Colombi e sparvieri/Parte III/IV

Parte III - Capitolo IV

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IV.


Contrariamente a quanto affermava Pretu le nozze di Columba si celebrarono con semplicità, quasi con segretezza, come si conveniva a una ragazza che sposava un vedovo.

Invece della domenica furono celebrate il sabato, e lo stesso giorno gli sposi partirono. L’uomo era felice, d’una felicità calma e serena. Vestito come un signorotto del medio evo — corpetto di velluto, sopragiacca ricamata, cintura con cartucciera, ghette e speroni — finchè stava in sella o seduto su una scranna, sembrava giovine e bello; ma appena si moveva l’incanto svaniva. Columba non poteva abituarsi a seguire il movimento delle gambe corte di lui e camminando le pareva di imitarlo.

Una sorella anziana, Maria Juanna, alta e dritta come un pioppo, e alcuni nipoti e cugini, tutti bei giovani agili irrequieti, avevano accompagnato lo sposo. Quest’allegra compagnia, e il trovarsi sotto lo sguardo scrutatore della nuova cognata, avevano tenuto Columba in uno stato di sovreccitazione che sembrava gioia: ma a un tratto, prima della partenza, ella era ridiventata pallida, preoccupata, e con la scusa di dare alcune avvertenze a Banna era scomparsa dal pian terreno della casa.

Un’idea fissa la incalzava: riveder Jorgj ancora una volta, domandargli perdono. Ma come fare? Impossibile arrivare sino a lui senza esser veduta.

Nel caldo meriggio i cavalli carichi di bisacce di lana a striscie bianche e nere scalpitavano [p. 251 modifica]pronti a incamminarsi; tutte le donnicciuole del vicinato, i parenti, gli amici e molti curiosi gremivano la strada, per assistere alla partenza degli sposi.

Un vociare allegro, risate e grida risuonavano intorno; zio Remundu faceva distribuire vino e dolci sotto l’atrio ove si notava un agitarsi confuso di teste di donne, lunghe sotto i fazzoletti frangiati, e di teste d’uomini con le berrette ripiegate o penzolanti su un orecchio.

A un tratto la gente riunita nella strada fece largo e lasciò passare il prete, il quale aveva preso parte al banchetto intimo della famiglia degli sposi e se ne andava dopo averli un’ultima volta benedetti. Ma invece di risalire la strada egli passò salutando col capo e socchiudendo gli occhi al sole, ed entrò nel cortile di Jorgj; le donne lo seguivano con lo sguardo e molte tacquero, altre si urtarono col gomito. Qualcosa di melanconico, come l’ombra di un ricordo triste, passò su quei visi pieni di curiosità e di malizia.

Zio Remundu uscì a cavallo dal portone; i giovani parenti dello sposo montarono anch’essi sulle loro cavalcature, accomodandosi la berretta sul capo, il fucile sulle spalle, curvandosi poi per salutare gli amici improvvisati e i nuovi parenti che rimanevano in paese.

Columba non riappariva. Banna, ferma davanti al cavallo del nonno, con una lunga cuffia sotto il fazzoletto fiorito, riceveva alcune istruzioni dal vecchio, fissandolo coi suoi occhi verdognoli, scintillanti nel suo viso rosso e fiero più prepotente del solito: pareva lei la sposa, e una gioia proterva, come un orgoglio di vittoria, le traspariva da tutta la persona forte e irrequieta.

Columba non compariva. La sorella dello sposo, seduta a cavalcioni su una giumenta bianca, [p. 252 modifica]uscì curvandosi sotto l’arco del portone, tanto era alta, e subito dietro di lei ecco lo sposo, sulla groppa del cui cavallo baio era fissato una specie di sedile fatto con un cuscino e un cercine rosso che doveva servire per la sposa. Ma essa non appariva.

— E ritornata su: aveva dimenticato qualche cosa, — disse Zuampredu alla sorella che lo interrogava con gli occhi.

— Columbè, Columbè! Andiamo? — gridò il marito di Banna dall’alto del suo cavallo, sollevando il viso verso la finestra.

Allora Banna corse dentro; risalì al piano superiore e vide Columba che chiudeva l’uscio sulla veranda e piangeva Aveva detto addio a Jorgj, da lontano, poichè non poteva andargli vicino: aveva detto addio al passato, piangendo l’uno e l’altro egualmente morti per lei.

— Columba! Su, Columba, sorella mia! Coraggio, — disse Banna andandole incontro. La prese per la vita e si mise a piangere anche lei.

— Non darti pensiero di nulla, — proseguì singhiozzando, — tutto.... tutto resterà in ordine.... Non hai più nulla da dirmi?

Fin dal giorno prima Columba le aveva dato consegna della casa, che d’altronde Banna conosceva meglio di lei; non c’era più nulla da dirle, no, non c’era più nulla da dire fra loro; ma la sposa continuò a piangere, mentre la sorella la conduceva quasi a forza giù per la scala, come l’aveva sempre condotta nella vita.

Asciugandosi gli occhi col dorso della mano, Banna diceva:

— Su, non farti veder così alla gente, anima mia: che diranno? che vai ad un funerale?

Columba si fermò svincolandosi dall’abbraccio: s’asciugò anche lei il viso e cercò di ricomporsi. [p. 253 modifica]— Banna, — disse sottovoce, perchè già in fondo alla scala appariva qualche viso curioso, — ti vorrei domandare un piacere....

— Parla, sorella mia, parla!

— Sentimi, io me ne vado ed è come che sia morta davvero; non tornerò più qui. Ma tu e babbo Corbu.... diglielo, sai... tu e lui non tormentate più quel disgraziato.... Restituitegli la fama.... e se muore fatelo accompagnare dal prete e dalle confraternite.... e fategli dire la messa cantata.... pagherò tutto io....

— Columba.... sorella mia.... — cominciò Banna battendosi i pugni sulle anche; ma non proseguì: la sposa era già in fondo alla scala e diceva a voce alta:

— Addio, addio; statevi bene e venite presto a trovarmi....

Si legò il fazzoletto sotto il mento e trasportata da un gruppo di donne che la baciavano ridendo e piangendo, uscì nella strada e montò agilmente sullo schienale di una sedia donde balzò sulla groppa del cavallo di Zuampredu.

— Stai bene, Columba? — egli le chiese, col viso sull’omero. — Accomodati bene le sottane intorno alle gambe.

— Bene, bene, addio, conservatevi; Banna, addio; chiudi il portone....

Le donne le accomodarono le sottane intorno alle gambe; ella passò il braccio intorno alla vita dello sposo, e il cavallo impaziente di mettersi a capo dei compagni si mosse attraverso la gente che si scostava.

Un visetto bruno, due grandi occhi scintillanti di curiosità apparvero a Columba, quasi sotto ai suoi piedi: era Pretu seduto sulle pietre del mendicante. Egli le fece un cenno di addio con la mano: ella rispose con uno sguardo disperato, e gli occhi le si riempirono di lagrime; [p. 254 modifica]ma provò un senso di sollievo perchè le parve che il ragazzo si alzasse per andar a portar l’addio di lei al povero Jorgeddu. Allora si tirò il fazzoletto sugli occhi per ripararsi dal sole; vide ancora una volta la casa, il portone, la sorella, il muro del cortile di Jorgj; addio; tutto ora finito, tutto era stato un sogno. Ricordò che aveva dimenticato il ditale sulla veranda e fu presa da una vaga inquietudine: ah, lassù, nel paese nuovo, bisognava comprare un altro ditale, cominciare un’opera nuova.... Come era il cortile lassù? Si poteva cucire senza esser osservati dai vicini? Ella voleva stare nascosta, vivere sola col suo pensiero segreto.

All’improvviso tutta la valle rimbombò come por una battaglia: i cavalli trasalirono e Zuampredu strinse la mano a Columba per paura che ella scivolasse dal suo sedile. Grida selvaggio accompagnavano gli spari che i parenti degli sposi eseguivano in segno di gioia; e le valli e l’altipiano, nel sereno meriggio, rispondevano gravemente con la voce dell’eco.

Columba guardava di sotto al suo fazzoletto il cui orlo descriveva come una cornice intorno al quadro ch’ella ancora vedeva. Lassù è la chiesa, sul cielo chiaro e quasi triste; ecco l’albero della casa rossa del dottore; ecco le casupole nere; ecco la casa paterna, e ancora il muro del cortile di Jorgj.... La gente s’agita ancora lassù, nel sole: una figurina bianca e una figurina nera appaiono un momento davanti il muro, come due ombre una luminosa, l’altra scura; Columba credo di riconoscer Pretu e la straniera e nasconde il viso contro la spalla di Zuampredu mentre egli continua a stringerlo la mano e ogni tanto si volge per domandare al nonno, indicandogli col lembo delle redini un muro o una distesa di macchie: [p. 255 modifica]

— E quel terreno lì di chi è? E a chi è affittato?

Il nonno, il cui vecchio cavallo aveva anch’esso la velleità di sorpassare i compagni, si metteva la mano sull’orecchio per sentire meglio, ma mentre rispondeva ad alta voce, con gli occhi vivaci non cessava di guardare Columba. Ah, gli occhi di lei eran rossi, all’ombra del fazzoletto coperto di fiori: non erano occhi da sposa felice, quelli! Anche a lui pareva di aver dimenticato qualche cosa, lassù nel villaggio, e ne provava inquietudine.

La comitiva scese un tratto della valle, poi riprese la salita su verso l’altipiano. I giovani cantavano, guidati dal marito di Banna, e la sorella dello sposo, rigida e alta sulla sua cavalla bianca, sembrava un’amazzone pronta ad attraversare pianure e montagne, calma nell’ora del tripudio, calma nell’ora del pericolo.

Le macchie di alaterno e di ginepro fiorito, i gigli selvatici e le peonie che crescevano all’ombra delle roccie come in un giardino abbandonato, profumavano l’aria.

La comitiva seguiva la stessa strada un giorno percorsa dalle famiglie nemiche che andavano giurar pace nella chiesetta dell’altipiano: ed era appunto intenzione dello sposo di fermarsi lassù per fare uno spuntino.

Il nonno raccontava, stendendo la mano in avanti: — Ecco, qui sbucò fuori quel matto di Innassiu Arras, e si mise accanto al vescovo.... Uomo buono, quel vescovo, ma la sua fetta di pazzia ce l’aveva anche lui nelle sua testa; era un uomo che quel che voleva voleva. Così non si venne a nessun accordo, agnelli miei: il prefetto invece era un uomo furbo, palla che gli trapassi il fegato; la sua intenzione io la capii subito, sì, [p. 256 modifica]belli miei, egli voleva metterci tutti al riparo dalle pioggie.... e insegnarci a far la calza!...1

Sostarono davanti alla chiesetta e il sogno di Zuampredu si avverò: Columba sedette all’ombra d’una quercia e il marito, di Banna trasse dalla bisaccia pane, vino, dolci. Ma nessuno aveva fame; solo i giovani bevettero, poi condussero i cavalli al fiumicello la cui acqua già scarsa stagnava qua e là riflettendo i giunchi e gli oleandri fioriti.

Un fischio risuonò dietro i querciuoli dell’altura, un capretto nero dai grandi occhi lucidi scese al fiumicello, seguito da alcune pecore già tosate a cui serviva di guida: altri capretti sporsero il muso fra i cespugli, qua e là sulle piante e sulle roccie apparvero le capre grigiastre che guardarono con curiosità gli uomini e i cavalli fermi fra gli oleandri.

Il pastore le richiamava fischiando: era un vecchio con una lunga barba a due punte, col cappuccio in testa e una borsa di cuoio sulle spalle. Il marito di Banna, allegro più del solito, cominciò a scherzare con lui.

Ziu Innassiu Arras, e che, ve le portate sempre appese alle spalle le vostre ricchezza?

— Le ricchezze a te, — rispose il vecchio con voce stridente. — E che fai da queste parti, con tutti questi puledri?

— Li ho condotti a bere, non vedete?

Il vecchio fissò gli occhi scrutatori sui bei giovani che ridevano e gridavano di gioia, e per un momento rimase come perplesso. Egli era lì, fin dalla mattina, come in agguato, aspettando il passaggio degli sposi e di Remundu Corbu: aveva da dir loro qualche cosa, ma adesso esitava, come dolente di turbare, più che la gioia [p. 257 modifica]degli sposi, l’allegria di tutti quei «giovani puledri ».

Ma un sentimento di giustizia lo spingeva. Jorgeddu, il suo piccolo parente, colui che era andato una sera a cercarlo nel suo eremo di pietre, giaceva sotto il peso della calunnia, mentre coloro che l’avevano ucciso, scorrazzavano attraverso i campi fioriti, sotto il bel sole di giugno, e sorridevano di felicità.

Era giusto, questo? Tutto lo spirito protervo del vecchio si ribellava a quest’iniquità: ma senz’accorgersene, egli, come zia Giuseppa Fiore, univa alle sue personali ragioni di odio contro i Corbu le ragioni di Jorgj Nieddu: la sua sete di vendetta si confondeva con la sua sete di giustizia.

Jorgj lo aveva pregato di lasciar sposare e partire Columba, prima di riferire al nonno chi era il ladro del suo tesoro: ebbene, Columba si era sposata ed era partita, e nulla più poteva trattenere il vecchio dal parlare.

— Sono i parenti nuovi? — domandò accennando ai giovani col suo vincastro. — E gli sposi dove si nascondono?

— Son lassù, all’ombra della quercia. Venite lassù a bere?

— Dio mi assista, sì!

E ciò che non s’era concluso in tanti anni, la pace, parve concludersi allora: egli seguì i Tibesi e bevette il buon vino degli sposi.

— Ebbene, — disse fissando Columba che stava seduta su una grossa radice e taceva guardandolo, — non venite nel mio piccolo ovile? Vi darò la giuncata e anche il siero, che rinfresca....

Egli parlava con malizia, ma zio Remundu credette di mortificarlo dicendogli: — Essi non hanno il calore che avevamo noi alla loro età! [p. 258 modifica]

— Venite, venite, andiamo, — proseguì il vecchio imperturbabile, facendo cenno con la testa a Columba di alzarsi e di incamminarsi. — lì qui a due passi. C’è anche un vostro vicino di casa.

— Chi? chi?

— Come, non lo sapete? Dionisi Oro.

Columba trasalì, ma il nonno disse con disprezzo: — Bel vicino! Il barone di Siniscola! Che fa lì?

— Tu lo sai meglio di me; è malato e s’è confessato: come si fa a cacciarlo via? Andiamo, su; tanto, a voi tutti, che importa del suo debito?

Il nonno lo afferrò per le braccia, fissandolo con gli occhi ardenti dell’antica fiamma. Un solo sguardo bastò ad entrambi per capirsi.

— Innassiè, che debiti può avere un pezzente?

— Remundè, — rispose il vecchio Arras ricambiandogli il diminutivo, — tu lo sai meglio di me.

— E tre! — gridò il nonno lasciandolo libero e incrociando nervosamente le braccia sul petto. E scuoteva la testa in segno di sarcastica approvazione. — Malanno! Io lo so meglio di te; ma che cosa?

Ziu Arras guardò Columba che era balzata in piedi appoggiando una mano al tronco della quercia, e ammiccò accennandole il nonno, quasi volesse dirle: come sa fingere!

Certo, se il nonno fingeva, fingeva bene; mentre Columba, che aveva capito tutto fin dallo prime parole del vecchio, tremava visibilmente appoggiandosi alla quercia per non cadere.

Zuampredu s’era messo davanti a ziu Arras squadrandolo con curiosità.

— Se davvero non lo sai, — riprese questi, sempre strizzando l’occhio e rivolgendosi di [p. 259 modifica]tanto in tanto a Columba come alla sola ch’era disposta a capirlo, — ebbene, al ritorno ripassa qui e vieni al mio piccolo ovile, poiché non vuoi venirci adesso....

— Che m’importa d’un pitocco idiota? Impiccalo! Bevi, bevi ancora, Iinassè; noi abbiamo fretta di ripartire. Ebbene, sì, al ritorno passerò nel tuo piccolo ovile; fammi trovare un capretto arrostito.

— Va bene, ti farò trovare il capretto arrostito.... «Adiosu», Columbè; buona fortuna e figli maschi. Non dimenticarti del paese natìo.

Ella sentiva un’allusione in ogni parola di lui: e l’improvvisa sollecitudine del nonno a partire aumentava i suoi sospetti. Il cuore le batteva forte, di angoscia ma anche di gioia. Ah, il Signore dunque aveva pietà di lei e le mandava almeno il conforto di veder Jorgeddu purificato dalla sua onta: la verità, risorge sempre, come il sole dopo le tenebre, e la sua luce illumina egualmente la strada ai pellegrini che s’incamminano pregando e ai malfattori che rientrano dopo aver commesso il male....

Ma ella voleva saperla tutta, la verità; in un attimo si sentì riprendere dalle smanie che l’avevano tormentata durante tutti quei mesi di incertezza.

Mentre il marito di Banna, che non aveva aperto bocca ma aveva capito anche lui ogni cosa, sollecitava i giovani a rimettere le selle e i freni ai cavalli, ella si staccò dal tronco e mettendosi davanti a ziu Arras a sua volta strizzò lievemente un occhio.

— Dionisi dunque s’è confessato? Ma il confessore lo ha assolto?

— Io non lo so, Columbè! Non ero io, era prete Defraja, il confessore!

— da parte mia, ziu Innà, ditegli che si [p. 260 modifica]confessi meglio, che si confessi a voce alta, e che restituisca il mal tolto.

Il vecchio capì bene che ella alludeva alla fama tolta al disgraziato Jorgeddu, ma colse l’occasione per rivelare tutto il suo pensiero.

— Senti, — disse accostando la bocca all’orecchio di Columba, ma in modo che anche gli altri potessero sentire, — va alla chiesa di San Francesco: il pezzente ha sepolto la vostra pecunia sotto il muro accanto al pozzo....

Il viso di lei si fece azzurrognolo: i suoi occhi spalancati fissarono quelli del nonno.

— Avete sentito, babbu Corbu?

Il nonno riafferrò le braccia del suo antico nemico e lo scosse digrignando i denti.

— Ti succhi il cuore il vampiro, ti abbracci la forca, Innassiu Arras! E vieni a raccontarmele così, queste storie? In mezzo alla strada, in un momento come questo?

— Tutti i momenti son buoni, per la verità!

— Ma è la verità, questa?

— A queste parole non rispondo, no, perdio, Remundu Corbu! Del resto, ecco, guarda il viso di tua nipote e vi leggerai la verità!

Columba si sentiva tremar le ginocchia, ma faceva uno sforzo supremo per non cadere svenuta. Zuampredu la guardava e le si accostò come per sostenerla; ma che le importava di lui e di ciò che egli poteva pensare? Le cose di cui parlavano i due vecchi non lo riguardavano: riguardavano lei sola ed ella doveva aggiustarle.

— Avete sentito, babbu Corbu? — ripetè. — Andate.... cercate.... restituite il mal tolto....

E d’un tratto, mentre la voce del nonno risuonava furibonda fra il nitrir dei cavalli impazienti di ripartire, ella si piegò come per sedersi, tese le braccia in avanti e cadde distesa a bocca a terra ai piedi del suo sposo. [p. 261 modifica]

— Columba! Columba!

— Columbè, anima mia!

Il luogo tranquillo risuonò di grida; in un attimo tutti formarono un gruppo nero attorno a quel corpo che si abbandonava come morto sul terreno umido. Maria Juanna però fece cenno a tutti di scostarsi; sedette per terra e appoggiò sulle sue ginocchia la testa di Columba, ordinando a Zuampredu: — Stendile bene sul suolo le gambe.... Datemi un po’ di vino, — aggiunse, slacciandole il corsetto.

Le diedero il bicchiere dove aveva bevuto zio Arras, e solo allora il vecchio impassibile parve commuoversi. Anche zio Remundu taceva guardando Columba come spaventato. S’ella fosse morta? Egli, egli l’aveva uccisa.

E sognò un orribile sogno: Columba stesa sul carro nuziale, quello che trasportava le suo robe da Oronou a Tibi (le corna dei buoi erano coperte di foglie e di fiori come rami a primavera), Columba che ritornava verso il paese natìo, dopo il suo viaggio fatale, già stanca e muta ancor prima di esser giunta alla sua casa nuova; e lo sposo che tolto dalla bisaccia e indossato di nuovo il suo vestito da vedovo, seguiva il carro nuziale trasformato in carro funebre....

Era una cosa talmente iniqua e contro natura che il nonno si ribellò; un istinto di reazione lo spinse a rivolgersi contro l’antico nemico. Bisognava che qualcuno pagasse per la sorte crudele.

— Innassiu Arras, sarai contento! Ecco cos’hai fatto!

Ma Zuampredu curvo ansante su Columba si sollevò diventato anche lui feroce.

— Basta, perdio! Zitti; ritorna in sè.

Ella infatti riaprì gli occhi, si rialzò a sedere, [p. 262 modifica]abbassò la testa come per ricordarsi cos’era accaduto; poi balzò in piedi vergognosa della sua debolezza.

— Ah, le forze mi son mancate; che dirai, Zuampredu Cannas? Ah, fratelli miei, non lo dite a nessuno!

I giovani la circondarono ridendo, tuttavia ancora un po’ spauriti per l’incidente che aveva offuscato la loro gioia.

— Oh, che donna sei! Di formaggio fresco?

— Dritta, su, se no ti leghiamo in mezzo a tre canne come l’alberello di susine....

— Columbè, scusami! — esclamò allora zio Innassiu tendendole la mano, un po’ timido e pentito. — Io credevo che sapeste già!

Ma Zuampredu s’interpose di nuovo, energico, e battendo una mano sulla spalla del vecchio lo fissò coi suoi occhi limpidi.

— Ziu Innà, sentitemi. Lasciateci andare, abbiamo fretta di arrivare: se babbu Corbu ha da schiarire cose con voi che egli rimanga; ci raggiungerà. Egli è ancora svelto.

Il nonno era diventato pensieroso e pareva un altro uomo, col braccio appoggiato al fianco del cavallo, la testa cuna. Ma quando tutti furono di nuovo in sella egli accennò verso la strada e disse con voce mutata:

— Andate: vi raggiungerò.

Così i due antichi avversari rimasero soli, all’ombra della quercia, in faccia alla chiesetta che non aveva accolto la loro promessa di pace.



Al ritorno, dopo aver raggiunto e accompagnato gli sposi fino alla loro casa, il nonno andò alla chiesa di San Francesco. [p. 263 modifica]

Quanti ricordi lungo la via, attraverso le brughiere dei monti di Lula, attraverso le macchie che lo avevano veduto fanciullo in groppa al cavallo del nonno, poi adolescente selvaggio, poi sposo accompagnato dalla sposa, anima lucente e inflessibile come l’acciaio; poi uomo incalzato dalle passioni più violente, l’odio, la sete di vendetta che spesso prende l’apparenza di sete di giustizia, eroe errante, cacciatore e selvaggina al tempo stesso, cuore d’aquila che sfugge al nemico, occhio d’avvoltojo che lo cerca.... e adesso vecchio che aveva sepolto le sue passioni inutili e pericolose come il mendicante ladro aveva sepolto il tesoro rubato....

Sì, egli sentiva che qualcosa s’era spezzata entro di lui ed era precipitata in un abisso come la pietra che si stacca dalla cima della roccia percossa del fulmine.

«E se Columba fosse morta?» pensava continuamente.

Neppure la morte di sua moglie, neppure il pericolo ch’ella aveva corso una volta nella foresta quando egli aveva urlato come un leone, l’avevano colpito come lo svenimento di Columba. Egli tentava di liberarsi dalla sua idea fissa, cercando come altre volte di risalire il fiume dei suoi ricordi, ma ogni tanto il suo pensiero tornava là, all’ombra della quercia, e il viso bianco di Columba, i suoi occhi chiusi, il suo corpo inerte, gli stavano continuamente davanti.

«Sei rimbambito, Remundu Corbu, — diceva a sè stesso, battendo il pugno sul pomo della sella. — La tua schiena è come la canna fracida ».

In fatti s’era alquanto incurvato, in quei due giorni; ogni tanto si raddrizzava per ripiegarsi tosto. L’unica spiegazione che riusciva a soddisfarlo, a confortarlo per la sua improvvisa debolezza di corpo e di mente era questa: [p. 264 modifica]

«Tu sei invecchiato; tu sei rimbambito, Remundu Corbu».

Come spiegare altrimenti la sua improvvisa docilità, davanti al suo antico nemico? Egli non aveva quasi replicato, e quasi neppure badato alle insinuazioni maligne, ai rimproveri, agli insulti del vecchio «poltrone», preoccupato solo del pensiero della sua Columba. Se ella sveniva ancora? Se moriva per la strada?

«Rimbambito, rimbambito» tornava a ripetersi: ma intanto mentre il vecchio cavallo scendeva cautamente l’erta attento a non scivolare sulle lastre di schisto che scintillavano come argento brunito, egli rivedeva di nuovo il viso pallido di Columba, non più all’ombra della quercia, ma nella casa dello sposo. Ella si aggirava come smarrita, di qua e di là, nelle cucine quasi buie, nelle stanzette un po’ umide impregnate dall’odore del formaggio e della lana. La casa dello sposo era grande, ma non molto allegra; dava l’idea di un antico monastero trasformato in ovile.

«Columbedda mia non si spaventa, se c’è da lavorare, e da custodire molta roba; è abituata, — pensa il nonno tirando le redini del suo cavallo. — Dopo tutto, sì, è stato un bel matrimonio: Zuampredu è un uomo d’oro ed ella vivrà là come in una nicchia».

Sì, del resto anche le sante nello loro nicchie non sono molto allegre: e Columba non lo è stata mai. Ma non è l’immagine della sposa melanconica che turba il vecchio: è quell’idea fissa che lo perseguita.

«Se ella fosse morta!»

E va e va, il vecchio protervo, e non si accorge che in fondo alla sua coscienza è la pietra caduta dall’alto, che pesa: non sa confessarlo a sè stesso, ma sente di aver ucciso la [p. 265 modifica]giovinezza di Columba, il suo amore, il suo cuore, e che la vera immagine di lei, oramai, è quella che lo perseguita: una Columba inerte, pallida cieca distesa come morta all’ombra del grande albero della vita.



Arrivato davanti a San Francesco smontò, si fece il segno della croce, si tolse la berretta e attraversò i cortili tirandosi addietro il cavallo. L’erba cresceva lungo i muri di cinta e sui tetti delle casupole che circondano il santuario; solo le rondini coi loro voli e i loro stridi simili a trilli di chitarre animavano il luogo deserto.

Egli legò il cavallo a un piuolo, nel cortile interno, ed entrato nella chiesa s’inginocchiò sul pavimento fissando il severo santo barbuto che dall’alto della sua nicchia pareva lo guardasse diffidente e curioso.

«Anche tu sei qui? — pareva volesse dirgli. — Ebbene, che t’è accaduto? Noi ci conosciamo da un pezzo!»

Quanti uomini agitati dalle passioni, incalzati da desiderii e da paure, quanti persecutori e quanti perseguitati s’erano genuflessi lì, ai piedi del santo barbuto, loro amico o giustiziere! Ma il nonno sapeva che non è facile ingannare San Francesco di Lula.

— San Francesco, avvocato dei buoni, non son qui per domandarvi una cosa ingiusta. Son peccatore e mi pento, ma vengo da voi, solo per chiedervi consiglio, lo sono vecchio ed ho errato, ma qual’è l’uomo che non erra? La vostra esperienza è più grande della mia, «Santu Franciscu abbocadu!» Ditemi dunque che cosa devo [p. 266 modifica]fare in questo frangente. Io scaverò sotto il muro, adesso, e se troverò i denari li lascerò a voi; ma voi consigliatemi che cosa devo fare, poichè se io ho errato è stato appunto ogni volta che ho fatto di testa mia, credendo alla mia sapienza e al mio giudizio!...

Si alzò e preso dalla sua bisaccia un piccolo badile di cui s’era provveduto in casa di Columba andò a scavare nel sito indicatogli da Innassiu Arras. L’ombra del muro stendeva un largo nastro bruno sull’erba della china, e nella quiete profonda del pomeriggio solo lo strido delle rondini interrompeva il silenzio del luogo.

Ed ecco che la punta del badile incontrò qualcosa di duro e di metallico: il cuore del vecchio batteva come se egli stesse per scoprire un tesoro nascosto fin dagli antichi tempi. Quando la cassettina veime fuori, annerita dall’umido, egli si gettò a sedere sulla terra smossa, tremando, turbato come un ladro....

Di che tremava? Egli non sapeva. Di rabbia, di umiliazione, d’inquietudine. Gli avevan fatto ben altri dispetti, nella vita; ben altre sorprese egli aveva provato; ma nessuna lo aveva umiliato come questa.

Aprì la cassettina e contò i denari. C’eran tutti; le monete d’oro e quelle d’argento; i biglietti ripiegati che l’umido aveva annerito e faceva marcire come foglie.

— Così marcisca l’anima tua nel profondo dell’inferno! — gridò esasperato, e la sua voce echeggiò come in un cimitero; una rondine che sporgeva la testina curiosa al disopra del muro volò via spaventata.

Egli appoggiò una mano a terra, si alzò, riprese il badile e ritornò nella chiesa.

— Che fare? — si domandava.

Adesso non c’era più via di uscita: bisognava [p. 267 modifica]render giustizia a Jorgj Nieddu. Zio Innassiu Arras aveva parlato chiaro:

«O tu restituisci la fama a quel disgraziato o io ti svergognerò in pubblica piazza».

— Che fare, pertanto, San Francesco avvocato?

Il santo barbuto guardava dall’alto della sua nicchia. Vide il vecchio accostarsi alla cassetta delle offerte e farvi cadere una dopo l’altra le monete e introdurvi i biglietti; poscia segnarsi, genuflettersi ancora e curvar la testa come stanco e vinto. Fu l’offerta cospicua o fu il turbamento del vecchio a commuovere il santo? A un tratto il consiglio implorato illuminò la mento di zio Remundu Corbu.

Egli stette a lungo immobile, a testa china, come intento a una voce lontana; finalmente si alzò, guardò un’ultima volta il Santo e col capo gli fece segno di sì. Sì, sì, come un buon cliente che paga e si lascia guidare dagli accorti consigli del suo avvocato, egli era deciso a dar ascolto alla voce che gli diceva: «va da Jorgj Nieddu e rendigli giustizia».

  1. In carcere.