Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo XVI

Compito del Giuri d’onore

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XVI.

Compito del Giurì.

ART. 298.

Il compito del giurì è arduo per la importanza e le conseguenze del suo giudicato. Perciò, si richiede una conoscenza piena e sicura delle leggi cavalleresche e una indipendenza di giudizio assoluta in chi assume la carica di giudice.

I pregiudizi di ambiente e di persone non devono in alcun modo influire sulle decisioni del giurì, e così non possono essere assunti a prova i «si dice». In materia d’onore i fatti devono essere concreti, precisi e precisati, pena la nullità del verdetto. I fatti non provati si considerano parole prive di significato e di ogni valore morale.

Nota. — Qui è opportuno ripetere che la conoscenza delle consuetudini cavalleresche significa: «essere consapevoli della Dottrina cavalleresca che forma il complesso delle disposizioni consuetudinarie, coordinate dalla ragione, dal diritto e dalla lealtà dei gentiluomini (Codice cavalleresco)». E non basta conoscerlo; occorre saperlo valutare e applicare col famoso grano di.... sale.

Necessita, inoltre, avere sulle dita la Giurisprudenza cavalleresca e cioè: l’evoluzione costante delle leggi d’onore, [p. 181 modifica]riassunta nei postulati, nei principi fondamentali, dettati conforme logica e giustizia dalle Corti e dai giurì d’onore, perchè codesti non sono opinioni personali di un autore di un Codice cavalleresco; ma capisaldi indispensabili, pronunciati collegialmente, che non ammettono deroghe, nè sottintesi.

Ed è appunto per la scarsa conoscenza di codeste leggi d’onore, che persone, anche d’intelletto grande ed eminenti per posizione sociale, pronunciano giudizi mostruosi, i quali offendono la morale, la giustizia e spesso anche il famoso grano... di sale, instaurando principi nuovi ed assurdi anche nel campo del Diritto comune.

Hanno ragione gl’inglesi col loro «The right man in the right place» (un uomo capace al suo giusto posto), altrimenti, Giusti sogghignerà il proverbiale: «Tibi quoque — è concessa facoltà — di potere in jure utroque — gingillar l’umanità. Insomma, non basta presumersi virtuosi e infallibili; occorre competenza sicura per onestamente giudicare dell’onore altrui nel fine di non gingillare il grosso pubblico!

ART. 299.

La prima missione del giurì, nei limiti assegnati dall’appello, è di portare la questione nel campo pacifico e di discutere immediatamente se la ragione della querela fu giusta o arbitraria; se la richiesta di soddisfazione fu fatta nei modi e nelle condizioni di tempo e di persone voluti dalle leggi d’onore, affinchè la forma cavalleresca non serva ad un birbo per rimpannucciarsi alle spese altrui, e non perpetui l’equivoco, nè consacri la calunnia. E, solo dopo aver tentato tutti i mezzi conciliativi, il giurì deciderà se la vertenza possa o no essere definita pacificamente (C. d’On. Firenze, 6 maggio 1890). [p. 182 modifica]

Non potendo condurre le parti alla soluzione pacifica, il giurì si dichiarerà incompetente, proponendo l’intervento di una Corte d’onore (C. d’On. Milano, 9 settembre 1892).

ART. 299 a.

Qualora la vertenza possa essere risolta pacificamente è copito del giurì di determinare:

a) pel caso di scortesia: la rettificazione, se c’è stata inesattezza, e la dichiarazione di non avere avuto intenzione di offendere;

b) pel caso di offese: la rettificazione dei fatti e del giudizio, e la scusa nella forma fissata dal giurì;

c) pel caso di oltraggio: la rettificazione dei fatti, la ritrattazione delle parole oltraggiose, la domanda di perdono all’offeso nelle forme fissate dal giurì.

ART. 299 b.

Nei casi b) e c) dell’art. 299 a l’offeso ha il diritto di pubblicare il verbale del giurì, che fa fede della buona ragione dell’offeso e della soddisfazione ottenuta.

ART. 299 c.

Nel caso in cui per opera dell’offensore o dell’offeso la vertenza non potesse essere definita pacificamente, il giurì riterrà esaurito il suo còmpito con la dichiarazione di non aver potuto risolvere la vertenza per opera dell’offensore o dell’offeso, e, se del caso, consigliare l’appello ad una Corte (C. d’On. p. di Firenze, 6 maggio 1890).

ART. 300.

Se per circostanze eccezionali il giurì dovesse di[p. 183 modifica]chiarare essere necessario un duello, stabilirà le armi, le condizioni, il luogo e l’ora dello scontro, delegando uno o più giudici a presenziarlo quando i testimoni non offrano garanzie di equanimità o di abilità nel condurre a termine uno scontro (C. d’On. p. Firenze, 6 maggio 1890).

ART. 301.

Se quella delle parti avverse che ha avuto il torto, non volesse, senza giustificato motivo rimettersi al verdetto del giurì, i giudici redigeranno verbale, nel quale, narrando il tutto, riabiliteranno chi si ebbe la ragione e squalificheranno chi s’ebbe il torto.

Nota. — Così opina anche il Rosis p. 71. Eccezione alla regola è fatta nei casi in cui il verdetto è per sua natura nullo (art. 305 a), o evidentemente viziato nella forma o nella sostanza, sì da giustificare una revisione in grado di appello.

ART. 302.

Il giurì, e nessuno dei suoi componenti in particolare, può entrare in discussioni o polemiche, e tanto meno accettare sfide da chi fu da loro giudicato o da persone direttamente o indirettamente coinvolte nella vertenza giudicata e per il giudizio emesso.

Chi offendesse comunque e per la cosa giudicata il giurì, o uno dei giudici, incorrerebbe senz’altro nella perdita delle prerogative cavalleresche.

Nota. — Così l’art. 15 del Reg. della C. d’O. Firenze, ripetutamente confermato nella pratica. Si ricorda inoltre il dovere del segreto nei giudici su tutto quanto si passò nel giurì, imposto per non dare luogo a commenti sul suo operato; anche a costo di sacrificare l’amor proprio pel [p. 184 modifica]trionfo del vero e del giusto, per facilitare comunque la pacificazione delle parti, e soprattutto nel fine di evitare che dalla sua opera civile sorgano altre vertenze, o si prolunghi quella discussa.

ART. 303.

Il verdetto di un giurì deve essere, per quanto possibile, impersonale e non può escire dai limiti assegnatigli dal mandato, altrimenti il suo lodo sarebbe nullo per eccesso di mandato.

Pronunziato il lodo tutti i documenti concernenti la vertenza discussa devono essere restituiti alle parti che li presentarono, e i verbali e le testimonianze, se per errore furono scritti e sottoscritti, devono essere distrutti.

ART. 304.

Se l’appello è presentato da una sola parte (unilaterale) il verdetto del giurì deve concernere solamente, la parte appellante, nel fine di evitare che l’altra, ritenendosene offesa, quereli i giudici d’onore per l’art. 393 del C. P., allo scopo di annullarne il giudicato.

Questo verdetto non ha valore, se entro tre giorni non viene comunicato alla parte non appellante.

ART. 305.

I giudici di un giurì unilaterale hanno l’obbligo di verificare prima la legittimità della loro costituzione in consesso giudicante conforme l’art. 280, e poi difendere la reputazione, l’onore e la tranquillità dei gentiluomini contro la calunnia, la diffamazione e il sopruso nel campo cavalleresco; di proclamare il vero contro il falso, affinchè una vertenza non crei o non perpetui l’equivoco consacrando la diffamazione. [p. 185 modifica]

Nota. — Giova qui ripetere che un obbligo grave, del quale nessun libro parla, ma che la coscienza impone ai giudici, è quello di conoscere bene e sicuramente le consuetudini cavalleresche (codice) ; ma sopratutto le massime fondamentali delle leggi d’onore, contenute nei lodi, verdetti e sentenze delle Corti, le quali massime formano legge indiscussa per la gente onesta, e guidano i gentiluomini in tutti i loro atti responsabili.

Quando non si conoscono, si dimenticano, o si trascurano codeste massime, si corre l’alea di commettere gravi ingiustizie ed errori ancor più gravi in danno altrui; si arrischia di consumare birbonate inaudite, quando all’ignoranza si accoppia la presunzione, o un falso amor proprio, o una esagerata valutazione del proprio intelletto. E quando si commettono di codesti errori, che altri pagano, non solo la parte lesa può far valere i suoi diritti a una riparazione del danno; ma ha facoltà di ripetere a chi tira fuori l’usbergo della coscienza, la rampogna del direttore d’orchestra al violino di spalla che stonava: «Me la saluti la sua coscienza e la preghi di non stonare!».

Quando si deve giudicare dell’onore altrui, occorre sapere quello che si fa, perchè non basta fare quello che si sa, tutto il resto... bubbole e... vento. Con l’onore degli altri non si scherza!