Così mi pare/Chiose/Le donne che lavoreranno
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Le donne che lavoreranno
Ho visto per la prima volta, in una elegantissima rivista femminile che fin qui pareva rivolgersi soltanto a quella parte di femminilità che ha il privilegio d’essere nata con centomila lire di rendita, trattata e discussa la questione della necessità di dare una carriera, il modo di guadagnarsi il pane, la sicurezza della indipendenza economica a tutte le fanciulle ricche di doti e povere di dote che fin qui speravano, aspettavano e sospiravano soltanto da quella problematica fortuna che si chiama un marito, la sicurezza materiale della vita avvenire.
La cosa è sintomatica: se anche la più select fra le rassegne femminili crede utile di parlarne alle sue lettrici tra il resoconto di una festa in casa di Isadora Duncan, la creatrice delle danze elleniche, e la descrizione delle toelette vedute alle corse, tra il commento di un nuovo mantello e le indiscrezioni intorno al corredo d una fidanzata newyorkese della quinta Avenue, vuol dire che la questione si è imposta ormai coll’evidenza incontestabile dei fatti, che del disagio, creato alla fanciulla dalle mutate condizioni economiche e sociali, tutti si accorgono e tutti si lagnano.
Una volta....
Eh, sì, una volta la vita era più semplice e un uomo che guadagnasse trecento lire al mese era considerato un magnifico partito, poteva anche, il fortunato, concedersi il lusso di un matrimonio d’amore.
Oggi, non più. La vita costa il doppio, le esigenze sono moltiplicate, e gli stipendi sono rimasti quello che erano venti, trent’anni fa... Il dramma è tutto qui; nel contrasto fra quello che bisogna spendere e quello che si può guadagnare. Un giovanotto che abbia fatto l’Istituto, qualche volta magari anche il Politecnico o l’Università, arriva a trent’anni con dugentocinquanta o trecento lire di stipendio mensile, dippiù, mai; spesso, di meno. E a trenta anni, un uomo sente il bisogno di crearsi una famiglia. Che fare?
C’è una bimba graziosa, che gli occhi del giovane hanno incontrato più d’una volta, che gli è rimasta nelle pupille e un po’ anche nel pensiero. Gli piacerebbe. Discretamente egli s’informa: famiglia distintissima; il babbo è ingegnere, la madre, una signora irreprensibile; due fratelli ancora studenti, una sorellina in collegio. Anche la fanciulla è stata in collegio; è intelligente, educata, colta, buona, fine. Una compagna raccomandabilissima.
Dote? ah, no, nemmeno un centesimo. Il povero ingegnere ha sudato sangue per crescere tutti i figliuoli ed educarli tutti. Dote non ne può dare.
E allora non se ne fa niente. Vorreste gridare la croce addosso al giovane, accusarlo di venalità, negare la sincerità della sua simpatia che domani sarebbe diventata amore degnissimo, deplorare il suo poco coraggio? Ma no; il povero ragazzo ha perfettamente ragione: il suo poco coraggio è soltanto prudenza, è solamente intuizione di quanto avverrebbe ove egli si lasciasse trascinare a fondare una famiglia sopra l'unico cespite di entrata costituito dal suo stipendio.
L’amore sta bene, il disinteresse pure, ma i fatti sono fatti e le cifre sono cifre: ora, con dugentocinquanta lire al mese, il farsi un vestito diventa un dramma; la pigione, uno spettro; la prospettiva d una numerosa figliolanza, un incubo.
⁂
Così, la fanciulla non sposa.
— Poco male — pensa il padre — ha venti anni soltanto, può aspettare.
E la madre dice a se stessa.
— È bella, sarà fortunata, sposerà un signorone.
In quest attesa, accompagna la figliola dovunque si offra l’occasione di metterla in mostra — dalla chiesa ai teatri e dai balli bianchi alla passeggiata e al concerto — e perchè la sua delicata bellezza fatta sopratutto di giovinezza, di grazia, di quel non so che di melanconico, di sognato, che costituisce tutto il fascino dell’innocenza, la distingua fra tutte, impone alla fanciulla una toeletta che non è affatto in armonia colla sua posizione economica e che aumenta ancora la difficoltà di collocarla.
Ma gli anni passano e il signorone non arriva. Si succedono invece le speranze, le trepidazioni, i sogni: ogni nuovo flirt schiude un orizzonte nuovo alla fantasia della fanciulla, suscita un nuovo palpito nel suo ingenuo cuore. Qualcuno sè infatti soffermato a guardarla: parecchi, anzi, l'hanno guardata, ma nessuno era il principe della favola e nessuno ha realizzato le speranze della vergine.
Adesso, i vent’anni sono lontani: la sorellina che era in collegio è uscita anch'essa e s’è messa sulla breccia accanto alla sorella maggiore: sono due, adesso, i gigli che attendono: il più giovane è meno bello dell'altro, ma ha la freschezza ingenua che seduce di più; l'altro, velato di tristezza altera, comincia a sentirsi stanco della lunga, inutile attesa, stanco e amaro e melanconico.
Ora, le primavere sono ventotto; la bimba che non è più bimba, si sente avvilita e sconfortata: anche la sua bellezza scolorisce e muore nella troppo triste attesa. Da un pezzo, ormai, ella non sogna più il signorone: si accontenterebbe, adesso, di un matrimonio molto modesto: forse unirebbe rassegnata il suo inutile meriggio con un tramonto onesto rinunziando a tutti i sogni nella necessità di crearsi ormai uno stato.... E se neppure codesto melanconico compagno d inverno giungesse?
La prospettiva è tristissima. Domani ella avrà trent’tanni — la pienezza del meriggio per la donna; l'inverno della fanciulla — domani, forse, suo padre e sua madre scenderanno nel sepolcro; ella rimarrà sola colla sorella; sola coi fratelli che appena riescono a bastare a se stessi, che già contemplano con terrore la prospettiva di avere sulle spalle per tutta la vita le due sorelle senza marito, senza dote, senza mestiere, senza speranza alcuna di risorse.
E se i fratelli sposassero? se dovessero partire? se venissero a mancare? Come vivranno, di che vivranno le due povere fanciulle, sole nel mondo, colla loro mezza istruzione, colla loro buona educazione per unico patrimonio, capaci un poco di ricamare, di suonare un poco, -di dipingere un ventaglio, forse, di leggere un libro francese, di guarnirsi un cappello, di ripetere in inglese le quattro frasi di prammatica usate al tennis e incapaci di insegnare la pronunzia inglese o i primi esercizi di pianoforte a un bimbo di otto anni, incapaci di tradurre un volume dal francese, di tenere la corrispondenza italiana in un ufficio commerciale, di cucire a macchina, di tagliare della biancheria, di fare, insomma, qualcuna delle infinite cose che permettono a una donna di campare onorevolmente la vita?⁂
Una volta, queste solitarie, che avevano visto fallire il sogno della loro vita e che si trovavano sole nel mondo e prive di risorse in un età che più non consente speranze alla fanciulla ma che è ancora piena d’insidie e di pericoli per la donna, trovavano il loro rifugio e il loro porto nel convento.
Era l'epilogo melanconico di tutta una vita mancata, ma un epilogo sereno che permetteva ancora uno scopo alto e nobile al profondo bisogno femminile di dedizione e che sostituiva colla consolante visione d’una felicità ultraterrena le ormai negate promesse di quaggiù.
Oggi, il Convento, considerato come stato femminile, non esiste più e neppure si trovano nella vita i parenti generosi dei racconti romanzeschi che raccolgono pietosamente le zitelle orfane rimaste povere e sole nel mondo.
Per tutte le destinate a codesto avvenire solitario e austero, non esiste che una via di salvezza: preparare le armi per la battaglia, raccogliere le forze per affrontare serenamente la lotta, scendere nella vita come vi scendono gli uomini, col proposito di lavorare e la capacità di tradurre in atto il proposito.
Ancora codesta idea della donna lavoratrice ripugna alla maggioranza: per tradizione, per cavalleria, per limitate o inesatte o errate considerazioni fisio-psicologiclie, per... paura della concorrenza economica, i più amano pensare e proclamare che la donna non è nata per combattere ma soltanto per amare, soltanto per essere in perpetuo il dolce peso dell'uomo.
Ma, quando manca l'uomo che voglia e possa assumerselo questo peso?
Non è più questione di considerazioni filosofiche ne di abitudini tradizionali: è questione di necessità. Poiché l'esperienza quotidiana dimostra che la fanciulla povera può essere destinata a lottare come i suoi fratelli, è necessario che ella si prepari a questa lotta come vi si preparano i suoi fratelli.
Un mestiere? E perchè no? Un mestiere o una professione o un’arte, secondo le attitudini, secondo la capacità, secondo la situazione sociale. Ma certo un dovere nuovo si impone ai genitori; quello di dare alle loro figlie, come lo danno ai maschi, il modo di vivere: un capitale o un mestiere.
Resa indipendente dal lavoro, la donna è armata contro tutte le difficoltà, è difesa da tutte le insidie che fin qui sfruttavano la sua debolezza alle prese colla necessità, è serena e forte e felice. Se le sorriderà l’amore, ella potrà ascoltarne la dolce voce astraendo da tutte le considerazioni economiche che fin qui limitavano la sua scelta quando non predominavano sul sentimento; e se l’amore non verrà, le sorrideranno pur sempre le altre gioie della vita, meno ardenti ma talvolta più profonde e sempre più sicure e più serene: le gioie del pensiero e quelle dell’operosità, l’orgoglio della propria indipendenza, la pace nella sicurezza di un domani onesto e benedetto.