<dc:title> Come andò a finire il Pulcino </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ida Baccini</dc:creator><dc:date>1902</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/Quel_che_succede_spesso&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20180304172758</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/Quel_che_succede_spesso&oldid=-20180304172758
Come andò a finire il Pulcino - Quel che succede spesso Ida BacciniBaccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu
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ci rinvoltò dentro Gigino, e si avviò verso
casa.
— Curiosa! — esclamò Masino. — Quest’al-
tro passerotto ti è volato sulla spalla. Che sia
un conoscente di Gigino? —
La signora Carolina, con la mano che le
restava libera prese il passerotto, e guardatogli
attentamente la gola grigio-chiara, disse:
— È una femmina: dicerto dev’esser la
mamma di Gigino, corsa in soccorso del figliuolo. —
Un vivacissimo « pio! » fu la risposta della
madre; e la signora Carolina, sempre più convinta, mise i due uccelli nella stessa gabbia,
affrettando in tal guisa la guarigione del povero piccino, così barbaramente aggredito.
VI.
Qviel che succede spesso.
Questo è proprio un caso da raccontarsi e
che dovrebbe, mi pare, dare argomento di
molte riflessioni ai ragazzi che leggessero que-
13 — Baccini, Memorie d’un Pulcino, ecc.
— 18 [p. 182modifica]2 —
ste mie paginette. (Oh potessi rivedere la signora Ida Baccini!).
Il signor Teodoro passeggiava nell’ orto con
un’aria molto triste, spiegando fra le mani una
lettera.
Dopo poco lo raggiunse la signora Carolina.
— Che cosa ti ha risposto il maestro di Masino ? — gli domandò.
— Senti! — le rispose il
marito. E le lesse la lettera
che teneva fra le mani:
« Caro signor Gennarelli,
« Sento con molto dispiacere
che lei non è troppo contento
di Masino. Io non posso certamente affermare che il suo
fìglioletto sia l’alunno più diligente della classe e che le
sue lezioni sieno perfette. Masino è un po’vivace, un po’ strafalcione, ma in compenso che
buon cuore, che ottimo carattere !
« Tutti i suoi compagni lo amano come [p. 183modifica]un
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fratello; e io, caro signor Teodoro, vedo riprodotta in lui l’immagine dell’ unico mio Aglietto,
morto un anno fa, lontano da me, in un collegio di Eoma! Aveva gli stessi occhi ridenti,
lo stesso fare di Masino! Può dunque immaginare se gli voglio bene, e se cerco di sviluppare in lui ogni più bella qualità dell’anima,
e dell’ingegno!
« Non dubiti che l’affetto mi renda cieco:
esso m’illumina sempre di più sulla via che
debbo tenere per quanto si riferisce all’educazione del suo figliuolo. E quando è tempo di
gastigare, gastigo.
« Me ne piange il cuore, ma gastigo. Ieri
dovei privarlo della ricreazione, perchè aveva
sbagliato per trascuratezza il quesito d’aritmetica. Ebbene, vuol che glie lo dica? Non potei
far colazione. Ma ella intanto si tranquillizzi, e
pensi che i difetti del suo Masino si correggeranno facilmente col tempo e col progresso
negli studi.
« La riverisco.
« Suo devot.mo
« Aurelio Bicci. » [p. 184modifica]_ 184 —
— Povero signore! — esclamò la signora
Carolina.
Non so quel che rispose il signor Genna-
relli, perchè proprio in quel punto giunse trafelata la serva ad annunziare una visita.
I padroni le andarono dietro e il signor
Teodoro non si accòrse che la lettera gli era
scivolata di mano ed era vicino a me, ai piedi
del famoso pèsco, dalle cui rame non penzolava più, ahimè! la gabbia del mio amato
Gigino.
£
Due ore dopo questo colloquio, entrarono
nell’orto Alberto e Masino. Quest'ultimo pareva in preda al più cupo malumore, e invano
Alberto cercava di calmarlo.
— No, no ! — esclamava il mio giovane padrone — è inutile che tu tenti di persuadermi.
Oramai la mia risoluzione è presa, e a scuola
non ci voglio tornar più!
— Ma amico mio, pensa al dolore che darai
ai tuoi genitori!
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— Se mi vogliono bene capiranno le ragioni. Il signor Maestro non mi può soffrire!
Quando mi guarda fa sempre il viso serio
come se vedesse un oggetto spaventoso, un
mostro !...
— No, no! Ooteste sono esagerazioni! Mi
sono accorto anch’io che quando pone gli occhi su di te diventa serio, ma non credo però
che ciò dipenda da un’antipatia che egli nutra per te. Si direbbe quasi che la tua vista lo
commova, che gli susciti nell’anima qualche
memoria dolorosa! —
Ah che parole d’oro gli uscivano di bocca,
caro sor Albertino, e come, mentre ella parlava, maledicevo alla mia condizione di pollo,
che m’impediva di stringerle la mano e di gridarle: « Bravo! Cerchi di persuadere codesto
sciocchino! » Ma pur troppo, non ero, non
sono che un galletto!
— Ah sì ? — domandava il padroncino con
aria di canzonatura — è perchè la mia vista lo
intenerisce che mi priva della ricreazione e mi
gastiga tanto spesso?
— Bisogna dire — osservò Alberto timi [p. 186modifica]da— 186 —
mente— che il tuo quesito d’ieri era una gran
birbonata. Avevi confuso il numero degli anni
con quello delle lire e avevi fatto nascere Cristoforo Colombo nel 1870, all’epoca della breccia di Porta Pia!...
— È grossa, ne convengo : ma ad ogni
modo il gastigo è stato troppo sproporzionato
al fallo! Quel maestro non mi può soffrire, lo
sento! —
Nell’udire quelle parole così ingiuste, il sangue mi saliva al capo e m’incendiava la cresta! Come persuadere quel ragazzaccio? Mi
venne un’idea luminosa. La lettera del signor
Aurelio, tutta spiegazzata, era lì a due passi da
me, sopra un mucchio di spazzatura. Il luogo
dove si trovava non era troppo degno del mio
becco; ma il desiderio di fare un’opera buona
vinse sulla mia legittima ripugnanza, e impadronitomi del prezioso foglio, mi misi a passeggiare, con aria indifferente, intorno ai due
giovinetti.
Détti subito nell’occhio ad Alberto.
— Curiosa! — esclamò. — Il Pulcino (oramai quel nome non mi si leva più [p. 187modifica]!) ha una
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lettera nel becco! Ohe cosa significa? Aspira
forse all’impiego di postino? —
L’idea parve senza dubbio assai buffa al
mio padrone, perchè si mise
a ridere e mi tolse la lettera
di bocca!
Appena ne ebbe scòrse le
prime righe, diventò bianco
come un cencio lavato ; tanto
che Alberto pose gli occhi,
anch’esso, sul misterioso foglio: ma di mano in mano
che Masino progrediva nella
lettura, la sua fisonomia, di
cupa e accigliata, diveniva serena, raggiante: e
quando ebbe finito, nascose il volto fra le braccia dell’ amico, sussurrando fra i singhiozzi :
— Oh com’ ero ingiusto ! Povero signor Maestro! —
Io mi ero allontanato discretamente, perchè mentre godo nel fare il bene ho altrettanto a noia i ringraziamenti, allorché udii la
voce di Alberto che gridava, preso dall’entusiasmo :
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