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Libro terzo | 181 |
riassunta nei postulati, nei principi fondamentali, dettati conforme logica e giustizia dalle Corti e dai giurì d’onore, perchè codesti non sono opinioni personali di un autore di un Codice cavalleresco; ma capisaldi indispensabili, pronunciati collegialmente, che non ammettono deroghe, nè sottintesi.
Ed è appunto per la scarsa conoscenza di codeste leggi d’onore, che persone, anche d’intelletto grande ed eminenti per posizione sociale, pronunciano giudizi mostruosi, i quali offendono la morale, la giustizia e spesso anche il famoso grano... di sale, instaurando principi nuovi ed assurdi anche nel campo del Diritto comune.
Hanno ragione gl’inglesi col loro «The right man in the right place» (un uomo capace al suo giusto posto), altrimenti, Giusti sogghignerà il proverbiale: «Tibi quoque — è concessa facoltà — di potere in jure utroque — gingillar l’umanità. Insomma, non basta presumersi virtuosi e infallibili; occorre competenza sicura per onestamente giudicare dell’onore altrui nel fine di non gingillare il grosso pubblico!
La prima missione del giurì, nei limiti assegnati dall’appello, è di portare la questione nel campo pacifico e di discutere immediatamente se la ragione della querela fu giusta o arbitraria; se la richiesta di soddisfazione fu fatta nei modi e nelle condizioni di tempo e di persone voluti dalle leggi d’onore, affinchè la forma cavalleresca non serva ad un birbo per rimpannucciarsi alle spese altrui, e non perpetui l’equivoco, nè consacri la calunnia. E, solo dopo aver tentato tutti i mezzi conciliativi, il giurì deciderà se la vertenza possa o no essere definita pacificamente (C. d’On. Firenze, 6 maggio 1890).