Chi l'ha detto?/Parte prima/7
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§ 7.
Avarizia
132. Fatto v’avete Iddio d’oro e d’argento.
Così Dante fieramente apostrofa l’insaziabile avarizia dei preti, ai quali poco innanzi aveva rivolto altra acerba rampogna:
133. ....La vostra avarizia il mondo attrista,
Calcando i buoni e su levando i pravi.
Trista passione è questa dell’avarizia che spinge alle azioni più basse e più riprovevoli, come aveva già detto Virgilio:
134. ....Quid non mortalia pectora cogis,
Auri sacra fames!1
e infatti agli occhi di molti ogni mezzo è buono per acquistare danaro, che è il ben venuto, per qualunque via guadagnato, e per quanto ne siano turpi le fonti. Ciò è espresso anche dall’adagio latino
135. Non olet.2
di cui le origini, secondo Svetonio (Vita Vespasiani, cap. 23) e Dione Cassio (Hist., lib. LXVI, cap. 14). sarebbero da cercarsi nella risposta data da Vespasiano al figlio Tito che lo biasimava per avere posta una tassa sull’orina, ma che pure riconobbe non sentire di cattivo il danaro che se ne traeva. È noto che da quest’aneddoto si è convenuto di chiamare per eufemismo monumenti vespasiani o semplicemente vespasiani certi piccoli luoghi indispensabili alla pulizia e alla igiene delle città.Agli avari fastosi che vogliono ostentare grandezza può ben applicarsi il verso satirico del poeta milanese:
136. (Non serve...) Anselm, degh on quattrin per un.3
È donna Fabia Fabron De-Fabrian che per confondere i ventun mendicanti che l’hanno sbeffeggiata entrando in chiesa, usa verso di loro cotanta liberalità.
Ai nostri tempi la letteratura e la politica hanno reso famosa
137. La Compagnia della Lesina.
Antonio Starrabba Di Rudinì in un discorso tenuto a Milano nel teatro della Scala il 9 novembre 1891, essendo Presidente del Consiglio dei Ministri, così diceva a proposito del suo programma di radicali economie: «Signori, noi ministri mettendo in disparte quel fragile strumento che era la famosa lente dell’avaro, ci siamo, mi si passi la celia, costituiti nella famosissima Compagnia della Lesina, che ebbe le sue leggi e i suoi precetti, dai quali questo scegliemmo a nostro consiglio: che ciascuno debba guardarsi ed astenersi da ogni superflua ed impertinente spesa, come da fuoco, nè mai si spenda un quattrino se non per marcia necessità, perchè con tal regola e per tal via si dà buon principio all’augumentare, e far capitale. Quod est principalis intentio læsinantium.»
Con queste parole il ministro ricordava una curiosa facezia, ristampata più volte nel sec. XVII, col bizzarro titolo Della famosissima Compagnia della Lesina, dialogo, capitoli e ragionamenti. Il frontespizio porta in tutte le edizioni l’impresa della finta compagnia che è una lesina col motto, rimasto pure celebre:
138. L’assottigliarla più meglio anche fora.
Il paragrafo riportato dal Rudinì è dei Capitoli della Compagnia il numero 3. L’on. Luigi Luzzatti in un articolo da lui pubblicato al principio del 1920 (v. Minerva, vol. XL, num. 6, del 16 marzo 1920, pag. 204) narrava di avere ricevuto in dono da Rudinì un esemplare della operetta or ora ricordata con questa singolare dedica: «A Luigi Luzzatti. Questo libro a me donato dall’ammiraglio Saint-Bon, che tenevo in mano quando lessi a Milano nel 1891 il nostro programma finanziario, depongo ora presso di te come ricordo di tempi passati insieme a servizio della patria adorata. La lesina salvò l’Italia! Evviva la lesina! Con affetto fraterno. Roma, 10 giugno 1906. — Rudinì.»
La citata di sopra
139. Lente dell’avaro.
come pure le
140. Economie sino all’osso.
sono altre due frasi proverbiali ejusdem farinæ ma di più antica data, poiché risalgono ai dolorosi giorni del macinato e del ministero Lanza-Sella, severo anzi feroce restauratore delle stremate finanze italiane. E la prima fu detta da Giovanni Lanza, nelle dichiarazioni fatte alla Camera presentando il nuovo ministero da lui presieduto il 15 dicembre 1869, la seconda da Quintino Sella, ministro delle finanze, in una seduta successiva.