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«Tu sei invecchiato; tu sei rimbambito, Remundu Corbu».
Come spiegare altrimenti la sua improvvisa docilità, davanti al suo antico nemico? Egli non aveva quasi replicato, e quasi neppure badato alle insinuazioni maligne, ai rimproveri, agli insulti del vecchio «poltrone», preoccupato solo del pensiero della sua Columba. Se ella sveniva ancora? Se moriva per la strada?
«Rimbambito, rimbambito» tornava a ripetersi: ma intanto mentre il vecchio cavallo scendeva cautamente l’erta attento a non scivolare sulle lastre di schisto che scintillavano come argento brunito, egli rivedeva di nuovo il viso pallido di Columba, non più all’ombra della quercia, ma nella casa dello sposo. Ella si aggirava come smarrita, di qua e di là, nelle cucine quasi buie, nelle stanzette un po’ umide impregnate dall’odore del formaggio e della lana. La casa dello sposo era grande, ma non molto allegra; dava l’idea di un antico monastero trasformato in ovile.
«Columbedda mia non si spaventa, se c’è da lavorare, e da custodire molta roba; è abituata, — pensa il nonno tirando le redini del suo cavallo. — Dopo tutto, sì, è stato un bel matrimonio: Zuampredu è un uomo d’oro ed ella vivrà là come in una nicchia».
Sì, del resto anche le sante nello loro nicchie non sono molto allegre: e Columba non lo è stata mai. Ma non è l’immagine della sposa melanconica che turba il vecchio: è quell’idea fissa che lo perseguita.
«Se ella fosse morta!»
E va e va, il vecchio protervo, e non si accorge che in fondo alla sua coscienza è la pietra caduta dall’alto, che pesa: non sa confessarlo a sè stesso, ma sente di aver ucciso la giovi-