Così parlò Zarathustra/Parte quarta/La festa dell'asino
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La festa dell’asino.
1.
Ma a questo punto Zarathustra non seppe più frenarsi; gridò anche lui I-A, vincendo la voce dell’asino, e saltò in mezzo ai suoi ospiti impazzati. «Ma che fate, creature?», esclamò rialzando da terra i suoi ospiti. «È bene che nessuno v’abbia veduto all’infuori di Zarathustra.
Per quale nuova fede voi vorrete sembrare i peggiori bestemmiatori di Dio o le più stolide tra le vecchie donnicciuole?
E tu, vecchio papa, donde avviene che anche tu adori un asino quale tuo Dio?».
«O Zarathustra», rispose il papa, «perdonami, ma nelle cose divine io sono più largo di te. E così convien che sia.
Meglio adorare Dio sotto questa forma che non adorarlo.
Medita su questa sentenza, mio eccelso amico! Tu comprenderai di leggieri che in essa una grande saviezza è riposta.
Colui che sentenziò: Dio è uno spirito — fece su questa terra il più grande passo verso l’incredulità; a quest’affermazione non è più facile riparare oggidì!
Il mio vecchio cuore sobbalza per la gioja di poter ancora adorare qualche cosa. Perdona, o Zarathustra, a un cuore di papa, vecchio e pio!».
— «E tu», disse Zarathustra al viandante-ombra, «tu ti credi e ti vanti uno spirito libero! E non ti vergogni di atterrarti dinanzi a un tale idolo?
Tu fai peggio ora che non poc’anzi presso alle maliziose fanciulle brune, o cattivo seguace della nuova fede!».
«Ciò è molto male: tu hai ragione», rispose il viandante-ombra, « ma che posso io fare! Il vecchio Dio rivive, o Zarathustra, checchè tu dica.
Il più brutto degli uomini è la causa di tutto: egli l’ha resuscitato. E per quanto egli ci vada dicendo d’averlo ucciso, la morte per gli dèi non è stata mai altro che un pregiudizio».
«E tu», proseguì Zarathustra, «o vecchio mago perverso, che cosa hai fatto? Chi, a questi tempi liberi, crederà ancora in te, se tu stesso credi in tali asinerie divine? Fu una sciocchezza cotesta tua; come mai tu, tanto accorto, potevi commettere una tale sciocchezza?».
«O Zarathustra», rispose l’accorto mago, «tu hai ragione: fu una sciocchezza la mia, — e me ne sento punito a bastanza».
— «E tu poi», disse Zarathustra al coscienzioso dello spirito, «pensa un po’ e appressa il tuo dito al naso. Non trovi tu qui nulla che repugni alla tua coscienza? «Non è il tuo spirito troppo puro per questo pregare, per questa puzza di sagrestia?».
«In ciò è qualche cosa», rispose il coscienzioso portando il dito al naso, «qualche cosa è in questo spettacolo, che riesce molto gradito alla mia coscienza.
Può darsi ch’io non debba credere a un Dio: ma è ben certo, d’altro canto, che sotto questa forma Dio m’appare più degno di fede.
Dio dev’esser eterno, per testimonianza della gente più pia: chi può disporre di tanto tempo può fare il comodo suo. Lento e tortuoso quanto più è possibile: con questi principii si può andar molto lontani.
E chi ha troppo spirito sarebbe felice di potersi innamorare della stoltezza e della follia. Medita su te stesso, o Zarathustra! Tu stesso — in vero! — tu pure, per soverchio di saggezza, potresti diventare un asino.
Il più perfetto dei saggi non ama forse i sentieri più torti? L’evidenza insegna ciò, o Zarathustra: la tua evidenza!».
— «E tu infine», disse Zarathustra rivolgendosi al più brutto degli uomini, ancor sempre prosternato con un braccio levato verso l’asino (poi che gli dava a bere del vino), «parla, o tu inesprimibile, che cosa hai fatto?
Tu mi sembri cangiato; il tuo occhio arde; il manto del sublime avvolge la tua bruttezza: che cosa hai tu fatto?
È dunque vero ciò che gli altri affermano, che tu l’hai resuscitato? A qual fine? Non era egli forse morto e dimenticato per sempre?
Tu stesso mi sembri resuscitato: che hai fatto? che hai tu rovesciato? A che cosa ti sei convertito? Parla, o inesprimibile!».
«O Zarathustra», rispose il più brutto degli uomini, «tu sei uno scaltro!
Che Colui viva o riviva o sia morto da vero — chi di noi due può dirlo con sicurezza? Lo domando a te.
Una cosa so tuttavia, e da te stesso l’ho appresa un giorno: chi vuole uccidere del tutto, ride.
Non con la collera, bensì col riso si uccide — così tu parlasti un giorno, o Zarathustra: tu misterioso, tu distruggitore sereno, tu santo seduttore. — tu scaltro!».
2.
Allora avvenne che Zarathustra, meravigliato di quelle risposte maligne, indietreggiò con un salto sino alla soglia della sua caverna e gridò ad alta voce, rivolto ai suoi ospiti: «Pagliacci e buffoni! A che dissimulate e nascondete le vostre anime dinanzi a me?
Ah! ciascuno di voi gioiva maliziosamente in cuor suo d’esser ridivenuto pio come un bambino? d’avere, a somiglianza dei bambini, pregato un’altra volta, e un’altra volta congiunte le mani profferendo: «Buon Dio?».
Ma ora fate sgombra dai fanciulli questa camera, la mia caverna, dove oggi tutto ciò che è puerile s’è dato convegno.
Ravvivate all’aria aperta la vostra impudenza e la stupidità fanciullesca del vostro cuore!
Certo: se non diventate simili in tutto ai bambini, non potrete entrare in quel regno dei cieli». E Zarathustra accennò verso l’alto.
«Ma noi non ci curiamo del regno dei cieli: siamo fatti adulti, — e vogliamo il regno della terra».
3.
Poi Zarathustra disse ancora: «O miei nuovi amici, — o voi uomini strani, superiori, quanto mi piacete ora!
— Voi avete ritrovata la vostra allegria. Siete tutti rifioriti; e a me sembra che a sì fatti fiori si convengano nuove feste; — qualche piccola sciocchezza sincera, qualche cerimonia divina, qualche festa asinesca, qualche vecchio allegro e pazzo Zarathustra: un vento turbinoso, che spazzi la malinconia dalle vostre anime.
Non dimenticate questa notte e la festa dell’asino, o uomini superiori! Voi la inventaste in casa mia, e io l’accetto come un buon augurio — simili cose non le inventano che i convalescenti!
E se doveste celebrarla un’altra volta, celebratela per amor vostro e anche per amor mio! E in mia memoria!».
Così parlò Zarathustra.