Così mi pare/Chiose/Per quali vie?
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Per quali vie?
Sta bene, mi scrive una gentile lettrice, le nostre figliole debbono imparare — in previsione d’un possibile avvenire solitario — a bastare a se stesse. Noi genitori abbiamo l’obbligo di avviarle alla conquista d’un pane; ma attraverso quali vie? quali carriere presceglieremo per le creature nostre dotate di una educazione che le rende inadatte a esercitare un mestiere? la borghesia maschile ha per se tutte le professioni: quale professione è consentita alla piccola borghesia femminile?
L’obbiezione, grave, tocca in pieno uno dei punti più ardui della questione. Il femminismo, che in ultima analisi altro non è se non la teorica d’una necessità economica, chiede appunto che tutte le vie aperte all’uomo siano consentite anche all’attività femminile, e, astraendo per un istante da ogni considerazione di opportunità, la rivendicazione pretesa non appare illogica.
Certo, in pratica, codeste considerazioni d’opportunità assumono un’importanza di ragioni negative; ma, per restare un momento nel campo della teoria, si può affermare che salvo rare eccezioni contenute entro i ristretti limiti di una assoluta incompatibilità fisiologica, la donna può essere atta a disimpegnare tutti i lavori che oggi l’uomo esercita quasi esclusivamente.
Non è detto, ripetiamo, che a questa possibilità teorica corrisponda sempre una traduzione pratica consigliabile; ma, ai lumi di un esame imparziale e sereno, la riserva diventa assai meno estesa di quanto si potrebbe credere a tutta prima e a ogni modo trova la sua reciprocità in più di una professione o di un mestiere esercitati dall’uomo.
Ho visto, a Vienna, le donne muratore e le donne spazzino: uno spettacolo poco simpatico, poco estetico e molto insolito per degli occhi italiani. Ma viceversa, l’Italia è piena di giovanotti che passano la loro vita dietro un banco di un negozio di mode intenti a misurar nastri coi loro bicipiti temprati invano da madre natura per altre prove, a frugare fra le piume, le sete, le trine, i veli colle loro mani preparate invano per affrontare il morso d’una fatica più maschia e più rude.
Nella Pomerania, vi sono cave minerarie dove le donne lavorano in qualità di operaie accanto ai minatori maschi; ma le grandi città contano a centinaia i parrucchieri per signora, per esempio....
Sono fuori di strada le donne muratore di Vienna, le donne minatrici della Pomerania; fuori di strada i nostri giovani commessi di negozi di mode, gli uomini robusti e forti che passano la vita ad accarezzare e a comporre morbide chiome femminili.
Anomalie queste; anomalie quelle.
Se in nome della fisiologia si vuol stabilire la necessità di differenziare il lavoro umano fra i due sessi, perchè non si riserbano alle donne tutti quei mestieri, quelle professioni, quelle occupazioni, che meglio armonizzano colla sua capacità fisica, colle sue disposizioni intellettuali, colle sue facoltà spirituali e che anche socialmente le spettano perchè rappresentano l’antico lavoro domestico socializzato? Perchè l’uomo è entrato in cucina e nella scuola elementare e nel laboratorio di indumenti femminili; perchè s’è collocato presso il letto degli infermi; perchè s’è seduto dinanzi ai telai; perchè ha mosso il pedale delle macchine da cucire?
Esistono, come norma, i maestri elementari, i sarti da donna, i cuochi, i camerieri, gli infermieri, i commessi, gli scrivani, i parrucchieri da signora: possono ben esistere, come eccezione, le fanciulle della borghesia che studiano letteratura o medicina o farmacia o scienze naturali o matematica.
Nessuna ragione né fisiologica né patologica giustifica l’esclusione assoluta, radicale, indiscutibile delle donne da tutte codeste vie. Perchè non dovrebbero esistere le medichesse specializzate per l'assistenza delle signore e dei bambini mentre da secoli esistono les sagesfemmes, cioè qualche cosa, che sta alla medichessa come l’antico flebotomo stava al medico, con una vernice di preteso sapere talvolta imprudente, talvolta pericoloso, talvolta fatale? perchè non studierebbero farmacopea le donne che anche più e meglio dell'uomo posseggono le qualità di precisione, di pazienza, di raccolta attenzione indispensabili per spedire ricette e distillar decotti e chiudere cachets? perchè non potrebbe lavorare, nello studio di un ingegnere o d un architetto una intelligente fanciulla che fosse abilissima nel disegnare, nel riportare, nel ridurre progetti, piani, spaccati? e infine, quali serie ragioni potrebbero escludere le donne dai gabinetti scientifici dove si analizza, dove si prova, dove si esamina, dove si esperimenta; dagli altri dove si classifica, dove si raggruppa, dove si elenca?
⁂
Vie d’eccezione, senza dubbio. Aperte tutte, teoricamente, alla donna che abbia i requisiti necessari per percorrerle; in realtà, cosparse di tante spine, irte di tanti ostacoli, disseminate di tante difficoltà, che io mi farei uno scrupolo d indicarle alle mamme in cerca di una carriera per le loro figliuole.
Per una ragione sola; che tutte codeste vie sono già affollate, che v’è pletora di medici e di avvocati e di ingegneri e di professori, che il numero dei laureati alla ricerca di un misero impiego che permetta di campare la vita è strabocchevole e che non vale certo la pena di salire sulla breccia per combattere, accanto all'uomo, una battaglia così ardua.
La vostra figliuola ha davvero un ingegno d eccezione accompagnato da una forte volontà, orientato verso una vocazione spiccata? E allora, fatela studiare; malgrado le difficoltà, ella saprà farsi strada e raggiungere la sua meta. Ma se è soltanto intelligente, se è incerta sulla via da seguire, se non è una tempra e una volontà, rinunziate subito, per lei, alle carriere d eccezione.
E allora?
Scegliere fra i sentieri consentiti alla fanciulla: diventare maestra effettiva a 25 anni dopo il tirocinio e il volontariato e gli anni di assistente e la lunga attesa scorante per realizzare il sogno problematico che si traduce in poco più d’un migliaio di lire all'anno? correre gli uffici, sfruttare le conoscenze tutte, scrivere lettere su lettere, raccomandarsi, cercare, pregare per riuscire a scovare un posticino d’impiegata, di scrivana, di traduttrice, di contabile, di corrispondente rimunerata con sessanta, ottanta, cento lire mensili? diventare stenografa, dattilografa con quarantacinque lire al mese? prendere un diploma, imparare le lingue e il pianoforte per entrare in una casa in qualità di istitutrice, la più ambigua, la più melanconica, la più amara fra le professioni femminili?
Tutto questo è possibile, si, tutto questo è comune anche, troppo comune persino, per essere ancora consigliabile.
Infinitamente preferibile alla miseria di tutte queste povere carriere pulite, di queste piccole professioni decenti che significano la povertà e la mediocrità sicure, l’impossibilità di avanzare mai, di risparmiare mai, di conquistare per gli anni della vecchiaia un riposo indipendente e sicuro, mi pare il coraggio di abbracciare un mestiere.
Una sarta mediocre guadagna più di una brava insegnante; una modista di gusto fa assai più quattrini di una professionista; una lavorante in biancheria che riesca a mettersi un piccolo negozio elegante e fortunato accumula i risparmi che una impiegata sognerebbe invano.
Tutte le donne lo sanno, lo sanno tutte le mamme che pur ricusano, per uno stolto pregiudizio, per una malintesa vanità, di fare delle loro figliuole una modista, una sarta, una cucitrice di bianco. La piccola borghesia ha raccolto, per miseria sua, l'eredità del preconcetto che l'ago e le forbici appartengono all'operaia esclusivamente, e, chiusa in questa errata convinzione, si ostina a fare delle sue figliuole delle piccole professioniste anemizzate dalla fame, anziché spingerle ad abbracciare un mestiere che esse potrebbero, coll'ingegno, sollevare a dignità di arte o di professione.
Un errore. Bisognerebbe convincersi che la sola differenziazione di superiorità fra lavoro e lavoro può venir data dall’eccellenza nel modo di esercitarlo. Una fanciulla che abbia ingegno e buon gusto può mettere tanto senso d'arte nel comporre un vestito, nell’ideare un cappello, nel disegnare una guarnizione quanta ne può mettere uno scultore nello sbozzare una statua. Il guaio consiste appunto nel fatto che nessuna donna intelligente e colta abbia mai voluto comprendere quest’umile verità e non si sia mai degnata di applicare la sua intelligenza, la sua coltura, il suo senso d'arte, le sue conoscenze fisiologiche, la sua erudizione intorno alla storia del costume femminile alla confezione di un vestito.
Quello della sarta è sempre rimasto un mestiere appunto perchè lo si è sempre lasciato esclusivamente alle piccole operaie impossibilitate a dare alla loro abilità meccanica un sostrato di coltura estetica.
Esistono nomi di creatori e d’artisti del costume femminile ma son tutti nomi maschili: Worth, Doucet, Paquin, Eedfern, Bischoff, Drecoli... sono nomi maschili anche in Italia quelli degli emuli dei principi della moda della Rue de la Paix.
Perchè non potrebbero farsi innanzi le donne e ambire di diventare delle grandi sarte, delle grandi modiste, delle creatrici d’eleganze nuove, delle collaboratrici efficaci e preziose della bellezza muliebre?
Esercitato così un mestiere, con intelligenza, cioè, con abilità, con passione, con eccellenza, non diventa una carriera infinitamente preferibile alle mediocrissime civili che a una donna garantiscono soltanto... la fame?