathustra: un vento turbinoso, che spazzi la malinconia dalle vostre anime.
Non dimenticate questa notte e la festa dell’asino, o uomini superiori! Voi la inventaste in casa mia, e io l’accetto come un buon augurio — simili cose non le inventano che i convalescenti!
E se doveste celebrarla un’altra volta, celebratela per amor vostro e anche per amor mio! E in mia memoria!».
Così parlò Zarathustra.
Il canto d’ebrezza.
1.
Ma frattanto quelli erano, l’un dopo l’altro, usciti all’aperto, nella frescura della notte pensosa; e Zarathustra stesso guidò per mano il più brutto degli uomini per mostrargli il suo mondo notturno e la luna grande e rotonda e le argentee cascate d’acqua nei pressi della sua caverna.
Infine ristettero silenziosi l’uno vicino all’altro, vecchi bensì, ma col cuor confortato e animoso, meravigliati di sentirsi tanto bene su questa terra; e il silenzio misterioso della notte lentamente invadeva di commozione le loro anime. E di nuovo Zarathustra pensò tra sè: «oh quanto mi piacciono ora, questi uomini superiori!» — ma non espresse il suo pensiero, volendo rispettare la loro felicità e il loro silenzio.
Ma allora seguì il gran prodigio.
Un’altra volta il più brutto degli uomini cominciò a gorgogliare, e quando potè al fine parlare, una sentenza scaturì rotonda e pura dalle sue labbra, una sentenza buona e profonda e chiara: e tutti coloro che l’ascoltavano si sentirono sobbalzare il cuore nel petto.
«O voi tutti, amici miei» — diss’egli — «che ve ne pare? — Per amore di questa giornata — io mi sento per la prima volta felice d’esser vissuto.