Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 267 — |
render giustizia a Jorgj Nieddu. Zio Innassiu Arras aveva parlato chiaro:
«O tu restituisci la fama a quel disgraziato o io ti svergognerò in pubblica piazza».
— Che fare, pertanto, San Francesco avvocato?
Il santo barbuto guardava dall’alto della sua nicchia. Vide il vecchio accostarsi alla cassetta delle offerte e farvi cadere una dopo l’altra le monete e introdurvi i biglietti; poscia segnarsi, genuflettersi ancora e curvar la testa come stanco e vinto. Fu l’offerta cospicua o fu il turbamento del vecchio a commuovere il santo? A un tratto il consiglio implorato illuminò la mento di zio Remundu Corbu.
Egli stette a lungo immobile, a testa china, come intento a una voce lontana; finalmente si alzò, guardò un’ultima volta il Santo e col capo gli fece segno di sì. Sì, sì, come un buon cliente che paga e si lascia guidare dagli accorti consigli del suo avvocato, egli era deciso a dar ascolto alla voce che gli diceva: «va da Jorgj Nieddu e rendigli giustizia».
V.
Tornaron le chiare notti di giugno. La luna illuminava il paesetto, l’Orsa maggiore e l’Orsa minore brillavano una per parte della chiesa sopra la linea dell’altipiano, e zio Remundu seduto sullo scalino della porta col suo bastone lucido fra le gambe come lo aveva veduto Jorgj bambino, raccontava alle donne le sue storielle, compresa quella del tesoro rubatogli e ritrovato